Libertà d’informazione: vero o falso?

Nelle otto estenuanti ore di viaggio di ritorno da Verona e il Vinitaly cerco di sistematizzare i pensieri, le sollecitazioni, gli incontri. Distratto entro in un autogrill e, consumato un caffè, mi dirigo verso l’uscita, obbligato, come tutti, alla gincana tra i vari reparti del market. Mi fermo, di colpo, al reparto degli alimentari tra Barolo e Chianti in offerta a prezzi stracciati, olio, salumi “regionali” e tipici. Ho un’illuminazione.

Facciamo un passo indietro.
È il primo aprile, Andrea Turco, del sito cronachedibirra.it, s’inventa una di quelle burle che rimarrà alla storia. Organizza un bel pesce d’aprile: scrive che chiuderà il sito in seguito ad una querela ricevuta dal gruppo Heineken per un suo pezzo di critica ad un loro progetto chiamato “i love beer”. Noi riprendiamo la notizia con Roberto Erro mettendo nel calderone la nuova legge Alfano del 2006 che equipara un blog ad una testata giornalistica. Qui trovate tutto, compresa la discussione che ne scaturisce e che vede, in un certo senso, contrapposti me e l’amico Armando Castagno, scrittore e giornalista, con cui continuiamo poi a chiacchierare in privato.

Sia chiaro, io trovo ciò che ha scritto Armando cristallino, sereno e condivisibile. Il mio punto di domanda è un altro: indipendentemente da quale sia il mezzo editoriale qual è il confine tra libertà d’informazione e reati d’opinione? La legge garantisce veramente chi scrive e il consumatore che legge?

Torniamo alla mia illuminazione.
Senza starvi a spiegare quali associazioni d’immagine mi abbiano portato a ricordare, al banco dei salumi dell’autogrill, una vecchia vicenda, ve la racconto: credo sia, come detto, illuminante.

Nel 2004, Andreas Marz, bravissimo giornalista della rivista in lingua tedesca Merum, distribuita in Germania, Svizzera e Austria, in collaborazione con la ZDF (televisione tedesca n.d.r.), Der Stern, e Slow Food Magazine Deutschland, decide di parlare della presenza di cosiddetto “olio extravergine d’oliva” italiano sugli scaffali dei supermercati tedeschi. La sua convinzione è che il 95% dell’olio definito extravergine è fasullo.

Si reca in una serie di supermercati, acquista un certo numero di campioni che verranno prima analizzati ed in seguito assaggiati da vari panel di degustazione, compresi quelli delle camere di commercio. Qui, dalla viva voce di Andreas intervistato da Carlo Macchi, potete ricostruire tutti i dettagli.

30 dei 31 oli, all’esame organolettico, semplicemente puzzano. Andreas lo scrive, all’azienda Carapelli la cosa non fa piacere, tanto che lo denuncia per diffamazione a mezzo stampa.

Cinque anni dopo il giudice Luciano Costantini del Tribunale di Pistoia, con sentenza del 12 maggio “assolve Marz Andreas Anton dal reato ad egli ascritto perché il fatto non sussiste”.

E le spese dell’avvocato e processuali? Andreas se l’è dovute pagare da sé.
8.000 euro e gli è andata pure bene. Quello in cui è stato assolto era il processo penale. Fosse stato condannato, in sede civile la Carapelli avrebbe potuto chiedere un risarcimento multimilionario.

Alla fine, per aver fatto il suo lavoro, Andreas ci ha rimesso “solo” (???) 8.000 euro.
a

posted by Mauro Erro @ 11:42,

1 Comments:

At 15 aprile 2011 alle ore 19:22, Anonymous gasparino pane&vino said...

leggo solo ora l'interessante quesito: qual è il confine tra libertà d'opinione e comportamento illegittimo (civile o penale che sia)?
pongo due premesse. 1 a ricevere complimenti immeritati nessuno s'offende;
2 se oltre ad esser competente tu fossi anche interessato, un tuo giudizio negativo sarebbe palesemente un comportamento commercialmente illecito.
detto questo, l'esempio dato è esemplare: ci sono degli olii in degustazione, tu ne scrivi i giudizi, alcuni positivi, gli altri negativi.
stop. se qualcuno s'offende è colpa sua, un giudice non viziato direbbe questo.
le spese è piuttosto ingiusto che le paghi il giornalista, o meglio l'editore. non per altro esprimere una critica su un prodotto NON D'ARTE, bensì commerciale, cioè nato per vendere espressamente, è sempre un fatto delicato. ne va cioè non del gusto del produttore, bensì della sua tasca.
credo sia questo il punto.
infatti io mi batto per riclassificare i vini in due schiere, i viniarte ed i viniprodotto.
i primi sono come quadri, come poesie.
i secondi sono come detersivi.
per questo parlare dei primi è una cosa utile e bella e costruttiva, parlare dei secondi è delicato, inutile e sconveniente...

 

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