Borgogna riparatrice
martedì 29 novembre 2011
Nuovi impegni (e nuove responsabilità) di cui avremo modo di parlare stanno caratterizzando questo scorcio finale di 2011 portandomi (portandoci) lontano da questo intimo angolo di condivisione che è il viandante. Me ne scuso, appena avremo modo di ricalibrare bene e meglio temi e tempi aggiorneremo più spesso il blog.
Nel frattempo assaggi e viaggi procedono celermente e, sperando di farvi cosa gradita, riassumo in poche battute una recente bevuta fatta grazie al solito Giancarlo “Magister Burgundiae” Marino: tema dell’incontro, ovviamente, la Borgogna e i suoi grandi Pinot Noir.
Bonnes Mares Grand Cru Domaine Roumier 2001
Nella batteria dei vini è, con quello di Engel, quello che spicca per personalità. Naso incessante nel divenire mostra un’interessante profilo di erbe aromatiche (rosmarino, salvia). Sorso ampio e di grande densità di sapore, chiude su un leggero quanto cordiale abbraccio di calore. (94, punto più, punto meno)
Bonnes Mares Grand Cru Domaine Bart 2002
Il più immediato nel proporsi al naso, il profilo aromatico è imperniato su un frutto tanto invitante quanto croccante. Nonostante ciò e nonostante un sorso di sollecita bontà, rimane la sensazione di una certa algidità e rigidità. (90)
Clos de la Roche Grand Cru Lignier 2001
Rotondo e in carne, non lesina eleganza nonostante una notevole potenza. Anche al palato è contraddistinto da questi elemnti caraterizzanti chiudendo, però, appena appena sulle spezie, sulle lievi note tostate e su un tannino appena più percettibile dei precedenti (e di quelli che seguiranno) asciugandosi un pizzico. (92/93)
Clos De La Roche Grand Cru Dujac 2002
Un totem. Non avesse al momento un profilo aromatico ad intermittenza che si apre e si chiude al naso forse staccherebbe maggiormente gli altri. Affascinanti le note di erbe e di spezie orientali, da il meglio di se al palato, dove unisce possanza, eleganza, definizione sino alla fine del sorso. Ancora leggermente contratto darà il meglio di se negli anni a venire. (96)
Clos Vougeot Grand Cru Renè Engel 2001
Un vino di grande personalità e di grande capacità seduttiva nonostante le lievi imprecisioni (considerati anche i suoi compagni di banco): abbraccia con i suoi profumi il bevitore. Palato felpato, sinuoso e accogliente. Commovente. (93)
Clos Vougeot VV Grand Cru Chateau De La Tour 2002
Muto per più di un’ora, esce alla distanza con cadenza da passista, affiancando e in alcuni casi superando i migliori. Naso di grande profondità, s’eleva con un afflato balsamico che apre i polmoni. Palato di potenza, ma, come diceva Pirelli, la potenza è nulla senza controllo. Cosa che non manca a questo vino. (94/95)
Bonnes Mares Grand Cru Domaine Roumier 2001
Nella batteria dei vini è, con quello di Engel, quello che spicca per personalità. Naso incessante nel divenire mostra un’interessante profilo di erbe aromatiche (rosmarino, salvia). Sorso ampio e di grande densità di sapore, chiude su un leggero quanto cordiale abbraccio di calore. (94, punto più, punto meno)
Bonnes Mares Grand Cru Domaine Bart 2002
Il più immediato nel proporsi al naso, il profilo aromatico è imperniato su un frutto tanto invitante quanto croccante. Nonostante ciò e nonostante un sorso di sollecita bontà, rimane la sensazione di una certa algidità e rigidità. (90)
Clos de la Roche Grand Cru Lignier 2001
Rotondo e in carne, non lesina eleganza nonostante una notevole potenza. Anche al palato è contraddistinto da questi elemnti caraterizzanti chiudendo, però, appena appena sulle spezie, sulle lievi note tostate e su un tannino appena più percettibile dei precedenti (e di quelli che seguiranno) asciugandosi un pizzico. (92/93)
Clos De La Roche Grand Cru Dujac 2002
Un totem. Non avesse al momento un profilo aromatico ad intermittenza che si apre e si chiude al naso forse staccherebbe maggiormente gli altri. Affascinanti le note di erbe e di spezie orientali, da il meglio di se al palato, dove unisce possanza, eleganza, definizione sino alla fine del sorso. Ancora leggermente contratto darà il meglio di se negli anni a venire. (96)
Clos Vougeot Grand Cru Renè Engel 2001
Un vino di grande personalità e di grande capacità seduttiva nonostante le lievi imprecisioni (considerati anche i suoi compagni di banco): abbraccia con i suoi profumi il bevitore. Palato felpato, sinuoso e accogliente. Commovente. (93)
Clos Vougeot VV Grand Cru Chateau De La Tour 2002
Muto per più di un’ora, esce alla distanza con cadenza da passista, affiancando e in alcuni casi superando i migliori. Naso di grande profondità, s’eleva con un afflato balsamico che apre i polmoni. Palato di potenza, ma, come diceva Pirelli, la potenza è nulla senza controllo. Cosa che non manca a questo vino. (94/95)
posted by Mauro Erro @ 08:22, ,
Focaccette, panini e panelle con la farina di ceci
lunedì 21 novembre 2011
Al solo nominarla, la farina di ceci, il pensiero corre subito verso paesi lontani: India, Pakistan, Bangladesh, Israele e ogni paese arabo che si rispetti.
Qui, infatti, meglio identificata con il nome gram flour o besan, la farina ricavata dal proteico legume è molto presente e ampiamente utilizzata per preparazioni dolci e salate.
Tra panini di ceci; bonda (tipico snack indiano di patata fritto dopo essere stato infarinato con la farina di ceci); besan laddu ( pasticcini dolci); pakora (verdure fritte in pastella di farina di ceci); falafel o hummus ci si perde tra profumi intensi e sapori esotici eppure, anche nella nostra altrettanto “esotica” penisola, la farina di ceci è stata ed è ancora molto utilizzata.
E se i precetti kosher in Israele o l’induismo e la propensione alla cucina vegetariana in India hanno fatto sì che in alcuni paesi si sviluppassero maggiormente una serie di pietanze a base di verdure, spezie e soprattutto legumi, in Italia è stata principalmente un’economia di stenti a fare da volano alle più famose preparazioni a base di ceci e di farina di ceci.
Retaggio di una cucina povera è, per esempio, la farinata tipica della cucina ligure o toscana, detta anche torta di ceci o cecìna, una torta salata molto bassa preparata con farina di ceci, acqua, sale e olio di oliva e cotta in teglia nel forno a legna.
Così come non possono mancare, nel registro dei “piatti poveri”, le intramontabili panelle siciliane, frittelle di farina di ceci solitamente servite come ripieno di morbidi panini ai semi di sesamo, che rappresentano il tipico spuntino “ da strada” palermitano.
Oggi, retaggi a parte, la farina ricavata dalla leguminosa è ampiamente utilizzata nella cucina vegana, come sostituto delle uova e in tante preparazioni che prevedono assenza di glutine, al punto che, se a volte può diventare difficile reperirla al supermercato di sicuro non mancherà nei negozi specializzati, di prodotti per celiaci e per diabetici o nelle botteghe del circuito equo e solidale.
Di ricette stuzzicanti e gustose con la farina di ceci se ne possono realizzare tante, dolci e salate, per vegetariani e non, vi lascio con qualche semplice suggerimento per rendere più allegra la vostra tavola.
Focaccette di farina di ceci versione salata
Ingredienti (x 6 persone)
250 gr di farina di ceci; 10 gr di lievito di birra; 150 gr di salame piccante; 2 rametti di maggiorana; olio; sale e pepe.
Stemperate il lievito con 6 cucchiai di acqua tiepida. Mettete la farina di ceci in una ciotola con un po’ di sale e pepe e le foglioline di maggiorana. Aggiungete il lievito sciolto e mescolate per bene versando poco alla volta 3 dl di acqua tiepida. Lavorate l’impasto in modo che non si formino grumi e lasciate riposare, coperto e al caldo, per circa un’ora. Frattanto spellate il salame e riducetelo a pezzettini. Aggiungetelo all’impasto e mescolate piano piano. Scaldate dell’olio (abbondante) in una padella e friggete le frittelle servendovi di un mestolino, fate dorare per bene, scolatele e servitele calde calde.
Versione dolce: Seguite lo stesso procedimento di quelle salate avendo cura di eliminare le foglie di maggiorana e di sostituire il sale con un po’ di zucchero di canna. Una volta fritte cospargete le focaccette di zucchero e cannella e mangiatele calde.
Panelle palermitane (ricetta di Claudia Camillo)
500 gr di farina di ceci - 1 litro e 1/2 di acqua - 1/2 cucchiaio raso di sale - pepe - un ciuffo di prezzemolo tritato - olio
Panini o “crepes” di ceci
Mescolate la vostra farina con qualche cucchiaio di olio extra vergine di oliva, un po’ d’acqua e sale. Otterrete così una pastella come quella delle crepes. Fate riposare per circa mezz’ora e poi procedete alla cottura come se fossero delle normali crespelle: ungete una padellina antiaderente con un po’ di burro e fate riscaldare, versate un mestolino di pastella di ceci e cuocete per qualche minuto da tutti e due i lati. Condite come vi pare o usate le crepes al posto del pane
Adele Chiagano
foto: Pane di ceci
ah
Qui, infatti, meglio identificata con il nome gram flour o besan, la farina ricavata dal proteico legume è molto presente e ampiamente utilizzata per preparazioni dolci e salate.
Tra panini di ceci; bonda (tipico snack indiano di patata fritto dopo essere stato infarinato con la farina di ceci); besan laddu ( pasticcini dolci); pakora (verdure fritte in pastella di farina di ceci); falafel o hummus ci si perde tra profumi intensi e sapori esotici eppure, anche nella nostra altrettanto “esotica” penisola, la farina di ceci è stata ed è ancora molto utilizzata.
E se i precetti kosher in Israele o l’induismo e la propensione alla cucina vegetariana in India hanno fatto sì che in alcuni paesi si sviluppassero maggiormente una serie di pietanze a base di verdure, spezie e soprattutto legumi, in Italia è stata principalmente un’economia di stenti a fare da volano alle più famose preparazioni a base di ceci e di farina di ceci.
Retaggio di una cucina povera è, per esempio, la farinata tipica della cucina ligure o toscana, detta anche torta di ceci o cecìna, una torta salata molto bassa preparata con farina di ceci, acqua, sale e olio di oliva e cotta in teglia nel forno a legna.
Così come non possono mancare, nel registro dei “piatti poveri”, le intramontabili panelle siciliane, frittelle di farina di ceci solitamente servite come ripieno di morbidi panini ai semi di sesamo, che rappresentano il tipico spuntino “ da strada” palermitano.
Oggi, retaggi a parte, la farina ricavata dalla leguminosa è ampiamente utilizzata nella cucina vegana, come sostituto delle uova e in tante preparazioni che prevedono assenza di glutine, al punto che, se a volte può diventare difficile reperirla al supermercato di sicuro non mancherà nei negozi specializzati, di prodotti per celiaci e per diabetici o nelle botteghe del circuito equo e solidale.
Di ricette stuzzicanti e gustose con la farina di ceci se ne possono realizzare tante, dolci e salate, per vegetariani e non, vi lascio con qualche semplice suggerimento per rendere più allegra la vostra tavola.
Focaccette di farina di ceci versione salata
Ingredienti (x 6 persone)
250 gr di farina di ceci; 10 gr di lievito di birra; 150 gr di salame piccante; 2 rametti di maggiorana; olio; sale e pepe.
Stemperate il lievito con 6 cucchiai di acqua tiepida. Mettete la farina di ceci in una ciotola con un po’ di sale e pepe e le foglioline di maggiorana. Aggiungete il lievito sciolto e mescolate per bene versando poco alla volta 3 dl di acqua tiepida. Lavorate l’impasto in modo che non si formino grumi e lasciate riposare, coperto e al caldo, per circa un’ora. Frattanto spellate il salame e riducetelo a pezzettini. Aggiungetelo all’impasto e mescolate piano piano. Scaldate dell’olio (abbondante) in una padella e friggete le frittelle servendovi di un mestolino, fate dorare per bene, scolatele e servitele calde calde.
Versione dolce: Seguite lo stesso procedimento di quelle salate avendo cura di eliminare le foglie di maggiorana e di sostituire il sale con un po’ di zucchero di canna. Una volta fritte cospargete le focaccette di zucchero e cannella e mangiatele calde.
Panelle palermitane (ricetta di Claudia Camillo)
500 gr di farina di ceci - 1 litro e 1/2 di acqua - 1/2 cucchiaio raso di sale - pepe - un ciuffo di prezzemolo tritato - olio
Fate sciogliere, a freddo, la farina di ceci nell’acqua con il sale e il pepe facendo attenzione a che non si formino grumi.
Cuocete a fuoco basso, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno fino a quando si otterrà una crema piuttosto morbida, ma ben compatta. Prima di finire la cottura, continuando a mescolare, aggiungete il prezzemolo tritato.
A questo punto spalmate l’impasto ottenuto su delle apposite formine di legno, tipiche del palermitano, oppure stendetele su dei piatti piani (vanno bene anche piattini da caffè) mantenendo uno spessore di 2-3 mm. Fate raffreddare.
Scollate le panelle molto delicatamente dai piatti, adagiatele su di un altro piatto (si possono anche sovrapporre) e friggertele in abbondante olio bollente. Vanno mangiate calde in appositi panini con semi di sesamo (“mafalde”, “mafaldine”, ecc.), ma in mancanza va bene qualsiasi pane bianco.
A questo punto spalmate l’impasto ottenuto su delle apposite formine di legno, tipiche del palermitano, oppure stendetele su dei piatti piani (vanno bene anche piattini da caffè) mantenendo uno spessore di 2-3 mm. Fate raffreddare.
Scollate le panelle molto delicatamente dai piatti, adagiatele su di un altro piatto (si possono anche sovrapporre) e friggertele in abbondante olio bollente. Vanno mangiate calde in appositi panini con semi di sesamo (“mafalde”, “mafaldine”, ecc.), ma in mancanza va bene qualsiasi pane bianco.
Panini o “crepes” di ceci
Mescolate la vostra farina con qualche cucchiaio di olio extra vergine di oliva, un po’ d’acqua e sale. Otterrete così una pastella come quella delle crepes. Fate riposare per circa mezz’ora e poi procedete alla cottura come se fossero delle normali crespelle: ungete una padellina antiaderente con un po’ di burro e fate riscaldare, versate un mestolino di pastella di ceci e cuocete per qualche minuto da tutti e due i lati. Condite come vi pare o usate le crepes al posto del pane
Adele Chiagano
foto: Pane di ceci
ah
posted by Mauro Erro @ 18:06, ,
Enologica 2011 a Faenza: da oggi e per tre giorni, il meglio del gusto dell’Emilia Romagna
venerdì 18 novembre 2011
Da oggi inizia Enologica, il “Salone del Gusto dell’Emilia Romagna”, che si svolgerà questo fine settimana a Faenza.
Fino al 20 Novembre (lunedì 21 è riservato ai soli operatori), una tre giorni dedicata al cibo e al vino, un laboratorio di idee che coinvolge vignaioli, artigiani del cibo, cuochi, sommelier, giornalisti e appassionati.
Si danno appuntamento, dalle 17,00 di questo pomeriggio, ben 138 cantine da Piacenza a Rimini e il programma culturale è ricco di sorprese.
Oltre 50 eventi: 12 degustazioni guidate dedicate al Sangiovese nello spazio “Are you experienced’”; 18 chef nello spazio “Teatro dei cuochi” ; 15 momenti di approfondimento sul vino, sul cibo e sul loro linguaggio nello spazio “Caravanserraglio” in collaborazione con il sito Scatti di Gusto e ancora 14 appuntamenti per testare abbinamenti stravaganti con i prodotti di eccellenza dell’Emilia Romagna nello spazio “Toccata e Fuga”
Tanti i giornalisti ed esperti a guidare le degustazioni, Armando Castagno, Giampaolo Gravina, Carlo Macchi, Daniele Cernilli, Antonio Boco, Gianni Fabrizio, Dario Cappelloni e tanti altri. Altrettanto interessanti gli chef che si alterneranno nello spazio dedicato al cibo, tra questi: Massimo Bottura (Osteria La Francescana di Modena), Alberto Faccani (Ristorante Magnolia di Cesenatico), Carla Aradelli (Ristorante Riva di Ponte dell’Olio Piacenza), Luca Marchini (Ristorante L’Erba di Modena) e altri ancora mentre si potranno assaggiare tante eccellenze dell’Emilia Romagna dal prosciutto di Parma, al cappone in gelatina, l’olio di Brisighella, il torrone e il Parmigiano Reggiano.
Può darsi che ci si veda da quelle parti.
Per il programma completo consultare il sito www.enologica.org
Info: www.enologica.org, tel. 0546 621111, info@faenzafiere.it
Orari: venerdì 18 novembre 17-22; sabato 19 novembre 11-22; domenica 20 novembre 11-22; lunedì 21 novembre 10-20 (giornata dedicata agli operatori).
Ingresso intero 16 euro, Abbonamento 25 euro - Calice degustazione e catalogo compresi nel costo del biglietto.
ah
Fino al 20 Novembre (lunedì 21 è riservato ai soli operatori), una tre giorni dedicata al cibo e al vino, un laboratorio di idee che coinvolge vignaioli, artigiani del cibo, cuochi, sommelier, giornalisti e appassionati.
Si danno appuntamento, dalle 17,00 di questo pomeriggio, ben 138 cantine da Piacenza a Rimini e il programma culturale è ricco di sorprese.
Oltre 50 eventi: 12 degustazioni guidate dedicate al Sangiovese nello spazio “Are you experienced’”; 18 chef nello spazio “Teatro dei cuochi” ; 15 momenti di approfondimento sul vino, sul cibo e sul loro linguaggio nello spazio “Caravanserraglio” in collaborazione con il sito Scatti di Gusto e ancora 14 appuntamenti per testare abbinamenti stravaganti con i prodotti di eccellenza dell’Emilia Romagna nello spazio “Toccata e Fuga”
Tanti i giornalisti ed esperti a guidare le degustazioni, Armando Castagno, Giampaolo Gravina, Carlo Macchi, Daniele Cernilli, Antonio Boco, Gianni Fabrizio, Dario Cappelloni e tanti altri. Altrettanto interessanti gli chef che si alterneranno nello spazio dedicato al cibo, tra questi: Massimo Bottura (Osteria La Francescana di Modena), Alberto Faccani (Ristorante Magnolia di Cesenatico), Carla Aradelli (Ristorante Riva di Ponte dell’Olio Piacenza), Luca Marchini (Ristorante L’Erba di Modena) e altri ancora mentre si potranno assaggiare tante eccellenze dell’Emilia Romagna dal prosciutto di Parma, al cappone in gelatina, l’olio di Brisighella, il torrone e il Parmigiano Reggiano.
Può darsi che ci si veda da quelle parti.
Per il programma completo consultare il sito www.enologica.org
Info: www.enologica.org, tel. 0546 621111, info@faenzafiere.it
Orari: venerdì 18 novembre 17-22; sabato 19 novembre 11-22; domenica 20 novembre 11-22; lunedì 21 novembre 10-20 (giornata dedicata agli operatori).
Ingresso intero 16 euro, Abbonamento 25 euro - Calice degustazione e catalogo compresi nel costo del biglietto.
ah
posted by Mauro Erro @ 13:15, ,
Novità editoriali
martedì 15 novembre 2011
L'ultima novità ideata e realizzata da Alessandro Masnaghetti è la Carta Generale del Barolo per iPhone (le cui caratteristiche principali vedete in foto).
Questo è il link diretto per acquistarla (solo 6,99 €).
Qui, invece, potete leggere Andrea Gori su Intravino che l'ha recensita.
Questo il sito di Enogea.
(vivamente consigliata e complimenti al masna; ricordandovi che su iTunes store sono disponibili anche alcune delle sue mitiche Cartine per iPad!)
posted by Mauro Erro @ 16:08, ,
Raccontati da voi: La strada nel bosco e il giovane emergente della DOCG Ramandolo
sabato 12 novembre 2011
Ciao Mauro,
sono un grande appassionato di vino e di vignaioli.
Ti mando questo contributo, voglio assolutamente condividere con qualcuno questa bella scoperta.
Hai presente quando vai in enoteca ed assaggi un vino sconosciuto a tutti, non recensito dalle guide e sostanzialmente assente dal web?
Lo assaggi e ti sembra ottimo! E poi decidi di andare a trovare il produttore per scoprire la sua storia. E la sua storia e le sue vigne sono ancora meglio del suo vino.
Ecco a me è successo proprio così e ho voglia di condividere la mia esperienza.
A presto!
Diego
P.S.: giuro che non sono parente, socio o amico del produttore. :-)
(…)
C'è una strada nel bosco,
Il suo nome conosco
Vuoi conoscerlo tu
(…)
Il ritornello di questa vecchia canzone cantata da Gino Bechi ma resa celebre da Albertone Rabagliati non mi abbandona mentre percorro il bosco alle spalle di Nimis verso Sedilis, nel cuore della zona della DOCG Ramandolo.
Al termine del bosco, in cima ad uno sterrato non proprio agile, scopro un anfiteatro naturale fatto di montagne, alberi e viti.
E' questo il rifugio del giovane veneziano Andrea Rizzo, che, ancora studente di agraria abbandona Venezia prima e la Francia poi (dove sta facendo esperienza come enologo) e si trasferisce con moglie e figlie fin quassù.
Solo quando arrivi lassù, capisci perché.
Il panorama è mozzafiato, la quiete assoluta.
Andrea una decina di anni fa rileva questa azienda agricola con 2 ettari di vecchie vigne (40-50 anni) di verduzzo friulano, refosco da peduncolo rosso e cabernet sauvignon. La chiama Feudo dei Gelsi. Al mio arrivo infatti due enormi gelsi mi accolgono. Siamo a fine ottobre ed arrivo proprio mentre Andrea sta iniziando a vendemmiare, dai filari meglio esposti, il verduzzo al giusto grado di maturazione. Gli altri vignaioli hanno già raccolto da tempo, Andrea però ci tiene ad iniziare l’appassimento su pianta, soprattutto in quest’annata molto propizia che ha regalato, da queste parti, un bellissimo autunno con escursioni termiche giorno/notte ideali.
Tra i filiari sorprendo un fagiano goloso dei dolcissimi chicchi dorati.
Feudo dei Gelsi, pur senza integralismi e formali adesioni a protocolli produttivi specifici, segue la filosofia dei vini naturali. L’allevamento della vite senza trattamenti ed in regime bio è la scelta più coerente, circondato com’è dal bosco e senza vicini di vigna interventisti. La fermentazione viene innescata spontaneamente dai lieviti autoctoni. La barrique, di secondo o terzo passaggio, viene usata sia in fermentazione sia in affinamento.
Sono solo tre i vini di Andrea Rizzo. Il cabernet sauvignon 2005 IGT in azienda è esaurito, il 2006 (!) deve essere ancora imbottigliato ma ho l’opportunità di degustarne un poco da botte. Piacevolmente fruttato, grip tannico ben presente e nessuna sensazione verde.
L’altro rosso in commercio è il COF Refosco dal Peduncolo Rosso Riserva 2004. Il naso è molto nordico, giocato com’è sui fruttini rossi e neri quasi acerbi (ribes e more), sottobosco ed erbe aromatiche (alloro). Il sorso è caratterizzato da un nerbo acido notevolissimo che lascia la bocca succosa e pulita. Chiude con una certa vigoria tannica. Molto interessante e di personalità ma attenzione, non piacerà a chi nei rossi cerca accondiscendenza e morbidezza.
Morbidezza che si trova invece nel Ramandolo. E’ il vino di punta di Feudo dei Gelsi, come è giusto che sia visto che siamo nel territorio della prima DOCG friulana e che il il Ramandolo ha origini antichissime, considerato che era già presente nella lista dei vini serviti a papa Gregorio XII in occasione del Concilio del 1409. Il Ramandolo 2003 è stato raccolto la prima settimana di dicembre con la neve sugli acini, ha un naso molto fine di scorze d’agrume, timo e miele di castagno. L’ingresso in bocca è un caldo abbraccio ma il sorso è innervato immediatamente da una freschezza acida e da una pungenza tannica (marchio del vitigno) che lasciano una lunga scia dolce/non dolce sul palato. La bevibilità è ai massimi livelli. E’ un bellissimo vino che chiede formaggi stagionati (come il Montasio ad esempio) più che dessert.
Inutile cercare Feudo dei Gelsi sulle guide o nei forum di vino. Non ve ne è traccia. Potreste però trovarlo in qualche enoteca francese (ebbene sì, è importato dai cugini!) oppure nella meritoria enoteca Cantine Isola di Milano dove chi scrive lo ha scovato.
Se ne avete la possibilità però andate a degustare il Ramandolo del Feudo dei Gelsi là dove nasce, dopo aver percorso quella strada nel bosco…
Feudo dei Gelsi - Andrea Rizzo
Via Sedilis, 41 33045 Nimis (UD)
www.feudodeigelsi.it
info@feudodeigelsi.it
Diego Mutarelli
Ti mando questo contributo, voglio assolutamente condividere con qualcuno questa bella scoperta.
Hai presente quando vai in enoteca ed assaggi un vino sconosciuto a tutti, non recensito dalle guide e sostanzialmente assente dal web?
Lo assaggi e ti sembra ottimo! E poi decidi di andare a trovare il produttore per scoprire la sua storia. E la sua storia e le sue vigne sono ancora meglio del suo vino.
Ecco a me è successo proprio così e ho voglia di condividere la mia esperienza.
A presto!
Diego
P.S.: giuro che non sono parente, socio o amico del produttore. :-)
(…)
C'è una strada nel bosco,
Il suo nome conosco
Vuoi conoscerlo tu
(…)
Il ritornello di questa vecchia canzone cantata da Gino Bechi ma resa celebre da Albertone Rabagliati non mi abbandona mentre percorro il bosco alle spalle di Nimis verso Sedilis, nel cuore della zona della DOCG Ramandolo.
Al termine del bosco, in cima ad uno sterrato non proprio agile, scopro un anfiteatro naturale fatto di montagne, alberi e viti.
E' questo il rifugio del giovane veneziano Andrea Rizzo, che, ancora studente di agraria abbandona Venezia prima e la Francia poi (dove sta facendo esperienza come enologo) e si trasferisce con moglie e figlie fin quassù.
Solo quando arrivi lassù, capisci perché.
Il panorama è mozzafiato, la quiete assoluta.
Andrea una decina di anni fa rileva questa azienda agricola con 2 ettari di vecchie vigne (40-50 anni) di verduzzo friulano, refosco da peduncolo rosso e cabernet sauvignon. La chiama Feudo dei Gelsi. Al mio arrivo infatti due enormi gelsi mi accolgono. Siamo a fine ottobre ed arrivo proprio mentre Andrea sta iniziando a vendemmiare, dai filari meglio esposti, il verduzzo al giusto grado di maturazione. Gli altri vignaioli hanno già raccolto da tempo, Andrea però ci tiene ad iniziare l’appassimento su pianta, soprattutto in quest’annata molto propizia che ha regalato, da queste parti, un bellissimo autunno con escursioni termiche giorno/notte ideali.
Tra i filiari sorprendo un fagiano goloso dei dolcissimi chicchi dorati.
Feudo dei Gelsi, pur senza integralismi e formali adesioni a protocolli produttivi specifici, segue la filosofia dei vini naturali. L’allevamento della vite senza trattamenti ed in regime bio è la scelta più coerente, circondato com’è dal bosco e senza vicini di vigna interventisti. La fermentazione viene innescata spontaneamente dai lieviti autoctoni. La barrique, di secondo o terzo passaggio, viene usata sia in fermentazione sia in affinamento.
Sono solo tre i vini di Andrea Rizzo. Il cabernet sauvignon 2005 IGT in azienda è esaurito, il 2006 (!) deve essere ancora imbottigliato ma ho l’opportunità di degustarne un poco da botte. Piacevolmente fruttato, grip tannico ben presente e nessuna sensazione verde.
L’altro rosso in commercio è il COF Refosco dal Peduncolo Rosso Riserva 2004. Il naso è molto nordico, giocato com’è sui fruttini rossi e neri quasi acerbi (ribes e more), sottobosco ed erbe aromatiche (alloro). Il sorso è caratterizzato da un nerbo acido notevolissimo che lascia la bocca succosa e pulita. Chiude con una certa vigoria tannica. Molto interessante e di personalità ma attenzione, non piacerà a chi nei rossi cerca accondiscendenza e morbidezza.
Morbidezza che si trova invece nel Ramandolo. E’ il vino di punta di Feudo dei Gelsi, come è giusto che sia visto che siamo nel territorio della prima DOCG friulana e che il il Ramandolo ha origini antichissime, considerato che era già presente nella lista dei vini serviti a papa Gregorio XII in occasione del Concilio del 1409. Il Ramandolo 2003 è stato raccolto la prima settimana di dicembre con la neve sugli acini, ha un naso molto fine di scorze d’agrume, timo e miele di castagno. L’ingresso in bocca è un caldo abbraccio ma il sorso è innervato immediatamente da una freschezza acida e da una pungenza tannica (marchio del vitigno) che lasciano una lunga scia dolce/non dolce sul palato. La bevibilità è ai massimi livelli. E’ un bellissimo vino che chiede formaggi stagionati (come il Montasio ad esempio) più che dessert.
Inutile cercare Feudo dei Gelsi sulle guide o nei forum di vino. Non ve ne è traccia. Potreste però trovarlo in qualche enoteca francese (ebbene sì, è importato dai cugini!) oppure nella meritoria enoteca Cantine Isola di Milano dove chi scrive lo ha scovato.
Se ne avete la possibilità però andate a degustare il Ramandolo del Feudo dei Gelsi là dove nasce, dopo aver percorso quella strada nel bosco…
Feudo dei Gelsi - Andrea Rizzo
Via Sedilis, 41 33045 Nimis (UD)
www.feudodeigelsi.it
info@feudodeigelsi.it
Diego Mutarelli
posted by Mauro Erro @ 08:11, ,
La quadratura del cerchio*
sabato 5 novembre 2011
*o di altri luoghi comuni e teorie geometriche anarcoidi**
** Cfr anche “Fenomenologia del bevitore. Trincare o trinciare? Regole, controindicazioni e contracettivi. AA.VV.; a cura di Nientemeno Persichetti, Frizzo(lazzi) Fabiari, Nando Fustagno, Roma 1985, Edizioni Astratte***
*** Si confronti, inoltre, la versione “pezzotata” in lingua partenopea disponibile nelle migliori bancarelle della città di Napoli: “He pigliat' 'e ppalle 'e ciuccio pe' lampadine fulminate” di Steve Karen, non vendibile separatamente dal Dvd “Cicci-Bacco nel presepio: Dioniso, il paganesimo e l’eucaristia”.
Cultura enoica (vita da enotecari)
Un cliente entrando in un’enoteca: "Mi scusi, ha un Lancers rosè bianco?"
Cultura enoica bis (vita da degustatori)
Dopo un appassionato e accorato racconto durato un’ora di una azienda piemontese e la degustazione di tre annate del vino più importante e significativo (che ha riscosso indubbio interesse e successo), il degustatore si rivolge alla platea degli intervenuti:
“Qualcuno ha delle domande da fare?”
“Ma questo vino fa barrique?”
Cultura enoica ter (vita da appassionati – certe provenienze)
Un cliente in un’enoteca si rivolge al commesso
“Chiedo scusa, con quali uve è prodotto questo Alcamo?”
“Che domande; Alcamo, c’è scritto!”
Cultura enoica quaterna (su tutte le ruote; giornalismi: tra-colli)
Prego sei Buffo 2009 Cantine del Diavolo - 98/100
Quattro mesi dopo, stesso vino, stesso giornalista, stesse note, ma…
Prego sei Buffo 2009 Cantine del Diavolo – 86/100
Cultura enoica cinquina (web; note fumose)
“esprimeva al naso note di cenere calda di legno di leccio”
Cultura enoica Tombola (Uscire dal tunnel – facendo attenzione ai neutrini - )
Un giovane degustatore poco meno che trentenne chiacchiera con un suo collega più anziano e dopo avergli illustrato tutti i suoi gusti, le immaginifiche bottiglie di Egon Muller, Hernri Jayer, Romanée Conti, Petrus e tanto altro ben di Dio che si è scolato parlano di alcuni vini italiani.
Giovane degustatore: “…ovmai bevo solo i classici di Langa. Ievi, ad esempio, il Collina Vionda ’82 di Giacosa. Sai poi sono avvivati i modevnisti…(frase in sospeso con aria di chi la sa lunga)”
Anziano degustatore: “Certo con il loro astrattismo incomprensibile. E a proposito di grandi rossi, Taurasi? Ne bevi? Ti piacciono?”
Giovane Degustatore: “Oddio, sai, non cvedo che abbiano tvovato del tutto la quadvatuva del cevchio. Solo Mastvobevavdino, ma mai post ’68.”
Anziano Degustatore: “Chissà, forse smussando gli angoli. Ma ti capisco, la rivoluzione sessuale, il femminismo, da quel dì tutto cambiò.”
Giovane Degustatore: (un po’ interdetto riprende a parlare) “Puvtroppo, quando hai bevuto tutto il bevibile, è tutto un già visto.”
Anziano Degustatore: “tutto il bevibile?”
Giovane Degustatore: “Potabile o meno.”
Anziano Degustatore: “Cioè?”
Giovane Degustatore: “Beh, che devo divti, ovamai non li conto più da un po’, ma oltve i centomila assaggi di sicuvo.”
L’anziano degustatore, pensieroso, fa un rapido calcolo mentale: 29 anni, 100.000 vini, togliendo il periodo dello svezzamento…poi di scatto prende l’elenco telefonico, segna due numeri di telefono su un foglietto e lo porge al giovane degustatore.
Giovane Degustatore: “Cevnilli?”
Anziano Degustatore: “No. Gli alcolisti anonimi e un mio caro amico Psicoanalista. Dei due uno ti sarà sicuramente utile. Non dovesse funzionare, allora Cernilli.”
CONTINUA…
P.S. Ogni riferimento a fatti o persone non è del tutto casuale, ma del tutto voluto (talvolta leggermente romanzato)
posted by Mauro Erro @ 10:54, ,
Gli uomini preferiscono le belghe
mercoledì 2 novembre 2011
Se c’è una cosa interessante del movimento mondiale della birra artigianale è la sperimentazione. Sperimentare vuol dire innanzitutto conoscere: conoscere tutto quello che c’è prima, tutto quello che è stato fatto fin’ora per poi innovare, cambiare qualcosa, appunto sperimentare. Questo dinamismo è anche alla base del successo e della crescita del mondo birraio: produrre nuove birre significa invogliare un assaggio curioso. Assaggiare nuove cose significa scolpirle nella memoria, se l’assaggio è degno di nota, per cui mi ricorderò di quel birrificio belga dal nome impronunciabile che ha osato usare l’indivia come amaricante al posto del luppolo (la Wit Goud di Hod ten Dormaal).
Oppure quell’assaggio finirà nel dimenticatoio.
Passato un po’ di tempo dal Villaggio della Birra, ritorno su quella nota stonata in calce ai miei appunti.
La manifestazione giunta alla sua sesta edizione, prevede una sorta di cocktail di benvenuto, con l’hoppy-hour del venerdì: un pre-villaggio con 8 birre alla spina, tra esclusive e nomi conosciuti. Minimo comun denominatore: luppolo, what else?
L’esaltazione totemica del luppolo come bussola del percorso di birrificazione spetta agli americani. Che hanno ora il vantaggio di muovere un mercato che inizia a farsi importante.
E così la brasserie d’Achouffe produce la Chouffe Houblon: destinata al mercato statunitense ha riscontrato più fan in Europa, al di fuori del Belgio ovviamente.
Questione di palato e di abitudine a bere. Loro, gli americani, si bevono le loro, stilisticamente perfette, birre extra-hopped. Noi, appassionati bevitori affezionati al Belgio e alla scoperta del luppolo, restiamo affascinati dalla Houblon: una birra che è spessa, piena di tutto, e che in gola lascia una spiacevole sensazione balsamica e pungente. Richiama un altro sorso, di acqua. Una birra che, potendo scegliere, non sceglierei.
Poi bevo anche la Valeir Extra (Contreras Brouwerij), la Bink Blond (Kerkom Brouwerij), la Sainte Hélène Simcoe (Brasserie Sainte Hélène), la Bastogne Pale Ale (Brasserie de Bastogne) e la Hop Ruiter (Schelde Brouwerij).
Per diritto di cronaca mi ero appuntato tutti i nomi, perché gli assaggi sono finiti quasi tutti nel dimenticatoio, quello spazio della memoria gustativa dove rinchiudi quelle birre che proprio non vuoi vedere più in giro. Birre anche ben fatte, ma il Belgio? Dov’è?
Mi resta la sensazione che, con le dovute differenze, i belgi sanno fare meglio le loro birre. Dovrebbero puntare su questo, piuttosto che battere un percorso già solcato dai birrifici americani e dove, non v’è alcun dubbio, sono padroni. In questo caso, dovrebbero fare un passo indietro.
E poi gli uomini preferiscono le belghe, quelle vere, non quelle rifatte, tutte IBU e frutta tropicale.
in foto: Marie Gillain
Etichette: Roberto Erro
posted by Mauro Erro @ 15:43, ,