Fabio Cimmino: il Vinista e la telefonata amicale
giovedì 27 marzo 2014
Per chi è un frequentatore abituale di questo blog il nome di Fabio Cimmino è noto, visto che è stato tra gli autori che in passato vi ha contribuito con maggiore passione e voglia (lo trovate nella colonnina alla vostra sinistra). Per chi non lo conoscesse, invece, Fabio è un collega e concittadino e, parola di Paolo De Cristofaro, uno dei pochi blogger indipendenti sempre capaci di proporre un punto di vista “diverso”, non per partito preso ma per sincera convinzione, costringendo chi legge a ritornare in qualche modo anche sulle posizioni apparentemente più sedimentate.
Ne parlo per segnalare l'ultima creatura di Fabio, il Vinista, un portale che raccoglie tutti i suoi scritti disseminati qua e là nel tempo. E se la segnalazione è d'obbligo lo sono anche le scuse pubbliche a Fabio per non avere trovato il tempo per scrivere la presentazione che mi aveva chiesto.
Intanto, a voi lettori, regalo una delle sue ultime perle, un pezzo che mi ha molto divertito. Il riadattamento al nostro mondo dello scritto di qualche giorno fa di Stefano Disegni, Rossi e permalosi, la sinistra ride solo degli altri: La telefonata amicale. Buona lettura.
La cosa peggiore che può capitare a uno che per mestiere fa il critico enogastronomico non è imbattersi in un prossimo molto vendicativo e particolarmente robusto che ti esprime il suo disappunto, invertendoti gli zigomi a cazzottoni. Né una querela può far tremare chi ha affinato le sue arti per esercitare la propria libertà d'espressione sapendo bene come destreggiarsi per attaccare ferocemente un vino o un produttore e rimanere, saggiamente, entro i limiti del diritto di critica. Le querele, talvolta, poi, sono come le medaglie per i generali o le cicatrici per Rambo: motivo di orgoglio e credibilità, più ne hai più sarai ricordato. No, la cosa peggiore che può capitare al giornalista del vino in risposta a qualche punteggio/valutazione non gradita è la "telefonata amicale". La telefonata amicale si struttura in un prologo medio/breve in cui il chiamante esordisce col fare falsa autocritica raccontando al chiamato quanto ha apprezzato la scheda a lui dedicata. "Mi hai fatto davvero riflettere" è il pentaverbo di cui potrei azzeccare il minuto esatto in cui viene espresso, tante le volte che l’ho sentito (di solito al sesto del primo tempo). Perché poi c’è un secondo tempo. Ma andiamo con ordine. Dopo il pentaverbo arriva immutabile la rievocazione, da parte del chiamante, del luminoso cammino professionale del chiamato con citazione di tappe salienti. Più o meno all’ottavo del primo tempo arriva così un quadriverbo, il ben noto "ti ho sempre seguito", con cui il chiamante rinforza il concetto della grande stima che ha per il chiamato, che ha sempre letto, apprezzato e a volte ritagliato e appeso in cantina o (più spesso) caricato, in evidenza, sul proprio sito web aziendale. Poi arriva il secondo tempo. Inizia con il temuto triverbo (quadriverbo se arricchito dell’aggettivo "piccola"): "Solo una precisazione". Un triverbo temuto, temutissimo: il chiamato sa che è la porta del secondo tempo della telefonata amicale, il chiamato è conscio della slavina di precisazioni e distinguo che lo sta per seppellire. Il secondo tempo della telefonata amicale del produttore di vino cui brucia il **** per il giudizio che è stato riservato al suo vino (che di questo si tratta, amicale un par de palle) è infatti un lungo, tedioso, capzioso e acidino monologo su questo o quell’aspetto della personalità del chiamante che il chiamato non ha capito, ha interpretato male, ha travisato, realizzando così una scheda "che poteva essere molto più interessante, se, perdonami, lo dico proprio perché ti stimo, non fossi stato un po’ superficiale, anche se il livello è sempre altissimo". Dopo venti minuti di vivisezioni linguistiche e analisi semantiche della scheda di degustazione, con cui il chiamante fa civilmente riflettere il chiamato sulla assoluta gratuità del suo attacco, il chiamato rimpiange il tipo "molto vendicativo e particolarmente robusto" che viene lì, in due minuti ti inverte gli zigomi, ma almeno non ti tiene un’ora al telefono per dimostrarti metafora dopo metonimia dopo sintagma che sei una merda, ché per questo ti ha chiamato, altro che cazzi. Perché i produttori di vino, pure se civilmente e con alta qualità sintattica, si incazzano più degli altri. La critica deve essere libera, però non oltre i limiti di quello che sta bene a loro, siediti e sta a sentire che te li spieghiamo per una tua crescita...
posted by Mauro Erro @ 10:56, ,
E’ il mercato che ce lo chiede…
martedì 25 marzo 2014
Nell’ambiente del vino capita spesso di ascoltare o leggere frasi del genere: Quelli che "è il mercato che ce lo chiede, è il mercato che vuole vini così", (jacopo cossater pochi minuti fa via twitter). O ancora ascoltare lamentarsi un degustatore per i troppi vini di stile “borgognone” che s’incontrano oggi anche nei posti più impensabili. Oppure udire un critico osservare che, in tante parti del mondo, ancora oggi, dei vini “gastronomici” non interessa nulla; piuttosto che sentire chiedere ai produttori di fare vini che siano innanzitutto di loro gusto.
Al di là del tono di ciascuna affermazione, amarezza, invocazione, semplice osservazione, il punto nodale rimane il commitente: il consumatore, senza il quale non staremmo qui a parlare.
In quanto prodotto di cultura materiale il vino è anche oggetto sociale. Soggetto ai tempi e ai gusti del momento, come alle innovazioni tecnologiche e non solo. A nessuno verrebbe in mente di paragonare i vini degli anni ’60 a quelli degli anni ’90, quest’ultimi con i vini di oggi. Anche nel particolare, ad esempio, i Barolo di Maria Teresa Mascarello non sono quelli di suo padre, i vini di Giacosa degli anni ’80 sono diversi da quelli prodotti oggi. Ed è normale che sia così. Cambiamo noi, cambiano le nostre abitudini, cambiano i vini che beviamo.
Detto quindi che è da sempre il mercato nella sua più ampia accezione a determinare l'idea di vino (dal momento in cui non lo si produce più per consumo personale), il punto è che nel mondo globalizzato il committente o il mercato a cui spesso si fa riferimento è qualcosa di più complesso e frammentario: c’è tra i produttori chi pensa a ciò che vogliono gli americani o gli olandesi, c’è chi pensa a cosa vorranno i cinesi*.
Non che sia necessariamente un male. Il confronto, l’apertura, provare strade diverse, sperimentare sono cose che nel nostro paese invochiamo in altri settori e che sono stati motivo di miglioramento in passato per il vino italiano, non solo di storture.
Certo nonostante s’invochi spesso, la sfida sempre più difficile sarà costruire un’idea di identità territoriale contemporanea, fatta anche di infiniti particolari, e che tenga conto del tipo di consumatori che saremo noi (noi chi?).
*non dimenticando che in Italia si beve sempre meno, e si produce sempre troppo.
posted by Mauro Erro @ 10:54, ,
Masseria Duca d'Ascoli e i Nero di Troia
venerdì 21 marzo 2014
Qualche giorno fa un collega mi diceva che era l’ora di aggiornare il viandante.
O di chiuderlo, gli ho risposto.
Il che è più facile a dirsi che a farsi, come si suol dire (appunto) in questo come in tanti altri casi.
E quindi ho pensato che per adesso era meglio aggiornarlo, non è il momento per decisioni così impegnative e drastiche. Di venerdì poi.
Così confido nella vostra pazienza per questa mancanza assoluta di regolarità temporale nei post*.
Il modo migliore per tornare mi è sembrato l’esordio di un’azienda che non è BorgognaChablisSancerreBaroloMontalcino, ma Puglia: si chiama Masseria Duca d’Ascoli** e produce due Nero di Troia, il Nero Puro e il Nero del Duca. Il primo è il prodotto annata, un peso medio dal frutto croccante e dalla beva appagante nella versione 2011 (intorno ai 10 euro in enoteca). Il secondo è il prodotto più ambizioso capace di coniugare mediterraneità ed energia. Con un tocco di fascino vintage che non guasta. Costa 15 euro, vendemmia 2009 ed ha nella compiutezza ed energia del sorso il suo meglio. Un bel vino gluglu***.
* oltre a grattarmi la pancia, non è che abbia deposto completamente la tastiera. E nonostante questo, mi permetto di consigliare, se non lo avete già visto, il rinnovato sito di Enogea. Perché oltre me ci trovate il masna, il Falco, Gravina, De Cristofaro, Alessio Pietrobattista e Matteo Farini. Con tanti contenuti gratuiti.
Poi ci sarebbe anche altro, ma meglio diluire le sorprese e i colpi di scena nel tempo. Non vorrei spaventare il lettore abituato ai miei ritmi.
** in stile bloggarolo, trattasi ovviamente di consiglio di un consiglio. Il pusher è un pugliese doc, Franciscus Falcone che ne scrisse sul numero 50 di Enogea.
*** pare dicano così i cugini gli avanguardisti d'oltralpe.
posted by Mauro Erro @ 09:02, ,