Segnalazione: viaggio nella mineralità dei riesling tedeschi
domenica 29 giugno 2008
posted by Mauro Erro @ 10:44, ,
Rheinessen, Niersteiner Petthenthal Riesling Auslese Trocken Selection 1996, Heinrich Braun
sabato 28 giugno 2008
posted by Mauro Erro @ 11:48, ,
Il Wwf e Radio Rds: salviamo gli Astroni!
venerdì 27 giugno 2008
Basta poco: un sms al 48854 per offrire un euro, oppure due usando il vostro telefono fisso!
Contribuirete a sostenere uno dei più straordinari patrimoni ambientali del nostro paese, l'unico grande polmone verde di Napoli e darete un segnale verso quale direzione guardare per il futuro. E contribuirete alla prima scuola ambientale italiana
Spero che tutti voi che frequentate questo sito abbiate un euro da dedicare agli Astroni, ai vigneti di falanghina e piedirosso dei suoi contadini. Se solo ciascuno di voi facesse questo gesto una volta sarebbero raccolte parecchie migliaia di euro sino al termine della iniziativa, fissato per il 4 luglio.
posted by Mauro Erro @ 09:27, ,
Castello dei Rampolla: doppia verticale di Sammarco e d’Alceo
giovedì 26 giugno 2008
posted by Mauro Erro @ 11:01, ,
Vigna d'Alceo 1999, Castello dei Rampolla
mercoledì 25 giugno 2008
posted by Mauro Erro @ 13:22, ,
Montefalco rosso 2005, Adanti
martedì 24 giugno 2008
posted by Mauro Erro @ 11:34, ,
Wehlener Sonnenuhr Auslese 1994, Joh. Jos. Prüm
martedì 17 giugno 2008
Questo vino, messo in commercio da poco, si è presentato tinto d’oro con fanciulleschi e irrequieti riflessi vividi, mostrandosi per brillantezza e intriganti trasparenze, di rara bellezza. Al naso presentava insistenti nuance sulfuree (i tedeschi abbondano con la solforosa) che nel tempo e con l’ossigenazione nel bicchiere svanivano per dar spazio a toni fumè, una mineralità di rocciosa purezza, su cui si adagiavano leggerissimi tocchi floreali, rimandi di citronella e pompelmo e timbri dolciastri. Al palato, la perfetta corrispondenza diveniva un walzer in cui l’acidità e la dolcezza raggiungevano il sublime equilibrio che donava grande bevibilità. La freschezza acida ripulente invoglia al continuo sorso, ma potete anche aspettare prima di stapparla: ha ancora tanta vita dinnanzi a sé.
Locus iste, Anton Bruckner.
P.S. La foto è tratta dal Blog Violamelanzana.
posted by Mauro Erro @ 12:04, ,
Alla ricerca del tempo perduto: segnalazioni varie
venerdì 13 giugno 2008
Sono di ritorno da Battipaglia, dalla Fabbrica dei Sapori, dove mi sono divertito a saggiare coda di volpe, ma soprattutto nel backstage (l’immensa cucina) dove vari chef si alternavano, collaboravano, ridevano e scherzavano. Non sempre si ha l’opportunità di vivere il mondo della cucina di qualità da dietro, anzi, di più, avendo l’occasione non solo di guardare ma di dare addirittura una mano a realizzare un piatto (non è che abbia fatto chissà che, le indiscusse mie incapacità a tal proposito avrebbero rovinato anche la più semplice delle preparazioni). E così mi sono ritrovato con Maurizio Somma, genius loci nonché patron del Papavero di Eboli e Fabio Pesticcio (solitamente lo Chef pâtissier ), mentre Mimmo Vicinanza si occupava della casa madre, a divertirmi in cucina con Lino Scarallo, gentile, disponibile e giovane chef di Palazzo Petrucci a Napoli, che stavolta invece di cucinare per me (una visita giusto un paio di settimane fa) cucinava con me (più o meno: lui cucinava, io cercavo di non far danni): insomma un’esperienza divertentissima.
Domani sera, invece, incontrerò la squisita Isabella Pelizzatti Perego, figlia di Arturo, che con il fratello conduce la mitica, come mitici sono i loro nebbiolo valtellinesi, azienda Ar.pe.pe., per sviluppare un’idea sfiziosa che la coinvolgerà in terra campana il prossimo settembre.
Se la salute, il tempo e dio vorranno, lunedì, poi, sarò in quel di Genova per il Tigullio vino meeting, dove spero di poter incrociare calici e risate con alcuni di voi: giornalisti, produttori, blogger, appassionati, enocuriosi.
E se io sono alla ricerca del tempo perduto, l'Elogio del tempo ritrovato, invece, è il titolo del resoconto scritto dall’amico Fabio Cimmino sulla rivista on-line L’acquabuona, della serata che la settimana scorsa, in collaborazione con la delegazione dell’associazione italiana sommelier di Napoli, abbiamo organizzato: protagonisti i grandi vini spagnoli di Lopez de Heredia. L’articolo lo trovate qui. Chi non fosse sazio ed ancora curioso, potrà leggere qui, le mie note.
posted by Mauro Erro @ 20:47, ,
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2003, 2004, 2005, Villa Dora
Ieri toccava alla provincia di Napoli, gli altri due giorni sono stati dedicati all’avellinese (che peccato essersi perso la verticale del Coda di Volpe di Raffaele Troisi di Vadiaperti, vinello che consiglio vivamente) e al Sannio. Prima di lasciarvi agli appunti veloci della verticale voglio segnalarvi alcuni vini presenti, invece, ai banchi d’assaggio e che vi consiglio di bere: Coda di Volpe 2006 e 2007 (vendemmia leggermente tardiva) di Sylva Mala (Pompeiano igt), naturalezza e mineralità, niente picchi, ma ricordiamoci che parliamo di Coda di Volpe. A seguire, Coda di Volpe di De Angelis e Lacryma Christi di Podere del Tirone, entrambi 2007, scontano ancora un naso un po’ banale, ma al palato la beva è trascinante grazie alla buona acidità, ma soprattutto all’ottima sapidità.
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2005, Villa Dora: All’inizio è quello che mi risulta più difficile inquadrare: scompostezza del vino o naso del degustatore che doveva ancora calibrarsi? Pare quasi faccia legno, ma non lo fa. Il colore viaggia tra il paglierino e l’oro, al naso deve scontare un’iniziale botta di zolfo che col passare del tempo svanirà favorendo l’espressione dolciastra di un frutto maturo. Tanta materia che al palato è accompagnata da buona acidità e sapidità (saranno delle costanti), chiusura amara e un filo di alcool di troppo che al palato s’avverte. Alla fine, invece, è proprio quello più facile da inquadrare. Prodotto tecnicamente eseguito bene, con qualche difettuccio, ma che, almeno personalmente, non emoziona.
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2004, Villa Dora: è quello che aspettavo di ritrovare. Il colore vira in maniera più insistente rispetto al predecessore sull’oro. Il naso gioca su un equilibrio (forse mancato) di sentori minerali accentuati sporcato da un sentore di medicinale (feccino?), a cui si susseguono delle intriganti note animali. Al palato è quello che ha maggior equilibrio con accentuata sapidità. Passaggio in tonneau per tre mesi.
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2003, Villa Dora: Oro carico e concentrato. Già dal colore si intuisce il calore dell’annata e il lungo passaggio in legno: 24 mesi (in un’annata così calda, perché?). Caramello, rimandi balsamici, fiori, accentuate note boisè. Al palato è imponente, ma allo stesso tempo ha buona freschezza e ancora, quasi un timbro, tanta sapidità. Prodotto più piacione, che io farei fatica a bere: dimentica il tentativo di aderire al territorio per viaggiare verso altri lidi.
posted by Mauro Erro @ 11:46, ,
Fiano di Avellino 2006, Pietracupa
martedì 10 giugno 2008
Sarà pure un’annata stramba, ma una volta bevuto questo vino come si fa a non dire: ma quanto è buono? Sabino, ragazzo timido, eccentrico e vignaiolo in quel di Montefredane, a due passi da Raffaele Troisi (Vadiaperti) e Antoine Gaita (Villa Diamante) – il trio delle meraviglie – ci dona un vino da bere adesso: un’esecuzione impeccabile, una goduriosa bevuta. Tra il paglierino e l’oro il colore è vivo e luminoso con riflessi brillanti. Al naso propone, con buona intensità e contrariamente a quanto si è abituati (i bianchi di Sabino Loffredo giocano quasi sempre più sull’eleganza) profumi di frutta bianca e di fiori bianchi impreziositi da rimandi ad erbe aromatiche e spezie e, di buon richiamo varietale, nocciola, castagna e accenni di miele. Al palato è coerente, acidità ben presente ed abbastanza lungo. Forse non durerà chissà quanto, ma oggi è proprio un bel bere. The Fratellis.
posted by Mauro Erro @ 13:48, ,
Carmine a Punta Licosa
sabato 7 giugno 2008
Il ristorante di Carmine, ad insaputa di chi me ne aveva parlato e mi ci aveva accompagnato, era diventato anche albergo. Un palazzetto di tre, forse quattro piani, già animato da villeggianti e turisti del finesettimana in costume con al seguito una folta pattuglia di chiassosi pargoli. Dopo aver sceso un certo numero di scalini si arrivava all’ingresso: una saletta rettangolare i cui lati corti erano occupati da un bar da una parte e un salottino di poltrone e divani in vimini dall’altro, che guardavano uno schermo che trasmetteva le immagini di un gran premio automobilistico: neanche a farlo di proposito, Montecarlo. La sala principale era tutt’altro che raccolta. Grande da contenere almeno cento posti a sedere e un luculliano banchetto cerimoniale. La terrazza era stata ridimensionata e, ovviamente, i tavoli già tutti occupati da famiglie imbellettate, ove ognuno dei componenti, vanitosi, più si scopriva e più mostrava agli altri, in segno di sfida, un’abbronzatura più uniforme, migliore o chissà che.
Carmine era seduto al tavolo di fianco a quello dove fummo sistemati da un servizio semplice, ma sempre cortese, in compagnia di commensali con cui doveva avere un certo grado di confidenza. Capelli bianchi, pancia rotonda, gesti lenti e misurati e parole sussurrate: quelli di un pescatore abituato a non spaventare le sue prede nel silenzio di una notte o di un’alba di lavoro. O forse è l’immagine, il vestito cui noi per abitudine, e lasciandoci al romanticismo, siamo soliti fargli indossare.
Iniziammo con una zuppa di cozze. Già in quel momento capii come erano abituati a trattare il pesce, i molluschi e tutto il ben di dio che proponevano: con rispetto. Ne fui certo quando arrivarono i primi: castellane alla Carmine e spaghetti con le vongole. Il piatto intitolato al capostipite era ciò che m’aspettavo: deciso, saporito, sostanzioso per chi torna da una giornata faticosa trascorsa in mare. E il mare è faticoso assai. Zucchine, frutti di mare, gamberetti adagiati su di un sugo insaporito probabilmente da una certa quantità di brodo di pesce utilizzato per tirarlo, accompagnati da pasta corta – le castellane – di spessore e bella grana. L’altro, invece, delicatissimo: le vongole, freschissime, abbracciate dagli spaghetti cotti alla perfezione. Non erano trattate con il disprezzo di chi le copre con sapori forti d’olio fritto: sapevano semplicemente di mare. A quel punto, dopo aver innaffiato quei rinfrancanti bocconi con almeno due o tre bicchieri del vino che avevo scelto, il Fiano Pietraincatenata le cui viti, a qualche manciata di chilometri da lì, Luigi Maffini allevava, mi ero riconciliato con me stesso. La buona compagnia di cari amici e di una bella donna aveva fatto il resto, anzi, dirò di più, la compagnia di una bella donna a cui piace mangiare e bere è una tentazione che ogni uomo dovrebbe concedersi spesso nella vita.
Finimmo, prima di adagiarci sulla spiaggia, con una seppia alla brace che finalmente non aveva il sapore di cartone congelato, e una frittura di pesce con gamberi e calamari che, da sola, valeva il sogno infranto.
Dal film Mo’Better blues, di Spike Lee.
posted by Mauro Erro @ 13:54, ,
Segnalazione: "In difesa dell'identità del vino italiano"
martedì 3 giugno 2008
P.S. La foto è tratta dal sito di Michele Dalla Palma.
posted by Mauro Erro @ 12:46, ,
Vino Nobile di Montepulciano 2004, Dei
posted by Mauro Erro @ 11:26, ,