Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2002, Villa Diamante

Stamattina, girovagando sul web, mi sono imbattuto in alcune interessanti considerazioni di Francesco Annibali, di cui approfitto per riprendere un discorso che negli ultimi post ho affrontato. Come già scrivevo, nel nuovo glossario dell'enonauta-enofilo-etilchic, il termine terroir è di gran moda e pare faccia tendenza. In Francia il termine terroir, nella sua accezione "culturale", ci informa sulle differenze sensoriali che nel bicchiere troveremo e che provengono dalle particolari condizioni pedo-climatiche di ciascun vigneto o cru o più in generale di zona. Ma da noi che senso ha parlare di terroir o cru, laddove di una precisa "zonazione" o mappatura (a parte qualche raro caso vedi Barolo o Barbaresco, tra l'altro molto vecchie e che andrebbero riviste alle attuali condizioni climatiche molto cambiate) non c'è traccia neanche negli intenti? Nuova moda dunque? Furba operazione commerciale? Prendete ad esempio questo vino, uno dei miei preferiti, ha sempre questa marcata mineralità di pietra focaia ( e dai con questa mineralità di cui mi chiedevo ieri) su cui mi interrogo per capirne l'origine. Antoine Gaita, patron dell'azienda ha avanzato l'ipotesi che provenga da uno strato roccioso, in zona definito "sassara", che si interpone tra gli strati argillosi della parte di vigna con le piante più vecchie. Interrogando molti fini e competenti degustatori ho sentito le ipotesi più disparate: dal tipo di vinificazione, alla maturazione e conseguente terziarizzazione e via così. Bah...Rimane il piacere edonistico della bevuta di un vino che definisco eccezionale ed emozionante, che abbigliato nella sua veste dorata carica ha estasiato il mio naso con i suoi odori intensi, complessi e fini. Franco, fragrante, note floreali di gelsomino si fondevano con i sentori grassi e opulenti dei suoi aromi affumicati che oggi escono fuori prepotenti; poi in un dinamico susseguirsi frutta secca, nocciola, mandorle, castagna secca, erbe aromatiche, e la "misteriosa" mineralità...Al palato l'ingresso secco, caldo, sapido nella sua mineralità e fresco nella sua componente acida ancor presente era coerente ed armonico, equilibrato finiva in una lunghissima persistenza. Non facile da reperire, dovrete sborsare un po' di soldi e accollarvi un certo rischio...e lì al limite, quasi incerto se avviarsi sul viale del tramonto: non sarà strano possa capitarvi una bottiglia con un leggero filo di ossidazione, tra l'altro non affatto sgradevole. Terroir? Bah…nel frattempo buon ascolto.

posted by Mauro Erro @ 12:06,

4 Comments:

At 18 gennaio 2008 alle ore 15:49, Blogger RoVino said...

Giorni fa parlavo al telefono con Manuele Pelizzatti Perego a proposito dei vini di casa (ArPePe). Più volte mi (ci) è capitato di sentire in alcuni vini (Rocce Rosse ad esempio) una nota piuttosto sottile ma sempre presente di miele di acacia, e non riuscivo a spiegarmene la presenza. Manuele mi ha fatto sapere che ha fatto vedere le botti che lui credeva di castagno a Garbellotto, il quale ha si trovato del castagno, ma la botte è mista, alcune parti sono in rovere e all'interno, a contatto con il vino ci sono alcune doghe in legno di acacia...
come vedi tutto ha una spiegazione, si tratta solo di trovarla. La mineralità, se ne abusa di certo, però in certi vini esiste e in abbondanza.
Armando Castagno, mesi fa (e purtroppo io non ho partecipato) fece una serata dedicata al riconoscimento dei minerali nel vino, portando sei campioni provenienti da sei zone ben precise (una di queste, guarda un po', era l'alto piemonte, con il Gattinara). Ebbene, Isabella Pelizzatti Perego, che in quell'occasione era a Roma, ha partecipato e mi ha riferito che è stato emozionante, tanto più perché è riuscita a riconoscere i minerali per ciascun vino.

 
At 18 gennaio 2008 alle ore 16:06, Blogger Mauro Erro said...

Non metto in dubbio esista la mineralità, anzi io per primo utilizzo questo termine spesso (quando occorre) per descrivere alcune sensazioni...poi però mi chiedo a proposito di mineralità e di terroir, quanto ultimamente si abusi di questi termini (sopratutto dagli "enochic"), senza aver un minimo di certezza, di studio, di approfondimento scientifico, mappatura, ecc. e quanto questi termini (unitamente ai discorsi Bio-logici/dinamici) stiano diventando l'ultima moda...

 
At 18 gennaio 2008 alle ore 19:23, Blogger RoVino said...

Senza dubbio. In realtà la degustazione è presa spesso alla leggera, come se bastasse sparare lì un po' di frutta e spezie (e mineralità) per dare l'impressione di aver capito tutto. Più che alle mode penserei che ogni occasione è buona per cercare di apparire. A volte anche bravi sommelier si lasciano andare in elucubrazioni descrittive più per fare effetto sugli ascoltatori che perché tanti descrittori siano necessari.

 
At 18 gennaio 2008 alle ore 20:20, Blogger Mauro Erro said...

Concordo pienamente. Anche se gli effetti delle mode sul consumatore e sui produttori mi spaventano di più.
Grazie per le tue riflessioni.

 

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