Quando la malolattica era rock (seconda parte)
giovedì 12 maggio 2011
L’altro giorno abbiamo parlato di quel periodo in cui la malolattica era rock mentre oggi molti la rifiutano tanto da farmi affermare in chiusura finale: qualche volta, sarebbe meglio farla. (vedi qui)
Il punto non è se si fa o meno la malolattica (o se si usa o meno la barrique): ma perché e con quale consapevolezza faccio una cosa piuttosto che un’altra e le conseguenti ricadute gustativo/stilistiche/onanistiche.
Ma andiamo avanti con il nostro ragionamento: la fermentazione malolattica è un pizzichino complicata e va seguita onde evitare spiacevoli conseguenze. Si procede con l’inoculo dei batteri lattici (oggi i produttori si lamentano ché quelle bustine di batteri costano un botto e, di bustine, ce ne vogliono un bel po’). Ciò non basta, perché se volessimo entrare nel dettaglio, diciamo che è probabile ci voglia l’aggiunta di altro perché i batteri procedano senza problemi. Probabilmente dovrò alzare anche il ph del mio mosto se troppo basso, disacidificando, di un grammo e mezzo più o meno, acido tartarico. A fine fermentazione, una bella botta di solforosa per inibire i batteri.
Certo, la malolattica può anche partire spontaneamente. Sempre che non si tenga artatamente il vino in un contenitore a temperature abbastanza basse tanto da inibirla.
Questa pratica si lega spesso all’idea che più acidità ho, più il mio vino durerà in eterno. Quanto all'acido tartarico, basta vendemmiare il prima possibile per preservarlo quanto più si può.
Tutti questi ragionamenti a prescindere da una qualsiasi idea di equilibrio, annata, vitigno e così sia.
Se allargassimo l’orizzonte del nostro sguardo, allora verificheremmo che le medie e grandi industrie del vino in tutto questo ci sguazzano. In linea di massima hanno sempre vendemmiato prima per non rischiare, ora risparmiano un bel po’ di soldi in additivi enologici che non occorrono più e cisterne di vini da taglio che non partono più. E non faccio la malolattica. Risparmio ancora.
Nel frattempo a botta di filtrazioni e chiarifiche siamo tornati ai vini color carta di un tempo.
Mi scuso sempre per le semplificazioni.
Però, tra un vino tagliente ma pieno di bella materia e un vino semplicemente acido e più vuoto delle tasche di Paperino c’è una bella differenza.
Per estremizzare il discorso potrei prendere ad esempio le bollicine: bevetevi gli Champagne di Francois Billion o quelli di Benoit Lahaye e poi riparliamo del giusto concetto di acidità tagliente, finanche assassina per i più deboli, ma che sorregge una gustosa materia prima.
Come disse Rizzari, distinguere tra una vino buono e un vino apparentemente buono è sempre più difficile.
E certo non mi preoccupano le capacità di chi fa il degustatore di professione quanto quelle dei consumatori.
A furia di slogan sull’acidità da parte di tutti noi si sta affermando un modello estetico ben preciso.
Eppure, da un lato, l’acidità non sembra essere il requisito primario e fondamentale per i vini atti all’invecchiamento, quanto più un discorso di equilibrio. Il rischio in vigna è di passare dalle “surmaturazioni” alle “immaturazioni”. Dall’altro lato conosco pochi consumatori che aspettano 10 anni per bersi un vino bianco.
Succo (mo ce vo) del discorso: a volte le banalizzazioni possono fare tanti danni quanto le bananizzazioni.
a
posted by Mauro Erro @ 14:01,
1 Comments:
- At 14 maggio 2011 alle ore 11:17, said...
-
dall'enologo del grande sciatò al pasticcione di paese il vino segue la moda, chi prima, chi dopo.
l'altroieri la barrique, ieri la mineralità, adesso va l'acidità, domani magari la bollicina o chissà cosa.
tavernello o cocacola, tutto si adegua alla moda del momento, ciascuno a modo suo, s'intende.
il peccato non è la moda, il peccato è che alcune cose debbano guastarsi per la moda.
come i balli antichi, ad esempio.
ma però ciò che estremamente impossibile preservare è l'integrità d'un gusto.
mentre di pompei si potrà salvare un edificio mettendo dentro un mcdonald, e tutto sommato meglio di un crollo sarebbe, col vino che fai?
come si fa la filologia qui? bisogna accettare il compromesso. del resto in un futuro non lontano si potrebbe tornare alle aromatizzazioni, tipo erbe, miele ecc. ecc. e noi che facciamo? ci stracciamo le vesti o accettiamo il fatto che è comunque un ritorno a un gusto perduto?