Libri sospesi

Hanif Shoaei - Museo d'arte moderna di Instanbul

Più o meno un anno fa avevo fatto visita a Palazzo Petrucci, il ristorante stellato in piazza San Domenico Maggiore a Napoli, e scrivendone su Enogea 49 manifestavo tutto il mio dispiacere per la chiusura della storica libreria Guida, sostituita, se non ricordo male, da un bar (pare che a Napoli siano gli unici esercizi non in crisi). Immaginavo così che in un futuro prossimo si potesse mutuare la pratica partenopea del caffè sospeso, offerto per uno sconosciuto, per i libri. Il mio sospeso era Il Prato in fondo al mare di Stanislao Nievo*. 
Ciò che non avevo immaginato e scritto era che quel futuro sarebbe meravigliosamente arrivato. È da qualche mese, infatti, che una piccola libreria di Polla, in provincia di Salerno, la Ex libris cafè, ha adottato questa idea, seguita poi dalla libreria il Mio libro di Milano. L’iniziativa ha avuto un tale successo che molte librerie stanno aderendo e tra queste i punti vendita Feltrinelli in cui sarà consentito fino al 5 maggio lasciare un libro sospeso
Direi che è il caso di regalarsi e regalare un libro.  

*Napoli è una città viva e rovinata. Tutto è bello, orrendo e in disordine, niente funziona bene tranne il passato. Ma tutto è possibile. Gli esperimenti marini più importanti del Mediterraneo, le speculazioni più colossali e fasulle, le storie più incredibili e piacevoli, le persone più nobili e declassate, le cose più inutili e intelligenti si trovano qui. Con sfondo di sole e di mare. Anche le cose più ingenue e contorte che scendono negli abissi dell'anima properano qui meglio che altrove. Se ci fosse una capitale dell'anima, a metà tra oriente e occidente, tra sensi e filosofia, tra onore e imbroglio, avrebbe sede qui. Nel mezzo della città si apre via Spaccanapoli, un rettilineo di più di un chilometro, stretto e vociante, che divide in due l'enorme agglomerato. È il cuore di questa babele della storia.

posted by Mauro Erro @ 13:59, ,


Valtellina: due vini "diversamente bevibili"

Valtellina, foto di Alessandro Masnaghetti

Se siete appassionati come me dei nebbiolo valtellinesi e della più vasta area vitata terrazzata d’Italia, se avete anche a disposizione un supporto Apple (ipad, iphone, ipod o Mac), vi segnalo l’uscita dei nuovi ebook di Enogea per la collana I cru, firmati da Alessandro Masnaghetti. Vi rimando al link di Itunes Store per tutti i dettagli (mappe, 3d, elenco dei vini consigliati e delle annate migliori) indicandovi qui solo il prezzo piccolo piccolo, 3,99 €. 



A questa segnalazione aggiungo l’indicazione di due vini assaggiati durante la redazione dei libri digitali. Il primo è il Sassella Riserva 2007 Le Barbarine della Fondazione Fojanini, un rosso fine, dettagliato, minuzioso, leggiadro, eccetera et addendum secondo ispirazione. 
L’altro è lo Sforzato di Valtellina Albareda di Mamete Prevostini (annate 2009 e 2010), davvero gustoso. 

A questo punto devo dare conto del titolo che chiama in causa la bevibilità, espressione più o meno abusata di questi tempi e che difficilmente si riesce a codificare. Ecco, giusto per complicarsi piacevolmente la vita, devo dire che la sera stessa dell’assaggio, su un’informale tavola imbandita di pietanze semplici di casa, lo Sforzato funzionava meglio. 
E dato che non sono così incline ai vini da appassimento*, ciò dimostra quanto il concetto di bevibilità sfugga, non di rado, ad ogni indicazione che tenti di essere più particolareggiata di un vediamo sospirato dopo la stappatura della bottiglia**. 

* A proposito dello Sforzato val la pena ricordare le parole di Casimiro Maule sulla storicità di questo vino e delle pratiche tradizionali per realizzarlo. (Valtellina: la vite, il vino, il paesaggio)

** Più che un particolare riferimento al tenore alcolico, al valore dell’acidità fissa o il riferimento ad un’energia spesso trascendentale presente nei vini, varrebbe la pena di recuperare un più ampio concetto di armonia e di equilibrio per provare, solo provare, a tratteggiare qualche considerazione circa la bevibilità.

posted by Mauro Erro @ 09:25, ,


Veronelli dixit

Ave Ninchi, Luigi Veronelli, A Tavola alle 7

Prima o poi, se il tema è quello del vino o della gastronomia, il nome di Luigi Veronelli spunta sempre fuori. In fondo credo sia normale. Se faccio questo lavoro, ad esempio, come tanti altri (forse pure troppi) è proprio perché fu Veronelli a riproporre la figura del gastronomo o del critico enogastronomico che dir si voglia. 

Messa così, di conseguenza, Veronelli è il papà di tutti coloro che si cimentano nel racconto del vino o del cibo (milioni di milioni come recitava una reclame), al di là dello stabilire chi siano i figli legittimi e chi quelli illegittimi (come il sottoscritto). 
Quindi non è tanto che il suo nome spunti fuori spesso, ma come, perché e quando, soprattutto se preso come modello a cui ispirarsi. Già perché oltre il tono reverenziale (come se un papà non sbagliasse mai o non avesse difetti) ci si riferisce al Veronelli filosofo allievo di Bariè, al Veronelli anarchico del Critical Wine o dell’epistole sulle pagine di Carta con Pablo Echaurren o al Veronelli che si concedeva il lusso, da persona di profonda cultura, di giocare di tanto in tanto con le parole. Oppure si parla del Veronelli capace di grandi provocazioni: lo champagne che sa di sperma o il peggior vino del contadino più buono del miglior vino industriale, per citare due evergreen.

Parlare invece del lavoro di Luigi Veronelli come giornalista e come editore è un po’ più complesso; si tratta di oltre 40 anni di carriera e di una persona che certo non ha lesinato fatiche. Ma se ci rifacciamo al Veronelli che conduce A tavola alle 7 sulla Rai o alle pietre miliari di questo nostro mestiere, quelle che non si possono non conoscere ed avere nella propria biblioteca, la prima edizione dei Vini d’Italia per Canesi (1961) e i cataloghi Bolaffi della fine degli anni ’60 (e di esempi come questi ce ne sarebbero tanti altri) emerge una figura di tutt’altro profilo e un lavoro il cui orientamento ha poco a che fare con la filosofia o l’anarchia. 

Tanto per intendersi ecco come Veronelli descrive un Barbaresco: 

Colore: rosso rubino; tende con l’invecchiamento all’aranciato; brillante. 
Profumo: bouquet etereo e composito (con prevalenza di viola appassita e violetta). 
Sapore: quieto ed asciutto, si apre subito in bocca, carezzevole, per stoffa di grande eleganza, e tuttavia, per nerbo sentito; è vino di non comune razza. 

A cui seguiva l’indicazione del tenore alcolico, dell’acidità e delle annate consigliate. 

Ovviamente non è certo questa la sede per un’esegesi completa dell’opera veronelliana non risolvibile in poche battute, ma almeno qualcosina la darei per assodata. Lo scrivo perché nell’atavica polemica circa il linguaggio del vino che si ripropone ciclicamente, prima o poi Veronelli spunta sempre fuori. Una polemica (quasi) inesistente per quel che mi riguarda: che ognuno scriva come meglio crede, sarà il lettore, se vuole, a sopportare croci e delizie. 
Ma visto che le delizie solitamente sono tutte vostre, che almeno le croci non siano colpa del povero Veronelli. Tutto qui.

posted by Mauro Erro @ 10:31, ,


Verticali

Un tempo il must per una rivista era poter offrire ai propri lettori la ricognizione più ampia possibile di una denominazione. Fino al più piccolo garagista sepolto in fondo al mondo. Un'orizzontale, si dice tecnicamente. Un modello che ancora oggi è usato nelle guide ai vini che, in alcuni casi, scelgono di recensire anche vini in annate che saranno sul mercato chissà quando, in un imprecisato futuro. Ma a parte questo desueto strumento propagandistico (faccino), oggi, invece, se non hai assaggiato le 422 annate del Pelillo di Pietralcina, fino all'irreprensibile, poetico ed emozionante 1821, non ti si fila nessuno. Per i non adetti dicesi verticale.
Ma una via di mezzo un po' più utile a chi legge e poi compra i vini, no eh?

posted by Mauro Erro @ 11:27, ,






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