Uno: se vi trovate a Parigi, passate da Roblin in rue St-Jacques 174, dalla sua Caves du Panthèon, la sua enoteca. Perchè? È raro trovare persone che sanno semplicemente fare il proprio mestiere. E lui lo sa fare. Due: è altamente improbabile riuscire a trovare un Pinot Nero dalla beva sconquassante, goduriosa, facile senza rinunciare ad una certa complessità e pagarlo tra i 15 e i 20 euro. Beh, lui lo ha trovato e me ne ha fatto dono. Rubino vivo dalle trasparenze accattivanti, al naso ha bisogno di un po' di tempo per esprimersi e uscire fuori con i suoi profumi di frutti di ciliegia e lampone, una soffusa mineralità, un leggero tappeto di spezie. Al palato è semplicemente facile da bere, intrigante, succoso, scende che è un piacere. Trovarlo in Italia è praticamente impossibile, ma ciò dimostra che vale la pena, sempre, di cercare, perchè la vita e il vino riservano sorprese incredibili. Meraviglioso.
Jefferson Airplane.
posted by Mauro Erro @ 10:40,
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Sì, il mondo è in guerra e la gente non se ne accorge. Hai ragione. E ti dà sui nervi, alle volte, quando li vedi che si grattano la nuca e si preparano a scegliere la migliore palla da bowling. Non che una persona non abbia il diritto di divertirsi mentre la casa gli crolla fra le fiamme, è solo il tipo di divertimento che scelgono a lasciarmi perplesso. E allora? Be', è come ha praticamente detto Schopenauer da qualche parte: certo, sembra che io soffra come un cane bastardo la maggior parte del tempo, a vivere in mezzo a loro e a tutto questo, ma ciononostante c'è una cosa di cui sono contento, e cioè che io non sono loro...[...] Qualcuno deve fare la parte del lupo, qualcuno quella del cane da caccia, qualcuno deve fare il lancio perfetto fra prima e seconda base al momento cruciale. Appena rallenti un attimo, i bei tempi sono finiti. Bei tempi? Non ci sono mai stati bei tempi. Ci sono stati tempi duri e tempi un po' meno duri. [...] Al giorno d'oggi c'è qualcosa di diverso nelle persone, hanno semplicemente perso la durezza e/o il senso dell'onore che hanno quelli che sono cresciuti negli anni '30. Anche i loro movimenti, il modo in cui parlano, sono morbidi come la plastilina, e irriverenti nei confronti della Realtà di Fatto. La Realtà di Fatto è quella che si presenta quando hai a che fare con qualcosa faccia a faccia. Una volta parlavo dell'Assenza dell'Eroe, e già quella era abbastanza triste. Ora parlo dell'assenza di un vero uomo in mezzo agli uomini, di un vero volto in una folla di non volti. Ora ci sono solo escrementi e una biondeggiante flatulenza. [...] A volte c'è una minima chance, la vedi per un attimo sul viso di una cameriera in un caffè scalcagnato, una vecchia cameriera, sconfitta, senza meta, c'è della verità su quel viso, che è più della verità che c'è sulla faccia del tuo padrone di casa o del tuo presidente. Ovviamente, lei non può parlare con te e tu non puoi parlare con lei. Le parole sarebbero mutilanti, le parole sono state usate troppo a lungo in maniera sbagliata. Ordini e aspetti. A volte la vedi sul viso di un pugile, di uno che combatte sul ring per professione, a volte sulla faccia di un vecchio che vende giornali per strada. Ma non si vede molto spesso, e si vede sempre di meno. di Charles Bukowski, da Birra, fagioli, crackers e sigarette. Lettere. Volume secondo (1970 - 1979), edito da minimum fax
posted by Mauro Erro @ 10:33,
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Versato nel bicchiere, spumoso mi saluta: un’effervescente freschezza si sprigiona rinfrancando e rinfrescando lo sguardo affascinato dal giallo paglierino brillante. Di sottile e fine grana, numerose bollicine come piccole perle salgono abbastanza persistentemente dal fondo del calice. Accostandolo al naso i tratti caratteristici di mela, pera, ed erbe di campo sono sovrastate dalla fulgida mineralità che si avverte netta: la pietra bianca del Piave? Al palato è fresco e piacevolmente corrosivo; deglutendo, rimane sulla lingua una piacevole scia amarognola. Bel prosecco dal piccolo prezzo che vi invoglierà continuamente al sorso. Svuotate una serie di bottiglie non vi rimarrà che ballare sulle note di
Barry White.
posted by Mauro Erro @ 10:54,
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Del black-out mediatico che interessa questa azienda (una delle più antiche in Campania: 1920) già ho detto quando vi parlai del suo
Taurasi ’97. Non aggiungo altro se non l’emozione di questo taurasi old style, al limite della sua evoluzione, anzi, dal fascino decadente di chi si avvia nella sua parabola discendente. Dopo 15 anni si presenta di un color mattone chiaro, un granato fascinoso dalle interessanti trasparenze. Al naso si esprime netto e subito su un frutto surmaturo, evidenziando poi tracce di spezie, fiori secchi e cenni di liquirizia. Al palato l’ingresso è giocato sui frutti maturi, ma ancora appaganti; risulta leggermente diluito, perde in struttura vista l’età pur avendo buona acidità e sapidità. Il tannino è leggiadro e setoso. Nota a margine, delle due bottiglie stappate, una era evidentemente ossidata. Ciò che la maggior parte dei produttori campani ed italiani non capiscono è che senza memoria storica non si va da nessuna parte. Ma questo, al di là del vino, è un vizio tipicamente italiano.
Mark Knopfler ed Eric Clapton per Layla.
posted by Mauro Erro @ 11:29,
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Ultimo atto del trittico sangiovesco a cui mi sono dedicato tra Pasqua e Lunedì in Albis declinando l’eleganza. Caso ha voluto mi sia ritrovato innanzi un ’98, annata schiacciata tra due ritenute monster (forse), ma che, come sempre con il vino, insegna. Perché è proprio la capacità di un vino di regalare emozioni in annate minori (o presunte tali) a decretarne la grandezza. Si è presentato amaranto senza alcun cedimento, ma brillante e luminoso, vivo e vivace; al naso subito si è espresso con forza e caparbietà su toni soprattutto minerali, di frutto di ciliegia e marasca, nuances di goudron e sottobosco, spezie. Al palato era caldo, insistente nel suo passo, un tannino non perfetto ma giusto, un frutto presente, una mineralità tangibile, di seguito liquirizia e pepe nero ed una spinta acida invidiabile. Chiudeva lunghissimo su un’ottima sapidità, delicato e con grazia.
Hallelujah.
posted by Mauro Erro @ 11:17,
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Dal “terragno” di ieri al “godurioso” di oggi. Di questo Chianti di cui recentemente hanno già scritto
Giuliani (lo scout mediatico) e
Ziliani (a conferma) e a cui rimando per le spiegazioni più tecniche. Ovviamente potrebbero, le loro parole, già bastare e potrei tranquillamente defilarmi non avessi avvertito immediatamente il senso di riconoscenza al primo sorso e a bottiglia finita che raccontarne le eroiche gesta (perché di eroiche si tratta in questi giorni di rumors e scandali toscani) mi pare il minimo (molto poco) per sdebitarmi. Il colore rosso rubino con riflessi violacei è brillante, invitante, nitido, vivo e invoglia senza troppi intellettualismi al sorso che si rivela appagante e come scrivevo, godurioso. Un senso di freschezza e giovialità invadeva il palato che già presagiva la fragranza dei frutti di ciliegia e lampone che si erano annusati accompagnati dalla violetta; il corredo proprio di leggere spezie, un tannino compiuto e leggiadro, una giusta acidità completavano il quadro lussureggiante. Difficile resistere alla tentazione di svuotare la bottiglia (e perché resistere?): fatelo quando finalmente arriverà la primavera in un picnic con amici e belle donne. Un sangiovese come dovrebbe essere, beverino senza tradire la propria terra.
Beatles.
posted by Mauro Erro @ 10:50,
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Terragno, godurioso ed elegante, tre modi di interpretare il sangiovese che a partire da oggi, e da questo vino di cui non mi stancherò mai di parlare, declinerò. Quello di
Giovanna Morganti di Podere Le Boncie è stato eletto da me in quella ristretta schiera de “i vini del cuore”, quelle bottiglie che non devono mai mancare in cantina e che si è sempre pronti a stappare. Umorale, timbrico, “terragno”, si mostra e si apre nei suoi effluvi con una mineralità rocciosa ed ematica cadenzata ed accompagnata da una complessità di profumi in continuo divenire tanto che staccare il naso dal bicchiere è impresa assai difficile e si finisce, come ho fatto io, con il trascurare il pranzo pasquale. Note animali di cuoio e pelle, frutti di mirtilli, sensazioni floreali, sensazioni terrose, un leggero indizio di tartufo, tutto si mescola e riaffiora distintamente in sequenza. È privo di qualsivoglia banalità. Al palato è pieno e succoso, intrigante ed affascinante nella sua mineralità. Il tannino compiuto, ma ancora astringente e l’acidità presente ci fanno ben sperare per quel che sarà. Appunto:
andare da Giovanna a ringraziarla personalmente!!!. Appunto/bis:
svegliarsi, di vini così in giro ce ne sono, basta cercarli! Nessun Dorma.
posted by Mauro Erro @ 11:30,
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Auguri!!!
sabato 22 marzo 2008
Auguro a tutti voi una serena Pasqua. Io la trascorrerò con i miei cari e la mia dolce metà, bevendo il Barolo Cicala 2001 dei Poderi Aldo Conterno e il Chianti Classico Le Trame 2004 di Giovanna Morganti di Podere Le Boncie. Spero siate altrettanto fortunati. Vi lascio con i
Massive Attack.
posted by Mauro Erro @ 19:18,
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Da uve Pepella, Ginestra e Bianca tenera coltivate su viti a piede franco, da terreni “
formatisi nel corso di numerose eruzioni del Vesuvio, contenenti turece, che è composta da sabbia e cenere lapillo, e terra vulpegna, che è un terreno argilloso (del colore del manto della volpe)”, nasce questo bianco affascinante che oggi si rivela quasi inaspettato nella sua evoluzione. Un’evoluzione che ci regala un vino dal colore dorato scarico ricco di suggestioni minerali, sensazioni muschiate, leggeri, ma presenti rimandi floreali e fruttati e sensazioni mediterranee. Al palato si rivela nella sua struttura, deciso, sostenuto da questa mineralità fascinosa accompagnata da una discreta acidità, ma soprattutto da una sapidità notevole che mi ricorda i
Vouvray di Huet da Chenin Blanc. Cazzuto.
Guns N’Roses.
posted by Mauro Erro @ 11:07,
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Un aglianico di stazza, fuori dai soliti circuiti mediatici e zone di comune conoscenza (Irpinia, Taburno e Vulture) che si rivela un bere godurioso, semplice senza scadere nella banalità, complesso e bevibile. La zona è quella del vulcano spento di Roccamonfina. Va da sé, quindi, che è la mineralità la chiave interpretativa di questo bicchiere, mineralità che bilancia un frutto succoso e presente che l’annata calda dona al vino tinto di un rosso rubino vivace dai riflessi accattivanti. Al palato, a corredo di una frutta matura, spezie orientali, tabacco e buona spinta acida. Il prezzo è ancora competitivo (15 euro). Conservarlo in cantina e studiarne l’evoluzione potrebbe essere molto divertente.
Noir Desir.
posted by Mauro Erro @ 11:01,
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Della semplicità e bevibilità questo vino si fa emblema. Avendo conosciuto il suo produttore, Giuseppe Fortunato, non poteva essere altrimenti. Giuseppe è di quelli che si trovano maggiormente a proprio agio in vigna, dove trascorre la maggior parte della sua giornata, trovandosi quasi in imbarazzo nell’opera di commercializzazione, mentre la moglie, nel piccolo spaccio dell’azienda, cura la vendita dei due vini (l’altro è la Falanghina), del miele da loro prodotto, e di altri articoli che rientrano nel circuito dell’equo e solidale. Di colore rosso rubino intenso, questo piedirosso biologico si esprime subito al naso con zaffate di frutta succosa e croccante, un’ottima mineralità e un sottofondo intrigante di spezie. Al palato ottima corrispondenza, grande bevibilità, non lunghissimo, ma perché chiedere di più? Poco più di sei euro: come si suol dire, da bersi a secchi, meditando sulle parole di Berthold Brecht riportate in etichetta: “
Sempre pronto ad una nuova idea e ad un antico vino”.
Dire Straits.
posted by Mauro Erro @ 11:04,
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Dal comune di Ile d’Olonne a Fiefs Vendeens, nella zona più orientale della Loira atlantica, nei pressi delle antiche saline sorge questo Domaine d’impostazione biodinamica. Da uve Chenin Blanc, da vigne vecchie 25 anni e da terreni di argilla e scisto, questo vino si presenta abbigliato di un giallo che tende al dorato, ma dove permangono scintillanti riflessi paglierini. Al naso la mineralità rocciosa è devastante ed accompagnata da rimandi di fiori bianchi, zafferano, leggerissime nuances fruttate. Al palato entra morbido, ampio, rotondo, per poi incattivirsi grazie alla sua mineralità, ad una persistente sapidità ed un’ottima acidità che chiudono il sorso astringente e leggermente amarognolo pulendomi le fauci. Da ricordare.
Portishead.
posted by Mauro Erro @ 10:36,
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Curiosando nel web, volendo approfondire la personale conoscenza e passione per questi vini, mi sono imbattuto in alcune interessanti e sagge considerazioni di
Yi Xin Ong, uno dei massimi esperti al mondo di Riesling tedesco che osservava che
ciò che insegna una degustazione di Riesling tedeschi è innanzitutto che la nozione di vino equilibrato è suscettibile di una vasta casistica di esempi possibili, e può difficilmente essere ridotta a una regola teorica, legislativa o enologica: il risultato desiderabile di una equalizzazione armonica tra le varie componenti può essere ottenuto a partire da scenari organolettici e da valori dei singoli componenti assai diversi. Ad esempio
l'acidità nella maggior parte dei vitigni diminuisce con l'aumentare della concentrazione zuccherina (e quindi alcolica), nel Riesling no, anzi, osservava ancora,
solo questi ultimi possiedono il dono di muoversi in miracoloso equilibrio tra alta acidità, basso tenore alcolico e percezioni zuccherine. Tutto ciò permette
la nascita dei vini bianchi più fini, rigorosi e longevi del mondo,
fatti di profumi fiabescamente cristallini e trasparenti, agrumosi e intricatamente minerali, supportati da strutture gustative essenziali, spesso giocate su contrappesi organolettici rischiosi e delicatissimi, eppure straordinariamente resistenti al tempo. Dal Villaggio della Ruwer (affluente della Mosella) Eitelsbach, dal vigneto Karthäuserhofberg, nasce questo vino di giallo paglierino, brillante, luminoso e vivido. Al naso si esprime con odori netti, taglienti, precisi, nitidi, mai urlati di erbe aromatiche, mineralità idrocarburica, pesca, fiori bianchi e vaghi e leggeri accenni di tartufo. Al palato in una dicotomia straordinaria, in una diversa percezione prospettica degna di
Escher si rivela opulento e pieno, l’esplosione di una dolcezza mai stucchevole grazie all’acidità nerboruta che lascerà il palato pulito e pronto a nuovi viaggi nelle meraviglie dell’eden fatto di contrappesi organolettici delicati e sublimi. Da abbinare all’intuito artistico vario ed eclettico che ritroviamo in
Innuendo.
posted by Mauro Erro @ 12:26,
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Dal fascino decadente, il vino vestito di un oro vetusto, emozionava al naso in un dinamico e ancor presente caleidoscopio di odori pungenti, timbri muschiati e di terra, zafferano, frutti rossi (cosi è se vi pare) sotto spirito, e odore di liquirizia a tronchetti. Al palato in una filosofica dicotomia era scarno, l’ingresso morbido, soffuso, al centro del palato danzava tra muschio, acidità e sapidità chiudendo asciutto nel suo allungo incredibile. Ed il tutto era giocato su un sottile e morbido tappeto ossidativo. Essenziale, nobile e fiero.
The Ghost of Tom Joad.
posted by Mauro Erro @ 10:00,
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Il vino è piacere, è capacità di imparare partendo da una curiosità che vuole essere saziata avendo come spinta propulsiva una passione, un godurioso piacere che induce a stappare, stappare e stappare. Esperienza, dati che cerchi di archiviare, informazioni che scatenano riflessioni e deduzioni. Un continuo divenire della propria consapevolezza del vino unita al divertimento che se ne trae. Un bevitore è fondamentalmente questo. Ho avuto la fortuna di poter bere questo vino in una miniverticale, e avendo già scritto del
2004, mi soffermo su questo amore carnalmente non consumato. Su quest’attimo inespresso, su quest’aspettativa delusa, su questo incontro fugace, un coitus interruptus che lascia sì una mancanza, ma di quelle che ti aiutano a crescere. Il colore affascinava nelle sue trasparenze di un rubino vivace e scintillante che volteggiando nel bicchiere m’avviluppava i sensi chiedendo passione.
Al naso si mostrava intrigante, con una piccola e iniziale nota di riduzione per nulla fastidiosa, aprendosi, poi, mano a mano evidenziando una certa mineralità (ferrosa o ematica), sentori di piccoli frutti di bosco, sensazioni balsamiche e di spezie, rimandi di tostatura del legno. La bramosia era tale che era difficile resistere alla voglia di averlo, di farlo proprio, di saggiarlo. Tannino verde, incompiuto, scomposto. Nel tempo, grazie anche al cibo a cui lo accompagno, pare trovare una sua dimensione, la sua snellezza e freschezza rappresentano un sussulto orgoglioso, ma rimane il senso di un tradimento, seppur mitigato, che mi ricorda le immagini di C’era una volta in America, musicate da Ennio Morricone.
posted by Mauro Erro @ 12:40,
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Si presenta nel bicchiere di un rubino brillante che dal cuore del disco denso degrada fino all’unghia in trasparenze in cui è facile perdersi. Al naso la complessità è un panorama variegato dagli orizzonti infiniti in cui affiorano mano a mano emozionanti immagini e visioni di note boisè, un'affumicatura che si lega in maniera esemplare con la mineralità ferrosa che ritroverò al palato, effluvi floreali, piccoli frutti rossi (ciliegia in particolar modo), sottobosco, spezie ed erbe aromatiche. Al palato è aereo e presente, sapore di terra, di roccia (il suolo è
poco profondo – 40 cm di terre brune – copre uno strato di roccia calcarea), una spalla acida importante, tannino leggiadro seppur ancora leggermente astringente e una sapidità sostenuta che chiude il sorso lunghissimo. Già godibile, ha un futuro di sole certezze. Lacrime di gioia.
posted by Mauro Erro @ 10:54,
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Prodotto in poche migliaia di bottiglie, questo Greco moscio (Greco musc’, in dialetto) apparterebbe alla famiglia dei Greco differenziandosi però per la sua scarsa acidità (pare) da cui l’appellativo di
moscio. Sarà, ma grazie, forse, ad un’oculata scelta del periodo in cui vendemmiare, alla scelta di svolgere la fermentazione malolattica solo in parte, il vino che mi trovo innanzi ha un’acidità vibrante e nerboruta, citrina, agrumata la sensazione che avverto già al naso tanto da immaginare, nonostante l’alcool viaggi sui 13 gradi, di berlo rinfrescandomi su una terrazza che guarda al mare in un assolato mezzogiorno agostano. Note aromatiche d’erbe e balsamiche di menta completano il quadro gusto-olfattivo. Gustoso e particolare, merita attenzione.
Tango.
posted by Mauro Erro @ 10:59,
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Quando si parla di
Bianchi della Loira, d’istinto, si è portati subito a pensare al Sauvignon Blanc e a denominazioni come Pouilly-Fumè o Sancerre (due nomi tra gli altri: Edmond Vatan e Pascal Cotat) o volendosi sforzare: Chenin blanc di Savennières e l’inaccessibile e particolare (o quasi visto quel che costa) Nicolas Joly. Eppure aprendo il proprio sguardo ad orizzonti più ampi, si può arrivare a denominazioni come quelle di Vouvray e Touraine dove è possibile a prezzi contenuti bere degli Chenin blanc emozionanti come questo. Ci troviamo ad Amboise, nel vigneto Montlouis (terreni di origine arenaria: silicio-calcarea) dove Xavier Weisskopf produce tra gli altri questa Cuvée, “La touche mitaine”, da vigne vecchie di trent’anni senza l’utilizzo di prodotti chimici o di sintesi nel vigneto e facendola affinare per un terzo in acciaio e per due terzi in botti usate di tre anni facendo maturare il suo vino sulle fecce fini per circa sei mesi. Il colore è un paglierino brillante, vivace, vivo; al naso si esprime su toni fruttati di pesca, su sensazioni minerali, e su sentori marini, iodati, salmastri che mi hanno ricordato i migliori Islay Scotch whisky. Al palato è dirompente, il suo equilibrio è tutto giocato tra sapidità, mineralità e acidità, che lasciano una persistenza lunghissima ed una bocca che più asciutta non si può, invogliandoti al continuo ri-sorso. Magnifico. Non è follia scomodare
Stanley Kubrick e il suo Full Metal Jacket, immagini a cui si accompagnano le note di Paint it black dei Rolling Stones.
posted by Mauro Erro @ 12:18,
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A Egna, in provincia di Bolzano, vi è il cru Mazzon, uno di quei pochi posti in cui il pinot nero riesce a dar gradevoli e godibili risultati in Italia. Sia chiaro, nulla di paragonabile alla leggiadria dei francesi di Borgogna, ma nulla di paragonabile anche ai soldi necessari per accapararvi Grand Cru o premier cru transalpini. Dalle invitanti trasparenze è di colore rubino intenso e vivace. Al naso si fanno largo sentori di piccoli frutti rossi, lampone, ciliegia, note succose che si accentuano grazie all'apporto dei piccoli legni dove questo vino è affinato e che mano a mano nel tempo svaniranno. Al palato, avverti spezie con il pepe nero in evidenza, un'ottima acidità, un tannino compiuto, ma ancora asciugante. Il grado alcolico sostenuto (14%) è ben integrato.
Marvin Gaye.
posted by Mauro Erro @ 10:32,
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Le bollicine non mi fanno impazzire. Ma ciò non toglie, che quando mi trovo innanzi a vini del genere non mi emozioni a tal punto di condividerne le mie impressioni. Da terreni di natura calcarea misti ad argilla e silicio, da Pinot Meunier (70%) e Pinot Nero (30%) vendemmiati tardivamente, con l’utilizzo di soli lieviti indigeni, vinificato in piccoli fusti di rovere, questo negociant-manipulant tira fuori questo Champagne di colore giallo paglierino, in cui si insinuano affascinanti e tenui riflessi rosati. Il perlage è fine e persistente e al naso si fanno spazio sentori di lieviti, burro e mandorla. Sicuramente minerale, è possibile cogliere sfumature iodate e marine. Al palato ha struttura salda ed equilibrata, ed il finale è giocato sulla riuscita corrispondenza amorosa tra acidità e sapidità.
Simbiosi.
posted by Mauro Erro @ 12:08,
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Per i duri e puri che avranno storto il naso, forse, vedendo il nome dell’azienda, dico subito che purtroppo, e ripeto purtroppo, è da un bel po’ che questa cantina (industria?) non produce vini di questa stazza, di questa qualità, così emozionanti che dopo il primo sorso, almeno io, già capitolavo. Devo ringraziare il caro amico Fabio Cimmino se ieri sera ho avuto l’occasione di bere questa bottiglia, tenuta in maniera perfetta, a distanza di 14 anni dalla vendemmia. Partiamo dal’enologo che all’epoca curava questi vini, tale Luigi Moio, continuiamo con il grado alcolico, 12%, per poi proseguire con il colore: un giallo oro vivace e brillante, cristallino, che mai avrebbe fatto supporre l’annata. Poi il naso, floreale, ma soprattutto minerale, silvestre, dove avanzavano con baldanzosa sicurezza sentori di zafferano e miele. Il sorso era un inno all’equilibrio, alla piacevolezza della beva, l’acidità ancor viva e nerboruta teneva (il sorso e la beva) in maniera verticale, la mineralità era ben presente e l’unica voglia era quella di procedere continuamente al sorso (ho svuotato con amici la bottiglia in poco più di un’oretta). Lungo lasciava il palato pulito e con il rimpianto che altra occasione di goderne non ci sarebbe, forse, stata. Peccato l’azienda abbia dimenticato tali fasti. Malinconia. Dedicato agli amici che hanno condiviso con me tali attimi, alzate il volume:
Mr. Miles Davis.
posted by Mauro Erro @ 09:59,
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Luoghi comuni. Muscadet: vinello da consumarsi preferibilmente a poca distanza dalla vendemmia e commercializzazione. Si? Provate a saggiare quelli di Marc Ollivier di Domaine La Pepiére. Da lieviti indigeni, filtrato il minimo indispensabile, affinato sulle fecce fini, da una vigna molto vecchia (alcuni filari risalgono al 1930), da suoli di silicio e granito, questo “vinello” a distanza di 9 anni, pur perdendo qualcosa in struttura, mantiene una bella acidità, un ottimo apporto salino, e si è aperto su toni di frutta gialla matura che lo rendono estremamente invitante e una mineralità che definirei rocciosa. Istruttivo.
Horace Silver.
posted by Mauro Erro @ 10:39,
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Può il carattere ossidativo (e non ossidato) rappresentare un limite per il degustatore e un difetto per il vino? Vini di cui ho già scritto mi farebbero subito rispondere di no. Penso al
Breg di Gravner ad esempio o ad alcune bottiglie di
Fiano di Avellino 2002 Vigna della congregazione di Villa Diamante che presentavano un leggero profilo ossidativo. Questi matti di spagnoli producono questo rosato presentandolo mediamente 10 anni dopo la vendemmia; vino che affina in legno (che questi matti si costruiscono da se con rovere per lo più americano) e che si presenta di un colore (uno?) ambrato che sfuma in riverberi aranciati, tra il rame ed il rosato, luminoso, intrigante, vivace. Al naso sono proprio i toni ossidativi, che si potrebbero rimandare a sentori di cuoio e pelle conciata, ad esprimersi, ma con il trascorrere dei minuti avanzano effluvi di fiori bianchi e di frutta, melone in particolar modo, agrumi, poi frutta secca e toni dolci di toffee, vaniglia e miele. In bocca è grasso, burroso, ma fresco grazie ad una bella spalla acida che chiude il sorso lungo. Diverso.
Buena vista social club.
posted by Mauro Erro @ 10:33,
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Se vi trovate a casa di un amico (Raffaele Troisi, patron dell'azienda) insieme ad un'allegra combriccola di bevitori e dopo aver bevuto (bevuto, non degustato) un imprecisato numero di bottiglie di Fiano di Avellino e di Riesling tedesco per vedere, in un'entusiasmante sfida Italia-Germania paragonabile ai migliori ricordi calcistici che evoca appunto l'accoppiata Italia-Germania, chi ne esca vincitore e, in un fuori programma vi viene servita questa bottiglia di vino tanto buona da lasciarvi di stucco, state certi che il minimo che si possa fare è raccontarla. Poi, si può quantomeno cercarla, acquistarla e berla (alla mia salute). Raccontarla nonostante da quell'assaggio sia passato un bel po' di tempo, ma son sicuro che oggi quel vino è ancor più buono. Sicumera che mi viene dalla splendida annata che è stata la 2006 per il Greco (il che vuol dire che per gli altri vitigni a bacca bianca in Campania è stata dura), e che ci regala in questa versione targata Vadiaperti sentori di frutta rossa (si sì, frutta rossa), un palato astringente da tannini (si sì, tannini), un'acidità da paura. Nota a margine, le belle e nuove etichette disegnate da Raffaele del Franco.
Suzanne Vega.
posted by Mauro Erro @ 10:48,
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Si presenta scheletrico, essenziale, con una certa ritrosia nell'esprimersi ed emergere che gli dona un certo fascino da eleganza sussurrata. È femmineo in questo, nel suo non volersi mostrare con inutile narcisismo, ma volendoti corteggiare poco a poco. Passa il tempo da quando l'hai denudato e finalmente lentamente si esprime, dopo che il colore, quel suo rubino delicato, trasparente in controluce, di inimmaginabile luminosità t'aveva stordito, emanando sentori floreali che riconduco alla viola, piccoli frutti di bosco, nuances di spezie e soprattutto un odore che ti ricorda quel che di familiare ti aspetti da un gattinara. Al palato, quella nota rugginosa l'hai finalmente assaporata, il tannino ancor giovane direi, morde, e l'acidità è ben presente. Come direbbero i francesi: Mon Dieu! Peace frog, Doors.
posted by Mauro Erro @ 11:43,
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Dalle informazioni che sono riuscito a rimediare sull'azienda su internet, si tratterebbe della cantina sociale alsaziana. Distribuito in Italia dalle Cantine Leonardo da Vinci (sì, non il massimo della naturalezza espressiva i loro vini, "maroniani" direi) mi trovo di fronte ad un riesling che subito si esprime su note d'erbe aromatiche insistenti, rimandi floreali, pompelmo e il classico sentore che si definisce di Benzene. Al palato è lungo e l'acidità sconquassante mi fa capire che si tratta ancora di un infante, ma dalle rosee prospettive. Il prezzo, per un riesling reserve, è da sballo. Lo trovate in una buona enoteca tra gli otto e i dodici euro. Cosa volere di più?
Hell's Bell.
posted by Mauro Erro @ 11:25,
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Nicola Venditti, in Castelvenere, conduce la sua Masseria (vignaioli dal 1595) con tenace caparbietà, seguendo l'ispirazione biologica e rifiutando l'utilizzo di legni per l'affinamento dei suoi vini che vedono, di conseguenza, il solo acciaio. Tra i tanti vini meritevoli di essere raccontati ho scelto la sua spensierata Barbetta (sembrerebbe clone particolare del vitigno Barbera) che dal colore e dai profumi di viola, ricco di frutta, leggiadra e “beverina”, può accompagnare e accompagnarsi a noi nelle più disparate situazioni: da un picnic domenicale, ad una stressante riunione d'ufficio finanche ad una fila in banca. Semplice, succosa, (talvolta, in qualche annata leggermente vinosa) ma estremamente appagante, non manchevole di sfumature interessanti, ha il pregio di una buona acidità che la rende invitante e di un alcool moderato. Da abbinare alla spensieratezza ed allegria di
Bob Marley.
posted by Mauro Erro @ 10:54,
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Epilogo
sabato 1 marzo 2008
Ultimo giorno. Si chiude questa piccola parentesi, questa digressione sul tema partita quattro giorni fa a seguito di una serie di avvenimenti: un film (into the wild) che vi consiglio di vedere, un carteggio con
Luciano Pignataro ed una serie di interviste che sto curando per il sito dell’
A.I.S. delegazione di Napoli: dialoghi “sobri”, domande a degustatori e comunicatori del vino. Coincidenze che hanno scaturito queste riflessioni. Sia chiaro, non amo prendermi sul serio, il resoconto di questo mio viaggio, questo taccuino dove appunto le mie note, non è né più e né meno di ciò che Mario Soldati scrisse nel suo
Vino al vino e che riporto di fianco nelle mie note personali. Niente consigli per gli acquisti, ma solo la voglia di trasmettere la passione che mi appartiene e il valore culturale che racchiude un sano e godurioso bicchiere di vino nella speranza che ognuno di voi, che pazientemente mi leggete, sia spinto nel suo viaggio e nella sua ricerca. Ed è tutto qui il senso di queste riflessioni, nella scoperta come nella delusione, nelle domande e non nelle affermazioni, nella curiosità da saziare e nella sete da calmare, nelle persone da incontrare e nell’arricchimento personale che ne ricevo. Ad ognuno il suo gusto, ma perché ciò avvenga non bisogna mai dimenticare un principio da seguire ed un valore da fare risaltare: la diversità. Ecco la mia etica del vino, solo questo, nulla più, nessuna ideologia, nessun pregiudizio, né verso quel produttore, né per quell’enologo, né per quel vino. Atterrisco al termine omologazione, quella del gusto che si tramuta in quella del pensiero, che è l’annullamento dell’individuo. Atterrisco al solo pensiero che un giorno come nel cibo, nel vino possa esistere un gusto Mc’Donalds, un solo sapore uguale per tutto il mondo. Atterrisco al pensiero che un giorno non possa più viaggiare, perché non ci sarebbe nessuna scoperta da fare. Omologazione da un lato, diversità dall’altro. Tutto qui. Ed in questo ci vedo un profondo senso di giustizia. Da domani, quindi, riprendo il mio viaggio, così come scritto nel sottotitolo di questo blog, alla ricerca di quei vini che non siano soltanto nomi e nulla più.
Un sorso di verità signori, non chiedo di più.
Start the music, sempre Eddie Vedder, dall’ultimo film di Sean Penn, Into the wild.
In foto: Metastasi dell’immagine, ovvero, fotografia che genera fotografia, di Antonella Padulano che inquadra un bicchiere di Cirò rosato Mabilia della Cantina Ippolito 1845 avendo sullo sfondo un’immagine di Normalina di Alberto Grifi.
Per chi ne volesse sapere di più sulla Normalina e su Alberto Grifi, clicchi qui.
posted by Mauro Erro @ 11:27,
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