Dell’affinamento del vino e del senso estetico
martedì 11 gennaio 2011
Mi è capitato recentemente di dialogare con Fabio Rizzari sul suo interessante blog a proposito della “bevibilità ottimale di un vino”, ovvero dei criteri da seguire per decidere il momento giusto per aprire una bottiglia.
Lo spunto per una riflessione me lo ha dato l’intervento di un lettore, per il quale tutte le elucubrazioni in merito alla opportunità di affinare un vino per un certo periodo di tempo sono “un fatto puramente di moda”. Il “capolavoro è capolavoro sempre” e ogni momento è buono per godere della sua grandezza, “altrimenti perché mettere in commercio, spacciandolo per perfetto, un oggetto in realtà perfettibile?”.
Mi sembra interessante sviluppare ulteriormente questo tema, partendo proprio dal punto in cui il ragionamento era arrivato.
Anche io penso che un grande vino sia grande sempre. Ma, oltre al fatto che, come in tutte le cose della vita, a ogni regola corrisponde sempre una eccezione (quella che si è soliti dire che confermi la regola stessa), questo non vuol dire che sia esattamente la stessa cosa stappare la bottiglia di un grande vino subito o dopo un certo periodo di affinamento.
Il punto centrale della questione, sul quale è opportuno stabilire se si è d’accordo o meno, è rappresentato dal dato, per me oggettivo, che il grande vino, al contrario dei “capolavori” di altri settori dell’arte (pittura, letteratura, musica…fate voi), non è immutabile nel tempo. La Gioconda è esattamente come era quando Leonardo da Vinci la dipinse: a cambiare, semmai, è la nostra capacità di apprezzare il dipinto, ovvero la nostra cultura, la nostra consapevolezza, in altri termini il nostro senso estetico, nel significato illuministico di “frutto” del rapporto tra l’oggetto artistico e chi lo percepisce con la propria sensibilità individuale. Situazione che si ripropone con riferimento al vino, perché anche nei confronti del vino cambia con il tempo il nostro senso estetico (ne ho già parlato in “Corsi, ricorsi e percorsi”).
Cambiamo noi, ma cambia anche il vino, che è qualcosa di “vivo” e quindi non immutabile nel tempo. Domani il vino sarà diverso da oggi, non so se migliore o peggiore, ma diverso certamente si. Pensate ad un rosso di Borgogna vinificato con i raspi. Nei primi anni la percezione dei tannini, e quindi la sensazione di durezza e immaturità, è rafforzata dalla presenza delle parti legnose del grappolo, ma dopo un lungo affinamento (spesso occorrono 15/20 anni) le note verdi dei raspi si trasformeranno in note floreali di rosa appassita (mentre, come è affascinante tutto ciò…, le note di fiori freschi, come rosa, violetta e iris, sono un corredo aromatico dono del terreno di provenienza). I vini di Dujac e della Romanee Conti, tanto per fare qualche esempio, sono grandissimi vini che spesso si lasciano apprezzare anche in gioventù, ma solo dopo un lungo e paziente affinamento in bottiglia potranno dare il meglio di sé, aggiungendo complessità aromatica e completando, in tal modo, un quadro inizialmente solo abbozzato.
Parlando dell’uomo, del resto, verrebbe in mente di dire che è completo fin dalla sua nascita e non è perfettibile? Il grande vino, così come l’uomo, nasce, si sviluppa e alla fine del suo ciclo vitale decade. In ognuna delle fasi di crescita ne apprezzeremo le relative doti, ovviamente diverse tra loro, fino ad arrivare alla età “matura”, in cui avrà sviluppato compiutamente le sue potenzialità, per poi avviarsi, più o meno lentamente, al tramonto della propria esistenza. Ecco quindi che la bottiglia di Romanee Conti del 1999, bevuta alcuni anni fa e di cui si parlava con Fabio Rizzari, era meravigliosa come può esserlo un fanciullo, ma sarei disposto a scommettere che tra 10 o 15 anni, o chissà quando, alla bellezza del fanciullo si sostituirà quella dell’uomo adulto, sicuramente meno esuberante ma allo stesso momento con quel quid in più, di consapevole fascino, che solo la maturità può far emergere.
Mi sembra interessante sviluppare ulteriormente questo tema, partendo proprio dal punto in cui il ragionamento era arrivato.
Anche io penso che un grande vino sia grande sempre. Ma, oltre al fatto che, come in tutte le cose della vita, a ogni regola corrisponde sempre una eccezione (quella che si è soliti dire che confermi la regola stessa), questo non vuol dire che sia esattamente la stessa cosa stappare la bottiglia di un grande vino subito o dopo un certo periodo di affinamento.
Il punto centrale della questione, sul quale è opportuno stabilire se si è d’accordo o meno, è rappresentato dal dato, per me oggettivo, che il grande vino, al contrario dei “capolavori” di altri settori dell’arte (pittura, letteratura, musica…fate voi), non è immutabile nel tempo. La Gioconda è esattamente come era quando Leonardo da Vinci la dipinse: a cambiare, semmai, è la nostra capacità di apprezzare il dipinto, ovvero la nostra cultura, la nostra consapevolezza, in altri termini il nostro senso estetico, nel significato illuministico di “frutto” del rapporto tra l’oggetto artistico e chi lo percepisce con la propria sensibilità individuale. Situazione che si ripropone con riferimento al vino, perché anche nei confronti del vino cambia con il tempo il nostro senso estetico (ne ho già parlato in “Corsi, ricorsi e percorsi”).
Cambiamo noi, ma cambia anche il vino, che è qualcosa di “vivo” e quindi non immutabile nel tempo. Domani il vino sarà diverso da oggi, non so se migliore o peggiore, ma diverso certamente si. Pensate ad un rosso di Borgogna vinificato con i raspi. Nei primi anni la percezione dei tannini, e quindi la sensazione di durezza e immaturità, è rafforzata dalla presenza delle parti legnose del grappolo, ma dopo un lungo affinamento (spesso occorrono 15/20 anni) le note verdi dei raspi si trasformeranno in note floreali di rosa appassita (mentre, come è affascinante tutto ciò…, le note di fiori freschi, come rosa, violetta e iris, sono un corredo aromatico dono del terreno di provenienza). I vini di Dujac e della Romanee Conti, tanto per fare qualche esempio, sono grandissimi vini che spesso si lasciano apprezzare anche in gioventù, ma solo dopo un lungo e paziente affinamento in bottiglia potranno dare il meglio di sé, aggiungendo complessità aromatica e completando, in tal modo, un quadro inizialmente solo abbozzato.
Parlando dell’uomo, del resto, verrebbe in mente di dire che è completo fin dalla sua nascita e non è perfettibile? Il grande vino, così come l’uomo, nasce, si sviluppa e alla fine del suo ciclo vitale decade. In ognuna delle fasi di crescita ne apprezzeremo le relative doti, ovviamente diverse tra loro, fino ad arrivare alla età “matura”, in cui avrà sviluppato compiutamente le sue potenzialità, per poi avviarsi, più o meno lentamente, al tramonto della propria esistenza. Ecco quindi che la bottiglia di Romanee Conti del 1999, bevuta alcuni anni fa e di cui si parlava con Fabio Rizzari, era meravigliosa come può esserlo un fanciullo, ma sarei disposto a scommettere che tra 10 o 15 anni, o chissà quando, alla bellezza del fanciullo si sostituirà quella dell’uomo adulto, sicuramente meno esuberante ma allo stesso momento con quel quid in più, di consapevole fascino, che solo la maturità può far emergere.
a
posted by Mauro Erro @ 10:23,
1 Comments:
- At 13 gennaio 2011 alle ore 14:40, pico "m" coombe said...
-
l'unica soluzione è averne almeno una cassa in cantina da seguire nel tempo, come credo abbiano fatto un po tutti con la romanee conti del '99...