Rabbia? Rammarico? Cosa prevale dopo una sconfitta così? Una certa pacificazione? Per dirla alla Vialli: hai visto la tua ex con l’altro e amen, è andata, si gira pagina? Provando quel leggero brivido dietro la schiena per la sottile ironia del destino: l’hai vista al 71esimo. O per dirla in un altro modo: questo sarebbe lo squadrone? Non sono nessuno, starà dicendo la maggior parte dei napoletani stamattina al bar o in edicola parlando della Juve. Tipico di chi preferisce non fare per non sbagliare sentendosi così legittimato a giudicar gli altri. E ancora, ha fatto bene a giocare con Diawara, perché voleva più fisicità e filtro a centrocampo (primo non prenderle come recita la vecchia regola Bearzotiana)? O ha fatto male perché abbiamo pagato in costruzione del gioco, abbiamo fatto pochissimo e quando eravamo sotto soprattutto? Noi provavamo a prenderli alti, loro ci prendevano alti, e Reina mai come in questa partita rilanciava lungo per i tre colossi, Insigne, Mertens, Callejon. E non era meglio Jorginho che con maggiore personalità si fa vedere sempre nella fase d’impostazione? Chissà. E ancora, perché ha tolto Insigne? E perché Insigne, inquadrato, si tirava i piedi al 60esimo varie volte? Ma perché in questa stagione Insigne, da un Europeo in cui ha giocato poco, manca di brillantezza e spesso al 60esimo o giù di lì già ha finito la benzina? Perché quella personalità, quella voglia di giocare, quella rabbia e quella fame, la voglia di andare a segnare l’abbiamo messa quando siamo andati sotto, pareggiandola in breve tempo e non dall’inizio?
Chissà quante volte l’abbiamo rigiocata da ieri sera nella nostra testa.
E’ difficile mettere i voti ad una partita così brutta in cui, pressappoco, la Juve fa due tiri, due gol ed entrambi vengono da assist di Ghoulam. Il primo è un incidente, il secondo un errore individuale di Allan senza carburante e mordente che non mantiene le distanze, non scende con la difesa e si guarda Higuain. Chiriches neanche quello, si gira, davanti al plotone d’esecuzione, invece di andare incontro al destino, accorciando. Finisce con l’amaro in bocca e con fiducia nel sol dell’avvenire, che prevalga l’uno o l’altro è predisposizione individuale. Il Napoli è abbastanza forte, ma non abbastanza da andare a vincere a Torino, penalizzato da una panchina cortissima in attacco, e dalla giovane età, dal non essere, ancora, un gruppo vincente, di non aver aperto, ancora, un ciclo, come la squadra che aveva di fronte, che dalla sua non ha la qualità del gioco, ancora, ma ha diversi campioni in grado di risolvere la partita al primo errore dell’avversario, che ha, ancora, quella cattiveria e quella fame di voler continuare a vincere. Mi pare di averla già sentita. Ah, sì, lo ripete Sarri (che pure sbaglia) a tutta l’Italia in cerca di un’anti-Juve e di qualcosa di cui parlare, e a tutta Napoli, da sempre la più vorace.
Undicesima di campionato. Juventus - Napoli 2 a 1
[prove tecniche di rubrica di un tifoso anglo-napoletano: Il deserto dei leoni]
Adoro le speculazioni, quelle intelletuali dico, e dopo l’affaire Gardini-Eurospin ne ho lette parecchie su social e siti. Dal sonetto in rima sarcastico alla difesa a spada sguainata (è tutta invidia) all’attenta analisi dell’operazione commerciale che qualcuno ha definito persino geniale.
Quello che non credo di aver letto, invece, e mi scuso del fatto e dell’eventuale ripetizione, ma purtroppo anch’io ogni tanto devo lavorare è che: non sarà il caso specifico, le economie di scala spiegano tutto, è tutto in regola, i vini sono pure non c’è male ed è solo una politica commerciale molto aggressiva, che tra poco saranno loro a pagare noi pur di farci bere questi vini, ma…
Ma io quando giravo per vigne, vini a prezzi così bassi me li spiegavano proprio come speculazioni: ma non di tipo filosofico. Quelle sul tipo, per fare un esempio, che hanno fatto perdere tutto ai produtori di pomodoro a Pachino, soldi, aziende, beni e terre. O ad esempio, per tornare al vino, che era colpa delle eccedenze e delle giacenze perché in Italia si produce troppo, il vino giace e il prezzo rimane basso, che dietro talvolta c’erano vere e proprie truffe, il giro delle carte, come fosse il gioco di prestigio delle tre, con uve da tavola - se va bene - che diventano Doc, o ancora con prezzi così bassi che non valeva neanche la pena raccoglierla l’uva, meglio lasciarla sulla pianta, meglio abbandonare la vigna, meglio comprarlo altrove il vino già bello e fatto, altra uva, altra denominazione inutile o in sofferenza e farselo arrivare di notte con le autocisterne e via così. Insomma, niente che si possa definire geniale, spesso pure un vino di merda. Ma così va il mondo.
Poi ripeto, non parlo del caso specifico, come ho scritto sarà tutto in regola, lecito e pure buono, ho solo avuto, quando ne ho scritto, una certa apprensione per la salute del Gardini, e allo stesso tempo ne ho apprezzato la verve comica degna del miglior Chaplin: un negroamaro a 1,89 euro abbinato al risotto al tartufo è deliziosa; immagino che il tartufo a 1,89 euro l’etto lo abbia Eurospin.
Però so bene a quale consumatore si rivolge quella campagna, il dubbio e la domanda mi sono venute a leggere certe reazioni: se poi i tanti appassionati, operatori e produttori che parlano di etica, economia equa, salubrità del prodotto e salute del consumatore, tracciabilità, chimica, prezzo alla fonte, identità, vini naturali, chi più ne ha più ne metta, hanno pensato, almeno per un attimo, leggendo come me le tante speculazioni filosofiche pregne di sofismi: vabbè, dai, è tutto inutile.
Il Napoli è ordinato, segna, soffre, gioca in undici compreso il portiere, e prende i tre punti. Sembra quasi quella squadra piemontese: non da spettacolo ma vince, dando l’opportunità a Reina (6 ½) di essere decisivo in due occasioni come fosse un Gigi. Il Napoli (6 ½) non trova sfogo alle sue trame di gioco, sopratutto quando si crossa dai lati, quando ha davanti l’avversario schierato, e l’Empoli si difende molto bene, anche se le sue occasioni le crea: nitide, almeno tre davanti al portiere, due delle quali, però, in ripartenza, quando il nuovo trio di attacco riesce a trovare profondità. L’alternativa è fare quel passo in più in avanti, aggredire l’avversario, rubare palla, e trovare il gol con Mertens (7). Quando il passo è all’indietro, invece, soffriamo persino al San Paolo contro l’Empoli capace di segnare solo due gol in campionato. Non è solo un fatto di testa, ma anche di brillantezza fisica, prendi ad esempio Jorginho, fin quando c’è fiato si prende un bel 7, sfiorando anche il gol. Prendi Insigne che spesso sbaglia la scelta, che si prende i fischi e i mugugni, che però fa la differenza quando la mette sulla testa di Callejon (6 ½) davanti a Skorupski, che però fa Totti quando molto prima della linea di centrocampo d’esterno lancia Mertens in profondità tra di due difensori, che si sacrifica sulla fascia, coprendo Ghoulam e le linee di passaggio: c’è dentro genio e sregolatezza, devozione e calvario, un gol che non arriva: fanno un 8 generoso e senza parentesi, per la prestazione e la storia. Il resto sono le sostituzioni, Hamsik che è sempre un cambio di passo, Hysaj che è più solido di Maggio (5) su Croce: perdiamo comunque le distanze, disunendoci e il gol di Chiriches (7 per prestazione + gol) ci da la tranquillità per iniziare a pensare a Torino.
Decima di campionato. Napoli - Empoli 2 a 0.
[prove tecniche di rubrica di un tifoso anglo-napoletano: Il deserto dei leoni]
Alla vigilia di Juve - Napoli, dello scorso anno, Arrigo Sacchi disse: Alla Juve per vincere basta fare la Juve, il Napoli deve fare la partita perfetta. Ossia: la Juve può giocare pure male, come spesso accade, ma la solidità nonché il cinismo di cui è dotata e qualche campioncino in squadra gli permettono quasi sempre di portare il risultato a casa, mentre il Napoli deve tirar fuori la sua migliore prestazione di squadra. Come andò a finire lo sappiamo tutti. Il Napoli è il miglior collettivo in campo, il che non vuol dire la migliore rosa. Quest’anno Juve e Inter ci sono sulla carta superiori, forse pure la Roma, eppure basta guardare a ciò che accade a Milano. Questo per dire soprattutto del povero Jorginho, il miglior metodista dello scorso campionato che quest’anno paga, soprattutto in alcune partite, l’aumento delle distanze tra i reparti. Siamo più lunghi, lui, mingherlino, deve correre di più e la mancanza di ossigeno gli fa sbagliare qualche passaggio, ahinoi in qualche caso decisivo. Lui si esalta quando gioca vicino. E mica solo lui: uno dei più bravi con queste caratteristiche si chiama Marco Verratti, sta a Paris, lo voleva il Real. Uno che un paio di settimane fa emulava Jorginho in Nazionale con un retropassaggio sbagliato a Buffon - che emulava il Reina peggiore - da cui veniva il momentaneo pareggio macedone. E questo che c’entra? Non è questa la domanda, ma quella che segue: dopo l'Empoli, sabato a Torino, Jorginho o Diawara? Perché sono abbastanza sicuro che il giovane 19enne guineano stamane si è preso gran parte delle prime pagine dei giornali e molti dei cuori dei tifosi. È il nuovo salvatore della patria, strumento per portare avanti l’insolita battaglia del nuovo che avanza e dei giovani, espressione della frangia renzista della tifoseria napoletana che qualche settimana fa approfittava di Zielinski, diventato Boniek a sua insaputa. Eppure, guarda caso, Sarri fa esordire Diawara (6) con il fanalino di coda Crotone, un punto solo al momento in campionato: e lui ha l’intelligenza, l’umiltà e la furbizia per capire che meno ha la palla tra i piedi e meno sbaglia. Gioca uno o due tocchi al massimo, appoggia sempre dietro ai centrali o in orizzontale per un Hamsik sottotono o per Allan. Diligente, ordinato, è come il Napoli fino al 31esimo del primo tempo, fino all’espulsione di Gabbiadini. Per il resto è anonimo, come il Napoli, come la partita, bruttina che non è commentabile a meno di prendersi molto sul serio: in 10, contro il Crotone, non c’è molto da dire. Se non che il corollario del ragionamento è che del Napoli spesso bisognerebbe parlare o scrivere del collettivo e meno dei singoli, e non farò eccezione per Gabbiadini: almeno ci ha tolto dagli impicci e da qui a sabato sappiamo cosa dovremo fare. La farò invece per Reina (6 ½) e per il suo intervento, sempre 31esimo ma del secondo tempo, su Falcinelli mentre Koulibaly andava per farfalle. La farò per Sarri (7) che a Napoli ha capito quanto la percezione del tempo, qui accelerato, sia opinabile: per una piccola crisi di tre partite da indiscusso Maestro di calcio adesso ha sei milioni di tifosi che gli vogliono spiegare come deve fare ciò che non hanno mai fatto e che lui fa.
Nona di campionato. Crotone - Napoli 1 a 2
[prove tecniche di rubrica di un tifoso anglo-napoletano: Il deserto dei leoni]
Chianti Classico Retromarcia 2014, Montebernardi ***+
Soffuso, mite, delicato e immediato, profuma di ciliegia, erbe aromatiche e spezie. Ha tocco felpato al palato, carezzevole, espansivo: finale mediamente lungo sul frutto e le erbe, appena asciugato da un leggero tannino vellutato. Intorno ai 12 euro in enoteca.
Perricone 2014, Di Legami ***
Appena stappato questo vino trapanese da sole uve perricone profuma di frutti di bosco, spezie scure, carrubo, note resinose. Al sorso è pieno, ha presa sapida, e leggera derapata alcolica sul finale. Intorno ai 12 euro in enoteca.
Piedirosso dei Campi Flegrei 2015, Agnanum - Raffaele Moccia *** ½
È tra le versioni più pulite e precise, la più fruttata, meno sfumata e floreale, il nuovo piedirosso di Raffaele Moccia. Dal gusto e dalla stoffa più piena al palato, sapido al finale è il frutto anche delle nuove (vecchie) vigne entrate in produzione; quasi triplica la tiratura: circa 6.500 bottiglie in commercio, prossime ad esaurirsi. Intorno ai 10 euro in enoteca.
Muller Thurgau 2015, Rottensteiner ***+
Preciso e delicato al naso con le note di pepe bianco e i rimandi silvestri, alla bocca ha insolita tracotanza di stoffa: saporito, lungo e chiaro il finale. Intorno ai 12 euro in enoteca.
Soave Castelcerino 2015, Coffele ***+
Giovanissimo, liberatosi delle primarie note post-fermentative rivela un gradevole bouquet di pesca bianca, eucalipto, mandorla. Al palato ha tensione e bella espansione, finale pulito e rinfrescante. Intorno ai 10 euro in enoteca.
Colline novaresi Mot Ziflon 2013, Francesco Brigatti ***+
Un naso chiaro, profondo di frutto, di note pepate, di violetta e di cuoio. Bocca succosa, tannini presenti ma che non asciugano grazie all’ acidità che allunga il sorso lasciando spazio alle reminiscenze floreali. Intorno ai 13 euro in enoteca.
Vallée d'Aoste Donnas 2013, Caves de Donnas *** ½
Dopo averlo ossigenato offre delicati frutti di bosco questo nebbiolo picotendro (con un saldo di freisa 5% e neyret 5%), un luminoso affresco mediterraneo silvestre e balsamico, note di fiori blu. Più austero al palato, di buon succo e finale asciutto, con tannini fitti e sottili e acidità ripulente, da nobilitare a tavola. Intorno ai 11 euro in enoteca.
Soave Calvarino 2013, Pieropan *** ½
Se valgono le suggestioni, alla cieca avrei detto un buon pinot bianco altoatesino in annata calda. Per quel suo corredo floreale, di erbe, segnate però da una certa rotondità. Pienezza che fa da partenza al sorso che diventa più delicato ed esile in chiusura. Intorno ai 25 euro in enoteca.
Chablis 2014, Denis Race ***+
Ha naso immediato, sfaccettato e luminoso, una spruzzata di agrumi, di toni salmastri, di fiori e delicati rimandi vegetali. Ha palato fragrante e corpo medio, finale preciso e ricamato, seppure delicato. Da aperitivo come buon inizio. Intorno ai 18 euro in enoteca.
Chianti Classico riserva Il Poggio 2006, Castello di Monsanto ****+
Ben disegnato, articolato, frutto e spezie, erbe e un tocco di arancia. Ha pienezza al sorso, discreta energia e sapidità, tannino levigato che non frena il finale. Per crema e struttura tannica alla cieca diresti Montalcino. Intorno ai 65 euro in enoteca.
St Aubin 1er cru Les Perrières 2014, Domaine Prudhon ****
Un infante sì, ma sarà l’annata, è già loquace e oltre il grasso del legno, oltre le note minerali di polvere da sparo, apre a vispe note di erbe aromatiche e cedro. Palato succoso e sapido, rifrescante grazie all’energia acida che decora il finale ricco di ritorni aromatici. Intorno ai 30 euro in enoteca.
La scoperta mi arriva da Fiorenzo Sartore che su Intravino segnala e racconta della nuova consulenza di Luca Gardini per Eurospin e per la nuova linea i Vini Integralmente Prodotti da 1,29 euro a bottiglia. Luca Gardini, per i pochi che non lo sapessero, è Miglior sommelier al mondo nell’anno del Signore non me lo ricordo, lo stesso della Best Italian Wine Awards, dove dirige una giuria composta da giornalisti come Grignaffini, Ferraro, Pier Bergonzi, Paolini, Cernilli…ad libitum.
Già sappiamo, dalle sue parole rilasciate alla Gazzetta dello sport, che per lui nel vino conta solo l’emozione: a ciascuno il suo e la conseguente emozione, ma guardando il video, spontanea è sorta la domanda come in Così parlo Bellavista: Gardini, ma che è succiess’? Perché saranno le troppe emozioni, consulenze, rubriche sparse sul mainstream italiano, i troppi vini, ma Luca non sei più tu: sei affannato, quasi ansimi, le gote rosse, la pancia rotonda che preme sulla camicia che a stento si tiene chiusa: come se dovessimo aspettarci, al posto del gingle, un ruttino come sottofondo. E poi dici cose tipo: il Negroamaro, non i cantanti.
Dai Luca, che è successo? Diccelo, ti aiutiamo noi.
Ora che la terza sconfitta è stata servita tutti, o quasi, si sono resi conto che il problema è, ed è sempre stato, nella testa, vedi mentalità, dici personalità. E non solo in quella dei calciatori. Sin dalla primissima partita a Pescara e poi via via il Napoli ha mostrato i suoi momenti di assenza, vuoti colmati dalla paura di vincere, dalla sufficienza o peggio dall’arroganza che misurava nient’altro che l’insicurezza malcelata dopo il tradimento del precedente profeta, momenti che si sono dilatati fino al punto di regalare tempi e gol agli avversari come con la Roma o ieri con il Beskitas. Eppure lo si sapeva che i passi avanti da fare erano sulla rosa da ampliare - i più a guardare al centravanti e pochi ai terzini o al portiere, ma né Maggio (4) né Strinic rappresentano alternative all’altezza - e nella mentalità cattiva e vincente - i più a guardare ai piedi, al gioco prodotto, agli schemi, ai due attaccanti che giocano più stretti e pochi alla testa. Il Napoli continua a esprimere gioco, possesso, occasioni da rete. È più impreciso, meno motivato e meno intenso e aggressivo, più disuniti i reparti, meno cattivi e concentrati i singoli. Gli errori individuali - guardialinee compreso - fanno il resto e Jorginho, Insigne e Reina emulano il nostro laterale destro (cioè fanno 12 diviso 3). Tutti gli altri, esclusi Mertens e Gabbiadini, vanno a 5, pure Sarri. Anche per lui sono prime volte. Ci sta. Il Napoli è una rinata società e una squadra giovane in una città millenaria di eterni bambini, lazzari, poco abituati a vincere, che nella fattispecie producono seimila - dico seimila - abbonati dopo aver visto la squadra, probabilmente, più bella di sempre arrivare seconda e approdare in Champions. Che si lamentano, come se la Champions, loro, l’avessero giocata un giorno su due. Capaci di inneggiare a Amadou Diawara (6 di incoraggiamento), anni 19, guineano, eletto per una sera decisivo risolutore e nuovo Masaniello, nero come voleva Pino Daniele, accertando le capacità divinatorie del bluesman: si, vuie sit’ pazz’. E forse per questo condannati ad essere belli e perdenti, incapaci però di imparare dalla propria storia. Giuseppe La Mura, zio ed allenatore dei giganti Abbagnale, pose a monito dei nipoti all’interno del circolo nautico Stabia un cartello su cui c’era scritto: “Il successo è una lunga pazienza”. Quindi allineati e compatti, ognuno torni ad allenarsi, calciatori e tifosi, perché c’è ancora tanto da lavorare, e forza Napoli sempre.
Terza di Champions. Napoli - Besiktas 2 a 3.
[prove tecniche di rubrica di un tifoso anglo-napoletano: Il deserto dei leoni]
Colline Novaresi Mötfrei 2012, Francesco Brigatti *** +
Sarà che tra tanti fuoriclasse non te lo aspetti, e quasi cadi dalla sedia a quel naso così varietale, ampio, placido e spensierato, delicatamente floreale, appena etereo. Al sorso ha succo e spinta, pienezza e scorrevolezza, e tannino compatto che lo frena sul finale, da pareggiare con un piatto succulento o con un po’ di pazienza aspettandolo ancora un paio di anni.
Carema riserva 2010, Produttori di Carema: *** ½
Quando l’ossigeno ha fatto quel che deve i profumi sono un groviglio di note minerali, potpourri, sottobosco, note vegetali, spezie orientali: al palato scivola via saporito, espansivo, tenendoti compagnia senza mai deluderti.
Barbaresco Pajorè 2010, Rizzi *** ½
Ancor giovane, ancora stretto e leggermente compresso, seppure ben disegnato e fine: apre su uno speziato scuro, balsami, erbe mediterranee, nel tempo regala accenni floreali. Sorso denso ma non ancora disteso, tannino ancor compatto.
Gattinara 1967, Antoniolo ****
I profumi di un quasi 50enne sono un intreccio di spezie, cuoio, folate intermittenti di mineralità fin quando resiste stoicamente all’aggressione dell’ossigeno, arretrando, mezz’ora dopo, su note di brodo. Ma è al palato che stupisce ancor di più con quella sua dolcezza di frutto inaspettata: apre ampio il sorso che si conclude viperino.
Barolo 1967, Guido Porro *** ½
Rispetto al pari età è meno minuzioso nel dettaglio, più tignoso nel complesso con note di terra, cuoio, spezie orientali ed erbe aromatiche scure. Al palato corrisponde la stessa conformazione legata più al lavorio sapido/acido che non ad una forte impronta aromatica.
Dopo una iniziale timidezza il suo bouquet si fa corale, cordiale e avvolgente: attorno ad un frutto pieno e goloso si esprimono le note di fiori blu e spezie gentili. Al palato è denso e pieno quanto delicato e soffuso, fino al finale lungo e intriso di memorie continuamente ravvivate dai ritorni retrolfattivi.
Lessona, Omaggio a Quintino Sella 1999, Sella *****
Al mio gusto è il vino che vorrei sempre avere al mio tavolo. Ti regala l’illusione che qualcosa sopravviva sempre a noi stessi, che non ci sia nulla di effimero o caduco, che il bambino in noi sia davvero eterno. Nella sua giovanile sfrontatezza, dopo 17 anni in bottiglia, vivido e sbarazzino, è innervato di linfa e radici, di fiori e arancia sanguinella: la stessa che chiude un sorso scintillante, puro come fosse acqua di montagna, ricco di energia acida mai scoperta o cruda, rinfrancante e lunghissimo.
Le altre: Vignali Barbera d’Asti superiore Nizza 2012, L’Armangia ***; Gavi 2014, Nicola Bergaglio ***+; Dolcetto di Dogliani Maioli 2009, Anna Maria Abbona ***+; Timorasso Pitasso 2008, Caludio Mariotto ****
"Una minestra con qualche vagante filo di pasta o chicco di riso; un quarto - ho detto un quarto - di uovo sodo con una foglia - ho detto una foglia - di insalata e un panino costituivano il pasto; al prezzo di lire 18. Un panino supplementare costava lire 3. Quando potevo acquistarlo me lo conservavo gelosamente per la sera. E la cena era costituita da quel panino e da un etto di frutta. Nei giorni felici la mia grande gioia era costituita da un bel pezzo di castagnaccio, di cui ero sempre andato ghiotto, e che mi era caro anche perché mi ricordava i tempi di scuola, nella mia vecchia Torino".
Giorgio Almirante, Autobiografia di un fucilatore, Il Borghese 1973
[prove tecniche di rubrica: La Biblioteca di Alessandria]
Spalletti cambia la Roma, si mette a tre dietro e con il doppio mediano evita il pressing del Napoli, e poi palla lunga per lo spilungone Dzeko o in alternativa sulle fasce per gli sprint di Salah o quelli di Perotti. Un Napoli (4 ½) lungo e sfilacciato che mostra il peggior difetto che ha: la mentalità. Nonostante Hamsik (6 ½) che crea e inventa, s’inserisce e assiste, manca cattiveria e personalità, e negli ultimi trenta metri si giochicchia come gli amici alla partita del calcetto infrasettimanale. Gabbiadini (4) sventa qualsiasi potenziale occasione e il resto lo fanno Jorginho (4 ½ ) e gli errori individuali della difesa: prima Koulibaly, poi Hisay e infine Ghoulam (13,33 periodico diviso tre). Solo Mertens (6 ½) ci mette la voglia giusta quando entra in campo e si vede la differenza. Troppo tempo passato a dirci quanto eravamo belli: da esteti a narcisi.
Ottava di campionato. Napoli - Roma 1 a 3
[prove tecniche di rubrica di un tifoso anglo-napoletano: Il deserto dei leoni]
Ho sempre inteso cibo e vino come passepartout. Solo il sesso può allo stesso modo, tutti o quasi praticano: chissà in quali dei due campi ci siano i maggiori tabù. Ieri sono finito su una delle tante statali italiane dove la vita accade dimenticata, scivola via frenetica e immobile, c’è chi si espone e chi si nasconde. Un posto come tanti, in una provincia del sud non molto diversa da una a nord di Roma, non so quanto diversa da una americana. Parcheggio nella pompa di benzina e sono nella pizzeria che un emigrante tornato dagli States ha aperto. Non ho approfondito, sto improvvisando, immagino, ma tanto che importa se il viaggio è avvenuto o sia stato solo televisivo: il risultato è lo stesso. Corridoi tra neon colorati, mattonelle asettiche, l’odore del cibo che si mischia con quello del detersivo e dei profumi per ambienti, cartelli calano dall’alto: servizio take away, sala principale, pizza. C’è anche un responsabile di sala, un ragazzino programmato a memoria volenteroso e ambizioso, tenero e indifeso che recita pizze, varianti, dimensioni, panuozzi, e da bere? Vino bianco di Atripalda dove c’è un particolare microclima.
Anche questo è la ristorazione italiana. Anzi, la maggioranza che scivola via dimenticata e frenetica, un sogno che inizia con il piano Marshall e s’alimenta soprattutto di volgarità nel boom economico mentre l’altra, quella minoritaria, identitaria, un po’ si scopre e un po’ s’inventa. Arrivano le pizze, neanche tanto malaccio, ne assaggio persino una con la Genovese, e con le birre, Maltovivo, casco pure bene. Potrei essere uno dei personaggi dei racconti di Carver o Richard Ford o trovarmi in un reality: guardo in alto per verificare che non ci siano telecamere. Poi su un lato del locale vedo l’affaccio sull’autostrada, e allora mi sento Tognazzi diretto da Gregoretti, e la mia pizza è diventata un pollo.
Sono andato al Madre a vedere la mostra su Mimmo Jodice, e mi godevo le foto fin quando ho tamponato in una sala un gruppo numeroso, tutto accalcato in cerchio attorno a Mimmo Jodice che spiegava un suo scatto. Già quel gruppo era qualcosa che mi dava un certo fastidio: rumoroso, abbastanza stupido nel suo insieme con gli smartphone e i tablet che fotografavano e riprendevano, invadevano l’intero spazio costringendomi ad una fila come se mi trovassi alle Poste; non bastasse tutto ciò, c’era Jodice a spiegare: che si trovasse lì era una coincidenza che trovavo inopportuna. Una foto o mi arriva o no, è inutile che stai lì a spiegarmela, e visto che fino a quel momento mi ero riempito di quelle immagini e quelle suggestioni, i commenti di Jodice non richiesti potevano solo rovinarmi le ispirazioni di quel pomeriggio. Al primo approccio con una foto, con un libro, con un vino, preferisco non essere condizionato, non avere sovrastrutture che, a dire il vero, poco mi influenzano: l’impatto deve essere strettamente estetico, edonistico e l’opera deve essere capace di dialogare, evidenziare, provocare senza il sostegno dell’autore o di un interprete. Dopo, posso anche approfondire tutto il resto. Ma solo dopo, e se mi interessa.
Ieri sera c’era un incontro della prima classe della scuola elementare di approccio al vino, e come ogni volta avevo preparato un po’ di testi legati all’argomento di discussione da consigliare ai partecipanti. Ce ne era uno in realtà che poco aveva a che fare, in senso stretto, con quello di cui si parlava, e nonostante l’avessi premesso subito qualcuno me lo ha fatto notare: Ma che c’entra? Forse niente, ma vuoi mettere la bellezza di un titolo così: Quando vi ucciderete, maestro?*
Ho servito un po’ di vini alla cieca e tra questi il Fiano di Avellino 2010 di Rocca del Principe: i ragazzi sono rimasti colpiti dalla complessità dei profumi, dalla bontà del sorso grasso, ricco, salato, risolto. Poco dopo ho servito, sempre a bottiglia coperta, lo stesso Fiano di Avellino di Rocca del Principe, ma dell’annata 2014. I primi commenti all’esame olfattivo erano di un vino anonimo, non male, ma che non diceva molto. Poi all’assaggio, invece, ricredendosi, ne hanno apprezzato il sapore, la pienezza, anche se un po’ irruento, agre, ha aggiunto qualcuno. Quando ho svelato loro cosa stessero bevendo, nello stupore, hanno capito senza che aggiungessi nulla che i bianchi invecchiano serenamente e perché non solo è consigliabile, ma opportuno invecchiare un Fiano di Avellino il giusto numero di anni ché si esprima al meglio. Due anni appena dalla vendemmia sono il minimo sindacale per iniziare a stapparne sapendo di rinunciare a molti dei profumi e del piacere che una buona bottiglia di Fiano di Avellino può regalare.
Alla fin fine si tratta di saper scegliere, di individuare tra mediocri e inutili foto, parole e vini, quelli che sappiano parlare da sé, senza stare lì a dover spiegare più di tanto, se non per fare due chiacchiere salottiere.
Mao-Tse-Tung sarebbe entusiasta: è tanta la confusione sotto il cielo di Coverciano, distaccamento di Skopje. 10 e lode a me, che evito la battuta sull’insalatona di frutta mista servita da chef Ventura: tre stelle Michelin a lui, se solo il capolavoro gastro-concettuale fosse voluto. Bernardeschi alla mezz’ala (voto: 93/100 alla fidanzata Veronica del Grande Fratello che lo sta consumando) è puro dadaismo ducassiano. Ma c’è soprattutto la conferma di una cicalesca strafottenza anni ’80, che lo rende degno erede di Craxi e De Michelis, più che di Antonio Conte. C’è epica vanziniana negli strafalcioni di Verratti (David di Donatello per miglior attore protagonista di commedia), Buffon (David di Donatello alla carriera), e compagnia. Ma chi se ne frega: la Milano da bere val bene un po’ di debito pubblico. E ai nostri pronipoti potremo raccontare di quella volta che l’Italia ha giocato, è successo davvero, con un 3-3-4 parente a 2-2-6, da far sembrare Bielsa e Zeman ignobili catenacciari. Aspettando Cerci (voto 10 per un’assenza che è solo più acuta presenza), Ciruzzo Immobile torna a fare quello che sembra poter fare solo con mister Libidine. Contagiando Gallo Belotti (voto 10 perché i vaccini sono solo un complotto delle case farmaceutiche) e tutti quelli che non si arrendono all’ineluttabilità dello juventinismo. Due filosofie inconciliabili costrette a convivere: del resto è quasi il 1992, e l’avanzata leghista incombe. Oggi e sempre secessione democratica.
Qualificazioni mondiali Russia 2018. Macedonia-Italia 2-3
Sono e sono stato goloso fin da bambino, soprattutto di quei dolci “umidi” che si facevano in casa per le feste: i diplomatici, la crema e soprattutto la zuppa inglese. Ma soprattutto sono goloso di quella zuppa inglese che faceva mia nonna, non come la fanno oggi a Roma, con la panna. Quella della nonna Franchina mi ricorda momenti particolarmente felici. Era fatta con il pan di Spagna imbevuto nell’Alkermes, non con i savoiardi, ma con strati alternati di una crema gialla e densa e un po’ di cioccolata. Guardavo la nonna, ammirato, mentre con un imbuto di carta, fatto con un foglio del Corriere padano, decorava la torta con ghirigori di chiara d’uovo sbattuta e zucchero. La seguivo, quando portava in tavola il dolce dopo averci versato sopra un mezzo bicchiere di Mistrà. Poi prendeva uno zolfanello e accendeva il liquore. Era una sorta di trofeo luminoso, un incanto. E quell’incanto è rimasto nei miei ricordi.
[da La Memoria del Gusto, Laura Bolgeri, ed. cinquesensi. Prove tecniche di rubrica: La Biblioteca di Alessandria.]
La Spagna (6 e mezzo) torna quella dell’estenuante titìc e titòc (ciao Giuanìn) grazie all’italico capitano di Ventura (cinque meno tre quarti). Che, evidentemente a corto di pillole azzurre, baratta la libidine con una grigia sottomazia post-democristiana: i pochi buoni in panchina e pattuglia di trentenni in campo, con 6 difensori, 2 stagisti, 1 tronista e Montolivo (6+ per l’infortunio). Come a dire “vi ho fregato tutti, vi ho fatto credere che ero quello dei giovani in tempesta ormonale e delle quattro punte, ora beccatevi un po’ di prima repubblica”. Questione di identità nazionale, evidentemente: un passo avanti e tre indietro, sulla bandiera dovremmo mettere un Gambero vermiglio. E quindi un’ora di attacco (loro) contro difesa (nostra, ma un bel 21 diviso tra Barzagli, Bonucci e Romagnoli). Finché Buffon (10 per la geniale lungimiranza) capisce che è il momento di inventarsi qualcosa, come un Pannella che candida Ilona Staller, e va a prendersi due piccioni con una sola fava. La scommessa con Intralot per Nolito primo marcatore e la secchiata d’acqua gelida che sveglia la truppe assopite in trincea e le scaglia verso un magnifico caos. Congedato, speriamo per sempre, Cadorna Pellé (4 meno sette ottavi), Armando Diaz si sdoppia nelle folate di Ciruzzo Immobile (7 e un terzo), ma soprattutto nel furore taurino-gallesco di Belotti (8 pieno per due palle toccate, quattro a testa). L’arbitro Brych (5 meno due punti di spread) vorrebbe fare il tedesco fino in fondo, ma l’assistente e la faccia da Romanzo Criminale di De Rossi gli consigliano di cambiare idea. Rigore teutonico, palla da una parte, De Gea dall’altra. E a momenti ci scappa pure il ribaltone finale: sarebbe stato onestamente troppo, nonostante l’ambientazione dell’Ali Baba Stadium (cit. Palma Palmieri), ideale per colpi di mano tipo Sigonella.
Qualificazioni mondiali Russia 2018. Italia-Spagna 1 a 1
Al Quirinale, Nilde Iotti, Spano Velio e Palmiro Togliatti, Festa della Repubblica 1958
"Il compagno Stalin domanda come va la salute del compagno Togliatti, se si nutre a sufficienza e se dorme molto. Il compagno Secchia risponde che il compagno Togliatti si sente bene, ma che bisogna tenerlo d’occhio di continuo. Se rimane senza sorveglianza, mangia poco, dorme pochissimo e lavora troppo. Il compagno Stalin dice che bisogna badare a che il compagno Togliatti mangi 3-4 volte al giorno e dorma di più. Il Comitato centrale del Partito comunista italiano deve adottare una risoluzione per tener d’occhio la salute del compagno Togliatti. Il compagno Stalin chiede di trasmettere al compagno Togliatti la sua preghiera di riguardarsi e di non strapazzarsi. Il compagno Stalin ripete che anche il Comitato centrale del PCI deve occuparsene, altrimenti il compagno Togliatti si rovinerà e questo non serve a nessuno. Non è il caso che il compagno Togliatti si comporti come un asceta. Il compagno Secchia assicura che farà tutto il possibile per badare che il compagno Togliatti conservi la salute".
[Verbale
del colloquio tra Pietro Secchia e Stalin, avvenuto il 14 dicembre 1947
al Cremlino, Centro di documentazione sulla storia contemporanea di
Mosca]
L'astuto Gasperini (6 ½) piazza l’armuar Petagna su uno svagato Koulibaly (5 meno un quarto) costringendo il Napoli (5 meno un quarto) a impostare da destra con handicap: Hysaj (5 meno un quarto) che deve badare al Papu Gomez. Ciò nonostante, malgrado l’aggressività dei bergamaschi, il Napoli del primo quarto d’ora sviluppa il suo gioco ma, arrivato agli ultimi trenta metri, svanisce, perde concretezza e i duelli uomo contro uomo. Ci si mette pure la sfortuna, un rimpallo favorevole sulla faccia di Ghoulam (5 meno un quarto) e l’Atalanta passa in vantaggio senza aver fatto nulla per meritarlo. Proprio Ghoulam sarà il nostro miglior attaccante con due tentativi, entrambi da palla da fermo: ma Berisha non fa Julio Cesar. È il nostro franco-algerino l’unico a godere di una certa libertà, ma non affonda, non è aiutato da Insigne (5 meno un quarto), s’intruppa al centro invece di allargare il gioco. Sono il nostro difetto principale - già mostrato a Genova - i reiterati tentativi di uno-due centrali quando mancano gli spazi. Doveva essere una partita da vincere con la testa prima che con i piedi perché il nostro punto debole sono le trasferte, e questi incontri sporchi e fisici: anche stavolta non abbiamo superato la prova. Ci si è messo pure Sarri (4 ½) con la mossa della “disperazione” a 2un quarto d'ora dalla fine, i peggiori, inserendo Gabbiadini e cambiando il modulo, provando un calcio che non abbiamo mai giocato e non sappiamo giocare. Noi disperati? E perché? Non è proprio Sarri a ripetere continuamente: noi dobbiamo pensare solo a macinare il nostro gioco sempre e comunque? L’aria di Champions ha inebriato un po’ tutti.
Settima di campionato. Atalanta- Napoli 1 a 0.
[prove tecniche di rubrica di un tifoso anglo-napoletano: Il deserto dei leoni]