Modena o Parigi? Che la "Verita-S”tia a Napoli ?

Dopo qualche anno che mi interessavo attivamente al vino, partecipando a degustazioni su degustazioni, valutando vini e sparando sentenze (e cazzate) varie, ebbi la malaugurata idea di iniziare a girare per i ristoranti e recensirli. Ho sempre pensato che, per essere dei critici affidabili nel campo della ristorazione, si debbano avere caratteristiche ben diverse da quelle di un degustatore di vini. Probabilmente mi sbaglio. O allora vorrà dire che mia moglie è l'eccezione che conferma la regola. Mi spiego, se avete la pazienza di leggermi sino in fondo.

Il vino abbisogna di studio e conoscenze, tante. Molto spesso sembra quasi che un assaggiatore sia allo stesso tempo un agronomo, un enologo, un geologo, deve saperne un minimo di geografia e di storia. In realtà un bravo degustatore dovrebbe almeno avere un’ infarinatura di tutte queste materie. Dunque, assaggi tanti, ma anche tante letture di approfondimento e momenti di confronto, a 360°, con operatori del settore. Capire se uno chef sappia cucinare o meno, se sia bravo o meno, secondo me richiede altre doti, molto più saldamente legate al proprio vissuto. Sicuro di attirarmi critiche (ma anche di molto peggio, fate pure), non ho paura di confermare la mia convinzione che se sei cresciuto a “sofficini” e “4 salti in padella” difficilmente, anche con tutto l'impegno e la pratica possibile, potrai diventare un intenditore di cucina. I sapori ed il gusto si sedimentano nel corso degli anni. Si presuppone che, a meno che uno non sia miliardario, passeranno un bel po' di anni prima che tu possa iniziare a frequentare certi ristoranti. Col vino è leggermente diverso. Fino ad una certa età te lo fanno solo assaggiare, in occasione delle feste o per qualche accadimento speciale. A 18 anni tendi ad un bere meno consapevole e disincantato (perifrasi iperbolica degna di nobel per la letteratura) poi, per una via o per un'altra, ti appassioni al vino in maniera sempre più seria e cronica, raggiungendo e (spesso) oltrepassando i confini del fanatismo. Non puoi perderti una degustazione, un vino, una serata, devi provare di tutto di più, altrimenti stai male...
Girare per ristoranti richiede tempo innanzitutto, sei tu a muoverti, non è la bottiglia a venire da te (a meno che non ti chiami Maometto...). Ed a meno che non lo fai per professione esclusiva, oppure non hai una cippa da fare, il tutto diventa molto più complicato. Ma diciamo che, seppure rientri in una delle prime due categorie (aggiungo che devi trovarti un lauto finanziatore-editore o avere il portafoglio gonfio), più di 600/700 ristoranti in un anno non potrai mai visitarli (2 al giorno, tutti i giorni !!!) . Secondo me è più realistico pensare a circa 300/400. Un degustatore di vino anche semplice, ma accanito appassionato (il sottoscritto come molti altri che conosco), può arrivare tranquillamente, senza esagerare, a 2000 etichette all'anno. Se degusta per una guida o per una rivista di settore penso che questi numeri possano diventare notevolmente più importanti e la forbice tra degustatore di vini e critico gastronomico tende ancora ulteriormente ad allargarsi. Senza dimenticare il fattore economico: una boccia da 1000 euro la puoi sempre dividere con gli amici, una cena o un pranzo non proprio...
Se pensate che sia per questo che ho deciso di non dedicarmi più a scrivere di ristoranti, siete, però, fuori strada; l'ho fatto perché ho capito ben presto che gli chef sono molto più permalosi e presuntuosi dei vigneron, quindi, meglio starne alla larga. Nel frattempo mi sono perso…

Cosa c'entra mia moglie? Beh, lei è una di quelle che ne capisce di cucina perché ha avuto la fortuna, da sempre, di mangiare bene, fin da bambina, lo stesso, più o meno, dicasi per il sottoscritto. Non parlo di semplice cucina casalinga, alla buona, ma di materie prime eccellenti, freschissime; ricette della tradizione e non, eseguite magistralmente, innanzitutto con amore, senza l'autoreferenziale cerebralità di alcuni piatti stellati. Per intenderci se va da Gennarino (Esposito, Torre del Saracino, Vico Equense) e da Don Alfonso (Don Alfonso 1890 , Sant’Agata sui due Golfi) e ti dice che le piace più il primo piatto del secondo, te lo sa motivare con dovizia di dettagli e di efficaci osservazioni, senza bisogno di una terminologia tecnica e, soprattutto, senza ricorrere alla banalità del gusto personale (ed in questo è anche più affidabile di molti critici che, invece, al gusto personale ricorrono spesso e volentieri per giustificare le proprie improbabili scelte). Ed anche da grandi, io e Rosangela, abbiamo cercato di non perdere le buone abitudini. Solo prodotti di qualità estrema, preparati nella maniera più semplice possibile. Se usciamo per andare al ristorante ne deve valere, davvero, la pena. Vogliamo vivere un'esperienza diversa ed appagante. Ci sono quasi, non vi preoccupate, non vi arrendete...

In questi primi quattro mesi dell'anno ho girato un po' di ristoranti e vorrei soffermarmi su tre di loro in particolare: Massimo Bottura (Osteria La Francescana di Modena), Inaki Aizpitarte (Le Chateubriand e Les Fleurs a Parigi) e Gianluca D'Agostino (Veritas di Napoli). Il primo mi ha detto che non capivo il panino con la mortadella sifonata perché sono campano (suppongo, allora, che lui non potrà mai capire la mozzarella di bufala campana ?!), ma rimane il numero uno in Italia, con 150 euro (vini esclusi) e con la sua cucina fai un viaggio oltre i confini dell'ignoto, ne vale, sempre e comunque, le pena (io non sono permaloso, almeno non tanto...).
Il secondo gestisce un locale trendissimo a Parigi, strapieno di gente e frequentato da bellissime ragazze (bonus): con soli 50 euro (vini esclusi) mangi in uno stellato e ti passa la paura (le critiche che ho letto da più parti mi sembrano ingenerose, ma ci tornerò presto con un racconto più dettagliato).
Gianluca D'Agostino invece? Chi era costui?
Io e mia moglie abbiamo trascorso una piacevolissima serata, mangiato discretamente bene, bevuto una bella bottiglia (io) e pagato il giusto (peccato solo che il menù sia piuttosto limitato: dopo che ci sei tornato due volte rischi che non ti rimanga altro da provare, ma per il momento va bene così, un passo alla volta è meglio del passo più lungo della gamba).

Se pensate, adesso, che il titolo fosse esageratamente e dichiaratamente provocatorio, ci avete preso solo in parte.

Fabio Cimmino


Dopo le polemiche per le premiazioni del 50 best restaurant's di San Pellegrino; letti gli interventi di Vizzari, Bonilli e Andrea Petrini, ho chiesto a Fabio di dirmi il suo punto di vista e spero che presto ci invii il racconto dell'esperienze più "fresche", Chateubriand innanzitutto.

Al di là delle inflessioni nel proprio vissuto, non mi pare che il succo del discorso sia molto lontano da quello di Petrini che potete leggere qui. Non voglio entrare nel merito della classifica, dei parametri adottati, credo sia poco interessante stabilire con il misurino chi sia meglio di chi o di cosa secondo un linguaggio condiviso che via via si adegua nel tempo.
Si è sempre abituati a trattare il cibo (e il vino) in maniera molto autoreferenziale e il web è perfetto strumento di risonanza in questo. Ci si dimentica, invece, che cibo (e vino) sono legati ed espressioni delle nostre abitudini e costumi, talvolta le suggeriscono, altre volte si adeguano. In seguito alla crisi mondiale stanno cambiando le nostre abitudini, noi, si sovvertono valori e principi. Avviene anche nel mondo dell'enogastronomia.
Noi i cambiamenti preferiamo capirli cercando poi di gestirli, piuttosto che subirli. (m.e.)
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posted by Mauro Erro @ 08:15,

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