Nerello dell'Etna: uno, nessuno, centomila
lunedì 30 maggio 2011
Dall'inizio di quest'anno ho deciso di concentrarmi sui vini dell'Etna per cercare di capirne qualcosina in più. Da qualche tempo, ormai, si parla sempre più insistentemente dei vini rossi di questa denominazione come il nuovo paradiso per tutti gli appassionati (ma anche perché no, produttori) di vino. Paragoni spesso impegnativi sono stati spesi per descrivere alcune delle più emozionanti bottiglie degustate. Tra i riferimenti più ricorrenti sicuramente quello che più mi è capitato di sentire, io stesso sono stato il primo ad abusarne, è quello con il pinot nero e più nello specifico con la Borgogna. Parlando, però, con chi di Borgogna davvero ne capisce, il nostro Magister (al secolo Giancarlo Marino, n.d.r.) giusto per fare un esempio, ti accorgi subito, già dallo sguardo (compassionevole), prima ancora di una vera e propria risposta, delle mille perplessità che circondano questa ipotesi tanto affascinante quanto azzardata. Un dubbio, allora, mi assale e mi rendo conto che forse i vini dell'Etna sono il fenomeno enologico più sopravvalutato di tutta la penisola. A corollario di quanto esposto ti arriva, poi, il (solito) Mauro (Erro) a sollevare, qualora ne sentissi il bisogno, un ulteriore interrogativo accessorio, non da poco, il classico domandone da un milione di dollari. Questi vini arrivano sul mercato mediamente a due, tre anni dalla vendemmia (eccezione Calabretta ma sul cui stile c'è poco, a mio parere, da stare a discutere: ossidativo duro e puro, nel senso più nobile del termine, ovviamente) e penso che davvero in pochi abbiamo avuto modo di testare bottiglie con venti e passa anni sulle spalle (per quelle poche che potrebbero reperirsi in circolazione). Ci sarebbe, ancora, da analizzare e distinguere tra i diversi territori ma anche in questo caso siamo lontani anni luce da un attendibile classificazione alla francese ma anche da una semplice individuazione sistematica, più o meno storicizzata, come avvenuto in Langa. Stabilire quali siano le contrade grand cru o, almeno, quelle che potrebbero aspirare semplicemente alla dignità di cru e via dicendo, mi sembra, allo stato dell'arte, un lavoro se non del tutto improbabile, comunque, poco attendibile. Ho citato la terra del nebbiolo ed è questo un altro vitigno a cui non di rado il rosso etneo è stato accostato. Io, scusatemi se mi ripeto, è dall'inizio di quest'anno, che sto cercando di assaggiare quanta più roba possibile, partendo dalle ultime annate fino ad andare a ritroso quanto più possibile attingendo alla mia cantina e alle occasioni che mi si presentano. Brancolo nel buio. La mia conclusione è che c'è tanta, troppa confusione per cercare di fare un po' d'ordine. Per tutta una serie di variabili che è facile immaginare. Diversa esposizione, altimetria, sistema d'allevamento (che non sempre è l'alberello come si pensa) età d'impianto delle vigne. Soprattutto il diverso stile produttivo da cantina a cantina, con differenze talvolta rilevanti, sul risultato espressivo che si vuole raggiungere. Alla fine dei giochi, però, io una mia conclusione provvisoria l'ho raggiunta in attesa di essere smentito. Da giovane il nerello assomiglia, effettivamente, ad alcuni pinot della Borgogna, una Borgogna minore mi verrebbe da sottolineare... Certo è che nonostante la forte corrispondenza di sensazioni anche nelle migliori interpretazioni rimane piuttosto lontano dalle vette borgognone ma anche da alcuni semplici "village" dove il manico può fare la differenza e che differenza... Il profilo olfattivo di piccoli frutti rossi, fresco floreale ed insistente mineralità, avaro di tannino, o se preferite generoso di tannini già risolti, abbinato ad una scalpitante acidità gioca un ruolo determinante in questo parallelo di eleganza e beva trascinante. Col trascorrere degli anni, anche pochi anni, subito si nota, tuttavia, un primissima divergenza evolutiva. Il Nerello etneo tende velocemente a terziarizzare al naso pur conservando al palato buona freschezza e succo. Il profilo vira, repentinamente, verso un ventaglio aromatico più speziato, fenolico e balsamico avvicinandosi sempre più al nebbiolo piemontese. Anche la tenuta a bottiglia aperta rivela, non di rado, una simile progressione piuttosto brusca e sbrigativa. Insomma un vino-vitigno dalle due facce e due velocità. Questo atteggiamento non può che indurmi a sospettare sulla longevità presunta ed attesa di alcune etichette. Cautela è d'obbligo!
Fabio Cimmino
ah
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posted by Mauro Erro @ 09:06,