Gola o lussuria?
venerdì 29 agosto 2008
Non esistono più i contadini!
Il fascino dei contrari: la caponata.
Incontro preliminare con i vini etnei: i bianchi.
Le Crispelle di San Giuseppe.
Ho ancora nella mente le immagini e i ricordi che l’Etna mi ha placidamente lasciato quando discendiamo le strette viuzze che portano al centro di Sant’Alfio: vedo di là dei muretti le prime vigne.
Fu, sicuramente, scaltra. D’altra parte, per avere quattro mariti, essere accusata di aver ordinato l’uccisione del primo ed essere assolta, avere un numero imprecisato di amanti che, in buona parte usciti dal talamo, finivano nel fossato del Castel dell'Ovo a Napoli, passarla liscia e regnare, prima regina del Sud, per un certo numeri di anni, un poco scaltri bisogna esserlo.
La leggenda vuole che Giovanna per ripararsi una notte da un forte temporale, si fosse rifugiata all’interno di un castagno insieme a cento cavalieri. È da questa storia che l’albero che ho dinnanzi, il più antico d’Europa con i suoi quattromila anni e il più grande del mondo - un tempo la sua circonferenza superava i cinquanta metri - prende il nome appunto di Castagno dei cento cavalli. Se questo Castagno potesse vergare su carta ciò che vide accadere quella notte, al confronto la storia di Lady Chatterley sarebbe una favola per bambini. I bambini d’un tempo, ovviamente.
“Produce vino?”
“E anche frutta e verdura. Lì c’è l’orto”, indicandomi un imprecisato angolo di terra.
“Lo vende?”
“1 e 20 il litro. Volete assaggiare?”
“Certo.”
Mentre spilla il rosso da una botte più vecchia di lui, prendo a parlare.
“Che uva è?”
“Nerello, barbera…”
“E il bianco?”
“Chiddu ca trovo, Minnella, Carricante…”
“E come li produce?”
Mi guarda stranito.
“In vigna che fa?”
“Ah, ci metto il verde…”
“Il verderame?”
"Sissignore. Poi quello blu e poi…”
"Va bene, ho capito.”
Non osai chiedergli quello che faceva in cantina. Il rosso era poco più di un vinello acidulo, metallico e, per giunta, frizzante. Il bianco, leggermente migliore, freddo era macari bevibile. Ne prendemmo una bottiglia.
Sovente, girando per vigne, mi è capitato di constatare che i contadini, una categoria sociale (e culturale) un tempo esistita, oramai sono una razza in estinzione. Rappresentano solo un’idea romantica. La chimica, gli enotecnici, i rappresentanti di prodotti chimici per l’agricoltura oramai hanno raggiunto tutti gli angoli accessibili all’uomo e alla vigna, conquistandoli. I contadini, quelli veri, rappresentano un miracolo se ne incontri uno e le brutte copie di oggi, in vigna ci vanno solo per fare “i trattamenti”.
Melanzane, peperoni rossi e peperoni gialli, pomidori, cipolla, aglio, sedano, aceto, zucchero, basilico, capperi, pinoli, e pure qualche sottaceto e forse pure nu puccurillo di uva passa. Mamma mia benedetta! Tanta roba tutta assieme e tanto equilibrio, fritto senza essere sgraziato, ma leggiadro, zucchero e aceto assieme che fanno all’amore, dolce e agro contemporaneamente e mai fastidioso, sapido quanto basta: la caponata. E chi la scorda più!
Promemoria: assaggiare quante più caponate possibili e decretare la vincitrice!
E se ai cento cavalieri e amanti avessero portato durante quel temporale un piatto di caponata, a quale peccato avrebbero ceduto dovendo scegliere? La lussuria o la gola?
Tornerò a casa sazio e gaio, ripensando al vincitore tra i vini: un bianco della azienda Scilio di Valle Galfina. Se mi riuscirà, li andrò a trovare.
Nota: La foto del Castagno è tratta da Internet
* Giovanna I d'Angio (Napoli 1327 - Muro Lucano, 12 maggio 1382)
posted by Mauro Erro @ 19:14, ,
A' muntagna: l'Etna
giovedì 28 agosto 2008
Ci muoviamo di pomeriggio tardo ed iniziamo a percorrere la strada, verso Sant’Alfio, risalendo l’Etna. Siamo già tra i settecento e gli ottocento metri d’altitudine quando partiamo da Milo e ne terrò conto, in seguito, durante le mie visite ai produttori della zona. La strada è conciliante, ingannevole, è come se il vulcano ti succhiasse dentro, t’inglobasse in lui senza che te ne accorga. Non riesco a vederne i tratti distintamente, la sua sommità è, e sempre sarà, nascosta tra le nuvole o da quelli che potrebbero essere i suoi fumi. Già lo percorro d’altronde, ed il suo profilo si confonde a seconda delle prospettive con i monti Sartorius e i Nebrodi che più dietro si dipanano, s’allungano, rientrano su se stessi e quasi pare lo abbraccino. Dolce e lieve la strada ben asfalta, e spesso delimitata ai lati dai muretti di pietra lavica, sale nelle curve docili, morbide, appena accennate, che lasciano lo sguardo spaziare su panorami di boschi di pini, qualche castagno, che fitti, e di rigogliose cromature di verde ti invitano a sostare presso di loro. Vedo qui e lì qualche villino. Siamo tra i mille e milleduecento metri.
Saliamo mentre la temperatura scende e si fa gradevole, l’aria sottile, rarefatta, muta da spessa coltre calda in fresca seta che inali a piccole dosi. E qui inizio a comprendere qualcosa che via via mi sarà svelato.
D’un tratto, a’ muntagna cangia. Nivuro e fumoso. Lingue, valli, pendii scoscesi a perdita d’occhi di pietra nera, grigio perla, butterata; ciottoli, pietre, sassi, di dura foggia o che, sotto il peso del piede si sgretolano in sabbia, polvere. Ciuffi d’erbacce sorgono qui e lì, talvolta arbusti, spesso, almeno in questo tratto, non vi è altro che pietra nera. Fa impressione a’ muntagna. Non ho visto nulla che si avvicini a questo spettacolo che ho dinnanzi gli occhi.
Domanderò al professore Sessa, mia guida di quelle terre per qualche giorno, da quand’è che l’Etna, su quel versante, non fa danni.“Sono anni che sta buono. Buono?! Qualche casa e ristorante che porta via, di tanto in tanto”.Fossi io il proprietario di quella casa o ristorante, avrei perso buona parte della vita che ho vissuto. Eppure, il professore, così come tutti coloro con cui ci troveremmo a parlare di lei, di Mungibeddu, ne parlano con una calma serafica e con estremo rispetto.
D’altronde, mi chiedo, cosa sarebbero i vini, il Carricante ed il Nerello, persino il Grenache portato dall’ammiraglio Nelson in queste terre senza le sabbie da muntagna?
Qui, a Sicilia avi nu sciauro particolare. Un odore persistente, soffuso, acre, che s’accompagna e s’arricchisce di note di pino, di muschiato e speziato, che lievemente lo addolciscono, quasi impercettibilmente s’avvertono.
Continuiamo a salire, ad un certo punto, i tronchi degli alberi nei boschi cangiano macari loro. Si fanno chiari: faggi e betulle. Alle nostre spalle Catania ed il mare.
Può darsi che un giorno, una casa qui, la compri anch'io.
Di ritorno vedo un’immagine particolare. In mezzo ad uno scosceso pendio tra lingue di nera pietra lavica che si rincorrono, s’attorcigliano, s’estendono e si contorcono, in mezzo a questo paesaggio crudo, arido, riarso, sterile e avaro, s’erge un alberello le cui foglie brillano di un verde vigoroso e florido.
Si può biasimarli?
Perché non vi è dolore più forte che si possa provare che l’abbandono ed il tradimento, l’essere lasciati soli proprio nel momento del bisogno, nel momento massimo delle proprie difficoltà, quando si è afflitti dai propri problemi, atavici e nuovi. E tanto può essere forte il dolore quanto più si è generosi e magnanimi, così come questa terra e i suoi abitanti sono e sanno essere.
La prima cosa che si dovrebbe fare appena arrivati in Sicilia, prima di godersi le sue infinite bellezze, è chiederle scusa.
posted by Mauro Erro @ 15:59, ,
In viaggio per la Sicilia
martedì 26 agosto 2008
Una notte serena e ricca di aspettative.
I Fratelli Karamazov sbarcheranno in Sicilia.
Metodologia di viaggio e di racconto.
Buoni maestri: Soldati e Camilleri, uno morto e l’altro ottantenne!
Battaglie perse. Arrivo a Catania.
Le coste della Calabria, a quest’ora.
Dunque, programma: arrivo a Catania e trasferimento a Milo, sull’Etna alla ricerca di vini “terragni” e dei loro segreti: due giorni e poco più basteranno perché ne beva in numero sufficiente? Ritorno a Catania, di qui a Siracusa, Noto, all’oasi protetta di Vendicari, poi a Ragusa da Ciccio Sultano, a Modica da Bonajuto per il suo cioccolato, a Sicli e poi si vedrà. Quindi Vittoria, da Arianna Occhipinti nella speranza ci sia, proseguendo per Scala dei Turchi e Sciacca. Riserva dello Zingaro, Marettimo, Palermo e si torna. Non una passeggiata: una bellissima corsa.
Promemoria: assaggiare tanti cannoli quanti arancini e decretarne il vincitore.
Fu il commissario Montalbano creato da Camilleri ad accertare che bisogna tenersi lontano dagli arancini che si vendono sui traghetti? Non ricordo. In ogni caso chiunque suo malgrado l’abbia accertato aveva ragione: oltre che a rabbrividire per il sapore si rischia un inutile mal di pancia.
Allora, promemoria: assaggiare tanti cannoli quanti arancini e decretarne il vincitore, non dimenticandosi delle cassate però.
Perché
Soldati non iniziò il suo viaggio, raccontato nelle pagine di Vino al Vino, proprio da qui? Promemoria: una volta tornato prendere tra le mani Vino al Vino e leggerne qualche passo, può darsi sia illuminante. Quantomeno istruttivo. Per adesso ho il mio taccuino e la macchina fotografica, proviamo a fissare i ricordi al meglio.
Promemoria: pesce spada e tonno, pane e pannelle, sfincioni e pane cunzato. Pesce, tanto pesce!
Annotazione: vedo lo Stretto di Messina su uno sfondo azzurro terso e luminoso: il cielo. Mio figlio forse vedrà ammassi di lamiere e cemento: perché? a chi serve il ponte sullo stretto? Chi scrisse: “le guerre le combattono in molti, vi muoiono tanti, per il desìo e il tornaconto di pochi”?
Anche questa sarà una battaglia persa.
Catania, l’Etna dietro. Benedetto iddio.
Nota: in foto, la Riserva dello Zingaro (per ingrandire l’immagine abbastanza basta cliccarci su).
posted by Mauro Erro @ 18:09, ,
Avviso ai naviganti
sabato 2 agosto 2008
posted by Mauro Erro @ 13:35, ,