‘O guru
venerdì 8 luglio 2016
- Me lo dissero all’improvviso. Senza nessuna premessa, nessun tentativo di indorare la pillola. Dovevano essere esasperati evidentemente, almeno, questo mi dico per giustificarli di tanta crudezza. Basta, basta, basta. Tre volte. Ripetute. Del senso della vita, dell’errare umano, del significato delle cose, della ricerca della verità, dell’essenza stessa di questa terra che noi solchiamo, della rivoluzione industriale, dei difensori di nostra madre terra, dei bei tempi di una volta. Una volta quando? Una volta. Ma anche due, tre, quattro, ogni volta a ripetergli che bisogna far qualcosa, che presto o tardi tutto scomparirà, che gli industriali si stavano prendendo tutto, che poi non era molto, il tutto, ma quel poco c’era ancora chi lo difendeva. Tutto attraverso una bottiglia di vino. E, proprio loro, i miei amici, i miei veri amici, non quelli di facebook, quelli con cui avevo passato una vita intera, quelli con cui ci eravamo sbucciati le ginocchia a giocare al pallone per strada nell’età dell’adolescenza e della giovinezza, loro, chi più di loro dovrebbe conoscermi e condividere il mio pensiero? E loro, proprio loro, mi dissero basta. Per tre volte. Basta, basta, basta. A loro, del senso del tutto, non gliene fregava niente. Basta che è buono, dicevano, sarebbe già tanto. Buono? Cioè, diciamo seriamente? Buono? Sono anni che ci prendiamo in giro con questa storia che la bellezza salverà il mondo e che abbiamo risolto? Il loro buono può significare una barretta di Kinder cioccolato al latte. E che ci faccio io con la barretta di Kinder cioccolato al latte? Come lo cambio il mondo io con la barretta di Kinder cioccolato al latte? Che teoria ci elaboro? Quale filosofia? Dove sono i contadini dei ieri e dell’oggi, le campagne, il meridione, i sud del mondo, madre natura in una barretta di cioccolato al latte della Kinder? Ah, certo, puoi parlare di amore. Posto che l’amore non sia sopravalutato come la bellezza. Però per parlare di amore devi estendere il discorso quanto meno ai cremini. Se non proprio tutta la gamma, fino alla torta Sacher, che ci sono le albicocche. Insomma, un po’ come in quel film che c’è Johnny Deep. Con la sola barretta al cioccolato della Kinder non ci faccio niente. Non c’è misticismo e, di questi tempi, il misticismo è fondamentale. Come se a me, poi, non convenisse un colosso come quello. Capito che ci faccio io con quei soldi? Ma almeno un congresso con tutti i cioccolatieri del mondo a Miami, con tanto di fan, groupie, giornalisti, blogger, il circo equestre e la banda nazionale della Florida. Ci metto tutto il carrozzone e il misticismo pragmatico. Che si adatta. Mica devo stare a spiegare che il compromesso fa parte della vita, noi siamo solo ingranaggi, c’è sempre qualcosa di più importante di noi, sopra le nostre teste ecc. ecc.: ne sono consapevole. E no invece, io non lo ho un colosso del genere. Me ne vado per feste e sagre, qualche mangiata al ristorante, qualche accordo con qualche distributore di vino, questo è tutto. Non ci si arricchisce, ci si paga le bollette, e pure bisogna correre e lavorare tutto il giorno. E sorridono loro, quando dico lavorare: dovrei fargli vedere le mie fatture di prestazioni sanitarie. E mi vieni a parlare di bellezza? Di buono? Buono il cazzo. Questa è la verità, un poco di sana verità ci vuole, per cui abbiate almeno la decenza di sedervi, in silenzio, e di ascoltarla quando ve la spiego. Ego smisurato? D’accordo, ma sarebbe meglio come fanno loro? Vivere nell’insipienza? Galleggiare sulla superficie e fare il morto in attesa che qualcosa accada? Di essere colti da rinnovata fede? Suvvia, e in ogni caso è un discorso molto più ampio,
- Che proseguirà lunedì. Il nostro tempo è terminato.
- Di già?
- Di già. Sì ricordi uscendo, quando passa da Laura, che la tariffa della seduta è aumentata. Sono 80 euro.
- Si, ma i contadini…
- Me lo dirà lunedì. Sta continuando la cura?
- Si, certo.
- Non si dimentichi stasera, prima di andare a dormire, 15 gocce di Serenase. A lunedì, buon week end.
- A lei, dottoressa, grazie.
posted by Mauro Erro @ 12:54, ,
Fiano di Avellino 2003, Colli di Lapìo
mercoledì 6 luglio 2016
sale compatto e solare,
balzi eterei
soffia cera d’api
resine e balsami e
ti arresta
nelle sue sospensioni terragne.
Un sorso carnale
traccia un’orma
profonda di sale.
(da Scrivilo a parole tue: bevi e versi)
posted by Mauro Erro @ 12:03, ,
Ciliegiolo di Narni, Vigna Vecchia 2013, Bussoletti
lunedì 4 luglio 2016
Le dolci ondulazioni
del frutto rosso e nero,
delicata e studiata rotondità
in un ordito di spezie.
Agile, fitto e affusolato,
circolare consistenza cremosa,
la scodata finale
e il tiepido vapore ricordano
la sua origine.
(da Scrivilo a parole tue: bevi e versi)
posted by Mauro Erro @ 19:43, ,
L’allenatore
Occupare gli spazi. Conquistarli. Non è così difficile. Nel primo caso, basta seguire con la massima attenzione le disposizioni. Avere disciplina, costanza, impegno, spirito di sacrificio. Con diligente applicazione si possono conseguire ottimi risultati evitando così di finire ai margini del rettangolo di gioco: in panchina, in tribuna, nell’oblio.
Tre mesi di allenamento, per dei ragazzi di diciotto anni, possono bastare per raggiungere una sufficiente preparazione e una conoscenza dei meccanismi, dei tempi, dei ritmi di gioco, di quale sia il ruolo all’interno della squadra, di quale posizione tenere sul campo. Con l’esperienza migliora l’affiatamento, tutto diventa abitudine, eseguito con maggiore precisione, una naturale armonia. Non riescono tutti, ma la percentuale di chi s’integra nel sistema aumenta fino all’85% minore è l’età in cui si apprendono le prime nozioni. Certo, bisogna essere nell’età della ragione, in cui si intuisce la complessità del sistema di gioco senza averne la consapevolezza, e senza avere coscienza di quale sia il proprio ruolo in quel sistema tanto da affidarti completamente, con devozione. I pulcini sono esclusi, quindi.
Conquistare gli spazi, invece, richiede qualcosa in più. Personalità, ambizione. Arrivismo? Va bene anche quello: nel rettangolo di gioco è un peccato veniale, se di peccato parliamo. Fame? Certo, ma non quella che viene dalla miseria con cui si vuole spiegare sempre tutto. È qualcosa che certi hanno dentro. Non conta ciò che hanno già, conquistato o ricevuto, tanto non gli basterà. E più è profonda l’insofferenza che il tarlo ha scavato loro dentro e più sono famelici e voraci. Basta imbrigliare quella rabbia, convogliarla nella giusta direzione, irreggimentarla alla causa. Conquistare gli spazi non è un semplice atto di prepotenza come potrebbe sembrare. Bisogna creare le condizioni perché ciò avvenga, inserirsi nei meccanismi con i giusti tempi: è più un problema di vuoti e di pieni, occorre strategia, utilizzo della tattica. Una perfetta organizzazione di gioco esalta le caratteristiche di ciascuno, riconosce il merito, e integra le diversità attraverso i meccanismi al fine di realizzare lo scopo. Per conquistare uno spazio si può ricorrere al sacrificio di un utile idiota che lo crei, ad esempio: non ci sarà gloria per lui, probabilmente neanche parteciperà attivamente all’azione vincente, ma realizzato il fine sarà il primo ad esserne felice. Si possono utilizzare diversi moduli, schemi, sistemi di gioco, tutto serve a occupare gli spazi, e conquistarli. Come dicevo, non è cosi difficile. Esiste una categoria di giocatore che esula da questi discorsi e dagli insegnamenti che un allenatore può impartire. Sono coloro che gli spazi li inventano, capaci di vederne di nuovi, portando così il gioco ad una successiva dimensione. Gli eletti, come quello del film Matrix, che hanno le matrici di tutti i sistemi di gioco prima che io possa organizzarlo: loro già lo vedono, già lo hanno giocato, già lo hanno risolto. Diego Armando Maradona o Johan Crujiff, ma queste eccezioni esistono in tutti i campi e uno potrebbe citare Brian Wilson dei Beach Boys quando scrisse pet sounds e SMiLE. Sfuggono alla noia aprendo un nuovo varco dove per primi, e almeno per un po’ da soli, possono giocare al gioco che hanno appena inventato. Un buon allenatore, in questi casi, non può che stare in scia. Capire il più velocemente possibile e portare il resto della squadra con sé a praticare quel gioco. Spero sempre di incontrarle queste eccezioni, a volte mi illudo, per sottrarmi alla quotidianità e alle abitudini del mio lavoro, della stessa, la solita lezione impartita: non è difficile, è solo una questione di occupare gli spazi e conquistarli, per non finire ai margini.
(da Registro delle persone scomparse)
posted by Mauro Erro @ 14:16, ,