La provincia è un pollo ruspante o d'allevamento?

Foto di Marco Ciriello

Ho sempre inteso cibo e vino come passepartout. Solo il sesso può allo stesso modo, tutti o quasi praticano: chissà in quali dei due campi ci siano i maggiori tabù. Ieri sono finito su una delle tante statali italiane dove la vita accade dimenticata, scivola via frenetica e immobile, c’è chi si espone e chi si nasconde. Un posto come tanti, in una provincia del sud non molto diversa da una a nord di Roma, non so quanto diversa da una americana. Parcheggio nella pompa di benzina e sono nella pizzeria che un emigrante tornato dagli States ha aperto. Non ho approfondito, sto improvvisando, immagino, ma tanto che importa se il viaggio è avvenuto o sia stato solo televisivo: il risultato è lo stesso. Corridoi tra neon colorati, mattonelle asettiche, l’odore del cibo che si mischia con quello del detersivo e dei profumi per ambienti, cartelli calano dall’alto: servizio take away, sala principale, pizza. C’è anche un responsabile di sala, un ragazzino programmato a memoria volenteroso e ambizioso, tenero e indifeso che recita pizze, varianti, dimensioni, panuozzi, e da bere? Vino bianco di Atripalda dove c’è un particolare microclima.
Anche questo è la ristorazione italiana. Anzi, la maggioranza che scivola via dimenticata e frenetica, un sogno che inizia con il piano Marshall e s’alimenta soprattutto di volgarità nel boom economico mentre l’altra, quella minoritaria, identitaria, un po’ si scopre e un po’ s’inventa. Arrivano le pizze, neanche tanto malaccio, ne assaggio persino una con la Genovese, e con le birre, Maltovivo, casco pure bene. Potrei essere uno dei personaggi dei racconti di Carver o Richard Ford o trovarmi in un reality: guardo in alto per verificare che non ci siano telecamere. Poi su un lato del locale vedo l’affaccio sull’autostrada, e allora mi sento Tognazzi diretto da Gregoretti, e la mia pizza è diventata un pollo.

posted by Mauro Erro @ 11:56,

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