L’allenatore


Occupare gli spazi. Conquistarli. Non è così difficile. Nel primo caso, basta seguire con la massima attenzione le disposizioni. Avere disciplina, costanza, impegno, spirito di sacrificio. Con diligente applicazione si possono conseguire ottimi risultati evitando così di finire ai margini del rettangolo di gioco: in panchina, in tribuna, nell’oblio. 
Tre mesi di allenamento, per dei ragazzi di diciotto anni, possono bastare per raggiungere una sufficiente preparazione e una conoscenza dei meccanismi, dei tempi, dei ritmi di gioco, di quale sia il ruolo all’interno della squadra, di quale posizione tenere sul campo. Con l’esperienza migliora l’affiatamento, tutto diventa abitudine, eseguito con maggiore precisione, una naturale armonia. Non riescono tutti, ma la percentuale di chi s’integra nel sistema aumenta fino all’85% minore è l’età in cui si apprendono le prime nozioni. Certo, bisogna essere nell’età della ragione, in cui si intuisce la complessità del sistema di gioco senza averne la consapevolezza, e senza avere coscienza di quale sia il proprio ruolo in quel sistema tanto da affidarti completamente, con devozione. I pulcini sono esclusi, quindi. 
Conquistare gli spazi, invece, richiede qualcosa in più. Personalità, ambizione. Arrivismo? Va bene anche quello: nel rettangolo di gioco è un peccato veniale, se di peccato parliamo. Fame? Certo, ma non quella che viene dalla miseria con cui si vuole spiegare sempre tutto. È qualcosa che certi hanno dentro. Non conta ciò che hanno già, conquistato o ricevuto, tanto non gli basterà. E più è profonda l’insofferenza che il tarlo ha scavato loro dentro e più sono famelici e voraci. Basta imbrigliare quella rabbia, convogliarla nella giusta direzione, irreggimentarla alla causa. Conquistare gli spazi non è un semplice atto di prepotenza come potrebbe sembrare. Bisogna creare le condizioni perché ciò avvenga, inserirsi nei meccanismi con i giusti tempi: è più un problema di vuoti e di pieni, occorre strategia, utilizzo della tattica. Una perfetta organizzazione di gioco esalta le caratteristiche di ciascuno, riconosce il merito, e integra le diversità attraverso i meccanismi al fine di realizzare lo scopo. Per conquistare uno spazio si può ricorrere al sacrificio di un utile idiota che lo crei, ad esempio: non ci sarà gloria per lui, probabilmente neanche parteciperà attivamente all’azione vincente, ma realizzato il fine sarà il primo ad esserne felice. Si possono utilizzare diversi moduli, schemi, sistemi di gioco, tutto serve a occupare gli spazi, e conquistarli. Come dicevo, non è cosi difficile. Esiste una categoria di giocatore che esula da questi discorsi e dagli insegnamenti che un allenatore può impartire. Sono coloro che gli spazi li inventano, capaci di vederne di nuovi, portando così il gioco ad una successiva dimensione. Gli eletti, come quello del film Matrix, che hanno le matrici di tutti i sistemi di gioco prima che io possa organizzarlo: loro già lo vedono, già lo hanno giocato, già lo hanno risolto. Diego Armando Maradona o Johan Crujiff, ma queste eccezioni esistono in tutti i campi e uno potrebbe citare Brian Wilson dei Beach Boys quando scrisse pet sounds e SMiLE. Sfuggono alla noia aprendo un nuovo varco dove per primi, e almeno per un po’ da soli, possono giocare al gioco che hanno appena inventato. Un buon allenatore, in questi casi, non può che stare in scia. Capire il più velocemente possibile e portare il resto della squadra con sé a praticare quel gioco. Spero sempre di incontrarle queste eccezioni, a volte mi illudo, per sottrarmi alla quotidianità e alle abitudini del mio lavoro, della stessa, la solita lezione impartita: non è difficile, è solo una questione di occupare gli spazi e conquistarli, per non finire ai margini. 

(da Registro delle persone scomparse)

posted by Mauro Erro @ 14:16,

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