L’azienda Felsina tratta il Sangiovese come pochi. Del Fontalloro ebbi già modo di scrivere e sopperisco ad una mancanza scrivendovi del vino che tra gli altri preferisco e quello in cui il mio gusto più s’identifica. Ho avuto modo di berlo spesso e volentieri: le ultime annate, a parte questa, sono state il 2004 ed il 2005, entrambe buonissime (la prima più della seconda). Il Rancia è un vigneto situato
a nord est di Siena nel Comune di Castelnuovo Berardenga a Sud della zona di produzione del Chianti Classico ad un’altitudine di 400 metri sul livello del mare: la sua esposizione è a Sud, copre una superficie di circa 6 ettari, per un totale 13.980 ceppi. I terreni sono di questa natura:
macigno di arenarie quarzose, sabbie stratificate, alberese misto a pillola alluvionale. Presenza di Galestro sulla parte più alta mentre l’affinamento avviene a seconda dell’annata tra i 12 e i 18 mesi in barrique e botti di media capacità. Ma veniamo a questo glorioso millesimo che questo vino ha così raccontato. Colore ancor fitto e denso di un rubino che cedeva in accenti granati mantenendo un cuore compatto e rimandando ancora le affascinanti trasparenze che il tempo è abituato a regalare al sangiovese e in cui è facile perdersi. Al naso si succedevano distintamente profumi accattivanti di frutto ancor integro che s’integrava alla perfezione con odori di sottobosco, spezie, una mineralità estremamente elegante, tabacco. Il palato impressionava sì per l’eleganza, tipicamente femminile e “sangiovesca”, ma soprattutto per un’indomita acidità che il tempo non era riuscita ad ammansire. Persistenza commovente. Qui è facile capire la grandezza del Sangiovese. Fiona Apple,
Paper Bag.
posted by Mauro Erro @ 11:32,
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Credo si tratti di una questione di dignità tutto sommato. La storia del saper invecchiare. Ne parlavo ieri con un caro amico, Luigi Metropoli, (
divinoscrivere blog).
Oramai si era fatto tardi,
le lancette si fermavano all’una di una notte calda e serena, Giuseppe Fortunato e la compagna (
il vignaiolo titolare di Contrada Salandra) ci avevano già lasciato, e ci eravamo scolati qualcosa come una bottiglia di Riesling (bollicine) di La Palazzola (Umbria, prendete nota), alcuni riesling tedeschi (4, e non chiedetemi quali) da varie zone, un paio di Pinot Nero della Borgogna (Gevrey-Chambertin – magnifico –
e Vosne Romanèe), Faro Palari 1996, Rancia Riserva 1995 (glorioso) e avevamo chiuso con un Vouvray di Huet, quando il padrone di casa, Fabio Cimmino (
euthymia blog), esclamava: “ho dimenticato di stappare una bottiglia, Chianti Classico Castello di Brolio 1974, mica la volete adesso?”
Domanda retorica. Gli astanti, per la precisione, oltre me e Luigi, Antonio e Daniela di Gruttola (Cantina Giardino,
sito), il mio neurologo, (mio fratello,
da qualche parte blog), Adele Chiagano (
Violamelanzana blog) e il buon Giovanni (né siti, né blog, l’unico sano di mente che mentre noi si disquisiva, beveva e mangiava fuori il terrazzino godendosi quel po’ di brezza serale che c’era), rispondevano semplicemente lasciando che una luce attraversasse il proprio sguardo e mostrando tutti e trentadue denti. Dopo cinque minuti, bottiglia stappata e vino versato.
Ora, dicevo, invecchiare è una questione di dignità. Bene o male è qualcosa di relativo. Prendete una vostra foto di cinque anni fa. Mi piacerebbe ascoltare i vostri commenti. Siete migliorati o peggiorati, e da qual punto di vista? Se ad una certa ora della notte, dopo un certo numero di bicchieri di vino, ad una temperatura di servizio di dieci gradi sopra quell’ottimale, il vino si presenta integro, si con qualche piccolo difettuccio (ripensate alla vostra foto), ma di un colore che dal rubino va al granato, presentando al naso profumi ancora intatti di frutto di ciliegia, un evidente timbro minerale, note animali di cuoio, sfumature floreali, pepe e al palato entra rotondo, morbido, soave, con un tannino d’antan e un’acidità che forse nel finale chiude un po’ troppo presto e va per conto suo (
e chissenefrega, no?), ed in etichetta segna 1974, che facciamo ci mettiamo a disquisire?
Ora, immagino alcuni di voi che si saranno alzati all’in piedi, e ironicamente, battendo le mani staranno pensando: “
bravo, ma quanto sei bravo, ed io dove la vado a prendere una bottiglia di Chianti Classico Riserva Castello di Brolio 1974 ?!?”
Ed io che ne so.
Ma perché pensavate che queste fossero delle reclame?
Per coloro che pensano al vino come mero oggetto di consumo: mi spiace, ma avete sbagliato blog.
Queen, al vino abbino
questa (dal film highlander, l’ultimo immortale), agli amici che lo hanno condiviso con me
quest’altra.
posted by Mauro Erro @ 12:16,
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Si direbbe "base" in gergo commerciale: il vino dal minor prezzo che esce dalla cantina. Eppure, per questa cantina a cui sono legato in maniera particolare in virtù di quel
Calvarino che bevvi con grande goduria il Natale passato e il cui racconto inaugurò questo blog, la parola "base" potrebbe risultare un dimuntivo non corrispondente alla bontà del vino. Giallo paglierino vivo d'indomiti riflessi verdolini: così si è presentato alla vista. Al naso frutta bianca succosa e croccante, mela, pera, fiochi accenni di pesca che si accompagnavano a profumi floreali e un timbro sapido-minerale. Il palato, corrispodente, aveva già un buon equilibrio, con le sensazioni dure che chiudevano il sorso iniziato
Soave (non a caso) di morbidezze e rotondità felliniane. L'ho bevuto ascoltando Hendrix e l'abbinamento mi è parso azzeccato:
Spanish castle magic.
posted by Mauro Erro @ 12:53,
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Non ho delle birre la stessa consapevolezza che ho del vino (presunta e teorica). Per una serie di motivi. Innanzitutto per me la birra non riesce ad avere quel fascino, quel mistero di cui il vino s’ammanta e che muove la mia insana curiosità (fanatismo ad essere precisi). Poi, la non facile reperibilità di birre artigianali e di qualità in enoteche, pub, birrerie ecc. ecc. sicuramente non facilita chi vuole approfondire la conoscenza. Scritto questo, però, la birra mi piace. Ho ed ho sempre avuto un approccio soft ad essa: stappa, bevi, sorridi (se ti è piaciuta). Anzi a dirla tutta questa è la prima volta che ne scrivo. Sono sempre stato un amante delle scure e del loro gusto amaricante, ma è da un bel po’ che ho riscoperto con sommo piacere le bianche. Questa birra rientra nella categoria, appunto, delle Blanche: una rinfrescante birra basata sul frumento (non solo malto d’orzo quindi, ma anche altri cereali come l’avena e il grano), spesso aromatizzata con coriandolo e bucce d’arancia. In questo caso il colore è giallo oro anche se opacizzato dalla presenza di lieviti. La schiuma è abbondante, compatta e persistente. Al naso emergono sentori di agrumi e di coriandolo che ritroveremo al palato, dove la birra si presenta con un corpo rotondo e morbido. Sentori leggeri di miele anticipano la chiusura leggermente amara. Insomma ve la consiglio vivamente, rinfrescante tanto da portarla con se d’estate ovunque, e da bersi fresca. Unico neo, potreste non fermarvi mai. Da abbinare agli estivi, simpatici e non impegnativi Smash Mouth e alla loro
Walking on the sun.
posted by Mauro Erro @ 12:27,
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Li avevo lasciati cinque anni fa per ritrovarli ieri più in forma che mai. Un concerto di quasi due ore passate come un soffio, un attimo volato via. Ieri sera alla Mostra d’Oltremare di Napoli i R.E.M. hanno presentato il loro nuovo album,
Accelerate, il quattordicesimo dopo quattro anni di pausa (l’ultimo nel 2004). Ventisei canzoni, nessuna pausa tranne un'unica verso la fine del concerto: giusto per farsi pregare un po’, tornare sul palco e sparare gli ultimi 5 pezzi tra cui il super classico Losing my religion, cantata da tutto il pubblico, ovviamente in delirio. Un concerto di una carica eccezionale, il tempo vola e non ci si rende conto di essere arrivati alla fine. La band nata negli anni ottanta in un’università della Georgia, negli Stati Uniti, è stata, almeno inizialmente, la band che è riuscita a sdoganare il rock underground (indy) portandolo ad un più vasto pubblico: cosa non semplice considerando gli ermetici testi di Michael Stipe.
Tali testi utilizzano spesso la tecnica del cut-up mutuata da William Burroghs ("Pasto nudo"
il suo più celebre romanzo, il cui titolo fu coniato dall' amico Jack Kerouac
). Si tratta di testi generalmente molto immaginifici, espressionisti, tra l’altro molto attenti ai temi del sociale e dell'ambiente. Tra le canzoni del nuovo album che ho sentito per la prima volta ieri dal vivo (un ritorno al rock più crudo, vero, ed emozionante: davvero un bel album) vi segnalo,
Man-Sized Wreath,
Supernatural superserious,
Houston e
Hollow man. Momento emozionante della serata, la versione acustica di
Let me in, canzone scritta da Michael Stipe dopo aver appreso della scomparsa dell’amico Kurt Cobain.
P.S. Da abbinare ad un vino che ho nuovamente bevuto con amici recentemente:
Riesling Falkenstein Val Venosta 2006, Franz Pratzner: dal tono soave e il timbro cattivo.
posted by Mauro Erro @ 12:34,
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Ci sono persone che per quanto si sforzino proprio non riescono. Non riescono a cogliere l’elemento simbolico del vino, quello scarto di lato che rincretinisce milioni di appassionati in tutto il mondo. Favoleggiano, arringando le folle da celebrati pulpiti, tentando di miscelare discorsi che ad un orecchio attento appaiono stridenti, di fondere tra loro termini come cultura e mercato (da cui si potrebbe affermare che Berlusconi è il più grande intellettuale della fine del Novecento e di questo scorcio del nuovo millennio) o di trasformare il significato letterale di talune parole (quasi che mi viene la voglia di segnalare cotanto impegno all’Accademia della Crusca) per cui convivialità diventa faciloneria, approssimazione, superficialità. La capacità di mescolare con tanta confusione discorsi tra loro così differenti avendo l’intuito e l’abilità di dar loro una parvenza di logica (più o meno, spesso la logica non c’è) è propria degli arringa-popoli (e forse qui il Berlusca ci calza meglio): si sceglie un piedistallo e s’inizia a fare gli opinionisti, dimenticandosi il racconto.
È questo il momento del trapasso, o almeno lo spero, del passaggio, complice la crisi economica che si è abbattuta sul mondo occidentale, dalla moda alla cultura. Attorno a me vedo tanti giovani motivati che si spingono a studiare e sviscerare l’argomento vino con tanta curiosità e passione che prima neanche si poteva immaginare. Le persone ormai di vini celebrati e pluripremiati ne hanno bevuti a iosa arrivando alla conclusione che un gran bel nome o brand da 50, 100 euro la bottiglia, può tranquillamente riposare sullo scaffale: prender polvere e amen, perché se ne può fare a meno. La semplicità, il giusto prezzo, un vino schietto è ciò che più le persone vogliono. Ah certo i nostalgici, quelli vissuti nel turbinio dei ruggenti anni novanta, quelli che si sono arricchiti, quei produttori che oggi battono i pugni (e li batterebbero ovunque) rinnegando e maledicendo le riviste, le guide, le degustazioni, le sponsorizzazioni dimenticando che fino a qualche anno fa rincorrevano più veloci di Carl Lewis premi e riconoscimenti (a me non risulta che curatori di Guide e direttori di riviste abbiano mai puntato una pistola alla tempia di nessuno) o quegli enologi celebratissimi che a tavola parlano male dei loro vini, di quei vini “pacchiani, inconcepibili e inutili”, nonché i giornalisti-imprenditori, beh, di questi ne incontreremo ancora. Il vento è cambiato, persino in America, e le banderuole al vento cambiano direzione: cercano di aggrapparsi e vivere il cambiamento. Ma per quanto si sforzino proprio non riescono.
Eppure non bisogna essere cattivi con loro, non riconoscere il ruolo che determinate persone hanno avuto, soprattutto nel tirar fuori il vino Italiano dalla grave crisi degli anni ottanta dopo lo scandalo metanolo. Bisogna solo avere il giusto sentimento di pietade e compassione come lo si può avere verso quegli arzilli settantenni che rincorrono le sottane delle giovani ventenni: tentano in tutti modi di sentirsi vivi, non volendo prendere coscienza di appartenere al passato.
Ecco, sono il passato, e non vale la pena volgere lo sguardo indietro, tutt’al più prendere ciò che di buono hanno fatto e ci hanno lasciato.
Ah già, il vino. Sono di parte, è meglio dirlo subito. È uno dei miei vini del cuore, il mio Fiano preferito forse solo per un motivo prettamente affettivo. Giallo oro, naso ampio e intenso che spazia dalle note minerali, accenni di castagna e nocciola, note affumicate, frutta matura con nuance esotiche fino ai fiori bianchi e alle spezie dolci. Al palato colpisce per l’ingresso soave ed elegante, morbido come il burro fuso ed allo stesso tempo vivo, di una giovanile verve, di un’acidità presente e di una mineralità affascinante. Non vede legni di alcun tipo, proviene da una vecchia vigna che presenta piante vecchie di cinquant’anni; circa seimila bottiglie e costa 17, 18 euro o giù di lì.
The end, The Doors.
P.S. Segnalo, a proposito di questi discorsi, un bellissimo scritto apparso sul blog
divino scrivere a firma del caro amico Luigi Metropoli. Buona lettura.
posted by Mauro Erro @ 12:46,
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Trent'anni
lunedì 21 luglio 2008
".... sono stupendi i trent'anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l'angoscia dell'attesa, non è cominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, trent'anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna.
E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani. Non temiamo i rimproveri degli adulti perché anche noi siamo adulti...
Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista. Non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c'è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell'olio santo.
Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore, da “grandi".
Oriana Fallaci
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
P.S. Oggi compio trent'anni, ma più divento adulto e più mi sento cretino...bah...
posted by Mauro Erro @ 13:30,
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Classifiche, punteggi e guide hanno senso? Beh, per me no, e soprattutto quando si parla di vino. Ma se si riesce a prenderle con la giusta dose di ironia e di scanzonata serenità, in fondo non fanno male a nessuno (
beh, proprio a nessuno nessuno, no, stando a quello che scrive qui Andrea Gori). È così che riprendendo un post appena uscito sul Vino al vino di Franco Ziliani, vi comunico che Blogbabel, la piattaforma che indicizza i blog italiani più seguiti secondo algoritmi, numeri, link e quant’altro che io proprio non conosco (contrariamente a quanto si possa pensare, io d’informatica, tag, feed e 2.0 non ne capisco un bel niente), ha riaperto. Visto che, da più parti mi è stato chiesto, non ho una lista o blogroll come si suol dire (scusatemi, ma discorsi come scambio link e roba del genere, a me sembrano una gran paraculata, se uno apprezza quello che scrive un altro o lo manifesta o lo linka e amen), approfitto anche per segnalarvi altri blog che parlano di vino, proponendovi la classifica dei blog più seguiti che narrano le vicende di Bacco. Di alcuni sono affezionato lettore, di altri no, altri sono stati una piacevole scoperta. Due considerazioni finali: la prima è poco più di un ringraziamento, perché questo blog, che voleva e vuole essere semplicemente un diario di appunti per me che sono un disordinato cronico, dopo poco più di sei mesi si piazza al nono posto di questa classifica. La seconda è che in questa classifica non ci sono siti come quello di Luciano Pignataro (al 648 posto) e Tigullio vino di Filippo Ronco (al 1376) perché siti e non blog. Tra parentesi troverete la posizione della classifica generale, comandata ovviamente dal comico genovese Beppe Grillo.
Vino al Vino (315)
Aristide (729)
Vino e Co. (830)
Vino da Burde (859)
Vino 24.Tv (878)
Vino di Rizzari e Gentili (898)
Diario Enotecario (1141)
Esalazioni etiliche (1369)
Il viandante bevitore (1778)
Ma la notte no, e chi vuol capire, capisca....
posted by Mauro Erro @ 12:46,
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È con piacere che vi segnalo le note degustative scritte da Giacinto Chirichella (con cui ho condiviso le scorribande vinose e virtuali ai tempi del
maiale ubriaco) sui rosati francesi di scena alla Fabbrica dei Sapori di Battipaglia qualche giorno fa, che trovate
qui sul sito del’Ais delegazione di Napoli. Una degustazione guidata da Giovanni Ascione che ha aperto la lunga festa del rosato organizzata da
Luciano Pignataro.
Non mi rimane che ringraziare per la disponibilità e la tempestività il buon Giacinto.
P.S. Foto di Tommaso Luongo.
posted by Mauro Erro @ 12:08,
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Attendendo questa sera, quando vi sarà il terzo ed ultimo atto di questa maratona riesling, sul sito dell'Associazione Italiana Sommelier delegazione di Napoli potete trovare il
secondo mio resoconto: dopo la classificazione in base al grado zuccherino che potete leggere
qui, inizio, nel modo più sintetico possibile, ad illustrare le varie zone. Mancano questa volta le note di degustazione degli otto vini bevuti (tra cui quell'85 di cui, qualche post più dietro, ho scritto), che prossimamente la penna di Claudio Tenuta vergherà, e di cui vi darò prontamente notizia. Nel frattempo: Sex pistols,
my way...
posted by Mauro Erro @ 12:42,
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Immagino che tutti voi aspiriate ad un bianco fresco, dall’acidità tagliente, rinfrescante, da bersi ghiacciato in questa calura che non da tregua. Ma trovandomi durante una cena con compagne (compagna, singolare, altrimenti mi s’incazza), fratelli ed amici annessi, e constatato che dopo poco più di un quarto d’ora, in quattro, avevamo svuotato la bottiglia di Pinot nero, mentre uno Chardonnay del Mâconnais e il Greco Case Sparse del 2005 di Antoine Gaita giacevano in attesa con tre quarti di vino forse gelosi, ho dedotto di poter condividere la bevuta raccontandola perché questo è di quei vini che anche a ferragosto, anche sotto l’ombrellone, senza bicchieri e
a canna, potrete bere traendone godimento puro. Un bel rubino colora il bicchiere che avvicinato al naso presenta in maniera impeccabile sentori di frutta di ciliegia e lamponi di tal fragranza e succosità,
di tale carnosità e giovanile freschezza, che pare di addentare i frutti uno ad uno strappandoli alla radice. Di seguito note animali, leggeri toni di spezie, un sentore accennato di vaniglia e un sottofondo “terragno”. Al palato lieve, soave, femminile come sanno essere solo alcuni Pinot Nero della Borgogna, tanto accattivanti e sensuali e di rara grazia che possederli è un istinto sì brutale, sì animale, sì primordiale, ma tanto naturale da esser semplicemente giusto e da assecondare senza pensarci su due volte. Rapporto qualità-prezzo in grande spolvero, chiude il sorso leggermente astringente. Tra due, tre anni e più sarà ancor più emozionante di quello che già è.
Una canzone per te, Vasco Rossi: dedicata ai Pinot Nero, alla donna, la mia donna (e stavolta non perchè mi s'incazza) con cui l'ho condiviso; agli amori, alle mamme e alle figlie, a tutto il femmineo che fa parte di questo mondo che da un senso alle cose e ci rende la vita semplicemente più bella.
posted by Mauro Erro @ 12:18,
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Il Sonnenhur, il cui nome deriva dalla grande meridiana costruita nel 1842 da Jodocus Prüm, il patriarca delle varie famiglie Prüm, è un vigneto che si divide tra i due paesini di Wehlen e Zeltinger
di 110 ettari dalla pendenza di 45°, esposto verso sud-sud/ovest e i cui terreni sono di ardesia grigia-nera: gran parte delle viti sono a piede franco. Per molti amanti del riesling, quelli prodotti nella Wehlener Sonnenuhr sono i migliori in assoluto, i più eleganti della Mosella: questo si è mostrato di color oro carico, presentando però, riflessi giovanili che mai avrebbero fatto supporre la sua età: 23 anni! I profumi sono paurosamente ampi: il naso vaga da una sensazione all’altra, tutte di eccellente nitidezza. Dai sentori di agrumi quali pompelmo e lime, a rimandi terrosi, note animali e selvagge, ananas maturo su un sottofondo minerale e di dolci spezie. Al palato colpisce per la capacità di sapersi imporre con pienezza gustativa mantenendo una snellezza ed una facilità di beva grazie alla componente acida ancor viva e, soprattutto, per la sapidità di cui questo vino è ben dotato. Bellissimo, sarà banale, ma talvolta le parole non bastano. L’unica cosa che posso aggiungere, è che presa un po’ di dimestichezza con questi vini, nomi che vi appariranno impronunciabili, forse brutti (con tutto il rispetto per i tedeschi), cacofonici, inizieranno una volta che li ascolterete ad acquistare un’aura diversa, vi appariranno come celestiali note e musiche: parole che diverranno nuove porte della percezione.
John Coltrane.
P.S. Chi volesse approfondire la conoscenza dei Riesling Tedeschi e delle varie zone di produzione può leggere
qui, sul sito enodelirio, i tanti articoli a firma dell'amico Francesco Agostini, grande esperto in materia.
posted by Mauro Erro @ 11:59,
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Del ragazzo istrionico, simpatico ed eccentrico vi ho già detto. Sabino Loffredo titolare dell’azienda Pietracupa in Montefredane (Avellino) è secondo me uno dei “bianchisti” migliori in circolazione. Dei suoi vini ho sempre preferito i due base – Fiano e Greco – rispetto alle due selezioni, Cupo da Fiano di Avellino e G da Greco di Tufo, pluripremiati dalle guide e prodotte solo quando ritenuto opportuno. Di seguito la cronaca di una bevuta prolungata.
1° giorno: Si trova a condividere secchiello e ghiaccio con il più giovane Pinot bianco Vorberg.
Oro carico di buona luminosità, al naso evidenzia subito una nota a cavallo tra sensazioni minerali e di medicinale, di sporco (feccino?) che accompagna note aeree di menta. Leggeri toni ossidati (nobili) e di frutta matura. Al palato ha buona consistenza e volume; buona acidità, chiude su una scia sapida.
2° giorno: Come ogni grande vino il giorno dopo è più buono che mai. La nota di sporco al naso è completamente scomparsa per lasciare spazio alla sinfonia che il giorno prima era da ricercare. Frutta matura, toni balsamici, anice, grande mineralità che si percepisce nitida, note di pelle conciata. Al palato sentori di burro e frutta matura aprono le danze, ma la nota distintiva è la scia sapida che lascia il palato pulitissimo e pronto al nuovo incontro d’amore.
Barry White.
posted by Mauro Erro @ 11:47,
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Spesso indugio in alcune considerazioni ché, per quanto possano essere semplici, addirittura banali, forse ai più, a quelli che si suol definire “normali consumatori”, possono essere di dubbia comprensione. Un grande vino, uno di quelli per cui ci si emoziona e non si “beve” soltanto, è sempre il frutto di un territorio particolare, in cui un determinato vitigno con le sue prerogative si è ben acclimatato e dell’intervento o meglio, dell’allevamento di un uomo che si preoccupa di non guastare troppo quello che Madre Natura gli ha donato. Il giusto equilibrio tra queste componenti, indipendentemente dall’annata che sarà più o meno buona, ci regala un succo, un concentrato emotivo che chiamiamo Vino (con la “V” maiuscola). In questo caso il territorio è quello del versante est dell'Etna, ad un’altitudine di circa 1000 metri sul livello del mare su terreni sabbioso-vulcanici che permettono la coltivazione della vite su piede franco.
Il vitigno è il Carricante, una varietà estremamente tardiva e con un contenuto di acidità totale elevatissimo, il che spiega come questo vino possa essere lontano dallo stereotipo di tanti bianchi siciliani a me indigesti tutta “ciccia e brufoli”, pardon, tutta “ciccia e alcool”. L’enologo è Salvo Foti e non mi pare ci sia bisogno di aggiungere altro. Il colore è giallo paglierino impreziosito da fulminei lampi dorati. Il ventaglio olfattivo è ampio e spazia da un’insistente quanto costante nota minerale-vulcanica, che rappresenta lo sfondo su cui s’alternano in scena numerosi teatranti: i fiori bianchi seguiti dalla frutta quasi esotica, (ma né invadente, né melliflua), da note d’agrumi, poi i fiori di zagara e note di pasta di mandorla (cosi è se vi pare). Al palato la beva è trascinante grazie alla sapidità di matrice minerale che sfruculia (nel dialetto napoletano assume diverse accezioni a seconda del contesto, in questo caso: stuzzica) la lingua: state già ampiamente salivando per l’importante acidità che s’avverte, mentre vi scorrono attraverso la bocca fino alla mente i sapori i cui profumi avevate annusato e le immagini della Sicilia, nuda e pura, che, finita l’interpretazione magistrale che il vino ha dato e chiuso il sipario, non rimane che organizzare un viaggio per quelle terre. Mattanza, Vitti 'na crozza.
posted by Mauro Erro @ 11:52,
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Sussurrato dapprima ti si rivolge fievole, abbigliato di un giallo paglierino lieve e cangiante di riflessi e riverberi verdolini di luminosa brillantezza. Continua a imbastire un registro di nitida chiarezza e purezza, di slancio verticale, mineral-roccioso, aprendo di tanto in tanto cori di balsamico tono, per poi ricordarti i fiori e solo alla fine i frutti. Al palato è sincero, pieno, verticale, puro come l'acqua che sgorga da una sorgente di montagna, che è d'altronde la sua casa originaria, lasciandoti la bocca pulita, rinfrescata da quella scia sapida che chiude il sorso: quel sorso che il palato, il cuore, la mente già rimpiangono. Vivaddio, puoi riempire nuovamente il bicchiere, il calice che non stanchi mai di svuotare nuovamente. Un bianco di montagna, di stazza, di nitida felicità. George Harrison,
Love you to...
posted by Mauro Erro @ 11:42,
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Le nostre classi dirigenti, la nostra cultura, la nostra scuola, perfino la nostra famiglia non hanno fatto nulla per coltivare in noi questa coscienza, forse anche per renderci la vita più facile, in quanto la coscienza è, per chi ce l’ha, il più scomodo dei giudici, l’unico che non possiamo ingannare. Ma è anche il solo che fa di un uomo un vero uomo, di un cittadino un vero cittadino, di un soldato un vero soldato. Finché questo manca, è inutile cambiare regimi, Costituzioni, leggi e regole: troveremo sempre il modo di aggirarle.Io ho perso, cari ragazzi, questa battaglia. Ma per sessantacinque anni l’ho fatta rompendomici la testa. Voi dovete ancor cominciarla, e quindi non avete per ora il diritto di giungere alle mie conclusioni.Avete invece il dovere di rifiutarle e di dire a voi stessi, e l’uno all’altro, sputando magari sul mio nome: “Noi questa battaglia la vinceremo”. E infatti, se siete uniti e risoluti, potete vincerla. Ma anche se vincerla non potrete, un compenso lo avrete: quello di potervi guardare allo specchio senza arrossire di voi stessi, perché allo specchio, cioè al bilancio della propria vita, prima o poi ci si arriva.E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli hidalgos spagnoli: “La sconfitta è il blasone delle anime nobili”. Di Indro Montanelli dalle Stanze de Il Corriere della Sera, 31 dicembre 1997
posted by Mauro Erro @ 09:28,
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Gino Sorbillo batte Mauro Erro 1 a 0.
Amo la buona tavola, gli ottimi vini, gli amici sinceri, le donne (quelle intelligenti, simpatiche e di quella bellezza che viene dalla gioiosa e gaudente voglia di vivere. Le misure, per me contano molto poco). Ovviamente, a questa lista si può aggiungere tutto ciò che arreca piacere alla vita di un uomo, dalla letteratura alla musica e via discorrendo. Tutto questo per dirvi che è raro che io non sia accompagnato durante i miei pellegrinaggi culinari, e che è altrettanto raro che abbia difficoltà ad arrivare alla fine di un pasto, solitamente molto cospicuo. Cospicuo non per fame, ma per golosità.
A Napoli, trovare una pizzeria è cosa assai semplice, perché non vi è nulla da cercare visto che ogni dieci metri, in ogni vicolo, anfratto, in ogni piazza o strada troverete un forno ed un pizzaiolo. Ma trovare una pizza fatta
a mestiere, beh, è cosa assai più complicata. In via dei Tribunali 32, nel pieno centro storico di Napoli, ha sede – unica, come tengono a sottolineare i proprietari – la pizzeria di Gino
Sorbillo che continua la tradizione di famiglia: il nonno Luigi iniziò il mestiere e procreò ben 21 figli tutti pizzaioli. Già questa storia basterebbe ad allietarmi. Dal 1935 questi signori sono lì in un locale il cui pavimento è fatto semplicemente di
vasoli (basolato lavico di cui è fatta la pavimentazione stradale) a sfornare fragranti pizze in quantità “industriale”. Tocca, prima di accomodarsi agli altrettanto semplici tavolini di marmo, aspettare una buona mezz’ora (in qualsiasi serata della settimana, figuratevi il weekend), ma ne vale la pena. Io sono andato sul classico: margherita (ho chiesto la variante con la mozzarella di bufala, ma qui le varianti non esistono) e il calzone ripieno fritto al forno (ricotta,
cicoli – grasso di maiale – e pepe nero). Il servizio semplice e cordiale mi ha portato un
criaturo (il calzone) di 50 cm, delizioso con i
cicoli tagliati a listelli e non a cubetti come solitamente s’incontra e che solo a guardarlo c’era da commuoversi. La margherita era di quelle tradizionali e dal diametro simile alla ruota di un carro. Insomma, a fatica sono arrivato alla fine. Conto finale per due persone: 13, 86 euro (margherita 3,30 – calzone dedicato ai nonni 7,30, due bottigliette d’acqua 2, servizio 10%). Cosa chiedere di più?
Gino Sorbillo batte Mauro Erro 1 a 0.
Ci sarà la gara di ritorno ed ovviamente sarò molto più preparato.
‘A rumba de’scugnizzi.
posted by Mauro Erro @ 11:07,
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Didier e Catherine Champalou discendono da famiglie di vigneron ed in poco tempo – dalla seconda metà degli anni ’80 – hanno saputo affermarsi tra i migliori produttori della zona. A differenza di quello di Huet, di cui ho parlato
qui, questo vino fa dell’opulenza e della grassezza una sua caratteristica, senza dimenticare, ovviamente, il classico finale acido-sapido che appartiene agli chenin blanc di questa denominazione. Da terreni argillosi e dopo un passaggio in vecchie botti, questo vino si è presentato di color oro carico brillante e intenso di riflessi scintillanti. Al naso, che definirei “cicciuto”, tanta materia in primo piano, frutta di ananas, ma anche note di frutta secca e sfumature minerali. Al palato la beva è appagante, piena, grande volume nel centro bocca, ma buona verticalità, minerale chiude molto lungo su una scia sapida. Brioso.
Salsa.
posted by Mauro Erro @ 12:38,
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Il vino di Raffaele Moccia è il simbolo di una piccola enclave, di un presidio di naturale bellezza in una metropoli come Napoli: un fazzoletto di terra alle pendici della riserva naturale degli Astroni, ad Agnano (lì dove pare si voglia costruire, ahimè, il nuovo inceneritore). Una falanghina pensata e voluta come vino da invecchiamento, come vino importante e non “bananizzato” come molti produttori fanno. Il terroir gioca la sua parte, così come la consulenza dell’enologo Maurizio De Simone, così come il valore del tempo: questo vino viene immesso sul mercato a distanza di due o tre anni, solo quando ritenuto pronto. Il colore è un dorato carico di bella nitidezza e riflessi luminosi, al naso è semplicemente affascinante nella sua apertura che va dai toni minerali e sulfurei, fino ai sentori d’agrumi, di spezie dolci e frutta matura. Al palato l’ingresso è dolce, morbido e caldo: la mineralità la fa da padrone con una bella scia sapida. Forse un po’ seduto per l’annata calda che ha penalizzato molti di questi vini nella componente acida, ma come detto da un caro amico con cui ne parlavo: macchissenefrega!!! The Beach Boys, Good Vibrations.
posted by Mauro Erro @ 11:37,
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L’Azienda Agricola San Francesco a Tramonti sulla Costiera Amalfitana, di cui vi ho già parlato
qui e
qui, non finisce mai di stupirmi. L’assaggio del Pereva 2007, vino che amo particolarmente, tanto da consigliarvi di dotare sempre di almeno tre bottiglie la vostra cantina, è stato “meravigliato” e meraviglioso. Lo stupore questa volta nasce dal fatto che non avevo chissà quali aspettative visto che l’annata 2007 (evitando come sempre le generalizzazioni), nei vari assaggi, sta mostrando come sia stata assai difficile.
Il Pereva nasce da una vigna particolarmente pregiata un tempo posseduta da preti (nota infatti come "
Vigna de' Previti"). Il vigneto, ad alta densità d’impianto, è posto tra i 300 e i 500 metri sul livello del mare. La produzione si aggira tra i 70 e i 90 quintali per ettaro. Si presenta di un giallo paglierino brillante e luminoso. Al naso minerale si aggiungono note di erbe aromatiche, frutta bianca e fiori bianchi. Attenzione, parliamo, anche se ci troviamo in costiera amalfitana, di un bianco di “montagna” che predilige la finezza e non l’ostentazione e che al palato si fa bere grazie all’acidità trascinante che rinfresca il palato. Come ho già scritto, meraviglioso: scende, nonostante il grado alcolico sostenuto (14%), come una limonata.
Lemon tree.
posted by Mauro Erro @ 12:31,
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???
martedì 1 luglio 2008
Ho avuto la fortuna nella vita di scoprire una grande passione: il vino. Dietro esso mi
perdo da un po’: alla sua ricerca, alla ricerca dei gesti che vengono tramandati da generazioni, della semplicità di un fare oramai lontano e che non mi appartiene, dei piccoli piaceri nella loro ovvietà, una ricerca che diviene introspettiva, forse inconsapevole e forse no, del significato di quell’intervallo di tempo di cui conosciamo l’inizio e non la fine che chiamiamo vita. Ed allora, talvolta anche con foga, riempiamo quest’intervallo di fatti, pensieri, opinioni, certezze che spesso durano il battito di un ciglio. Poi capita accadano fatti che ti obbligano a fermarti tentando di dare risposta a questo groviglio che chiamiamo vita e il cui bandolo, almeno io, almeno adesso, non riesco a trovare. Morire a vent’anni che senso ha? Morire durante una gita, tra persone amiche, quando si ha semplicemente voglia di essere felici, di godersi la propria giovinezza, in un momento in cui si vuole staccare la spina dalle ansie che ti turbano quando guardi innanzi verso il tuo futuro e cerchi semplicemente di divertirti?
Morire a vent’anni, nel pieno della propria maturazione, nel momento in cui i desideri prendono forma, in cui la consapevolezza della vita che stai vivendo forse prende forma, mi chiedo, che senso può avere?
Oggi niente vino. Scusatemi, a domani.
Mozart.
posted by Mauro Erro @ 11:06,
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