Chaos Theory, BrewDog

Change one thing, change everything: è una delle frasi, diventate poi slogan, tratta dal film di fantascienza “The Butterfly Effect” di Bress e Gruber. La sintesi rende chiaro il concetto: cambi anche una sola cosa in un sistema caotico e il risultato finale diventa imprevedibile. Dietro la sintesi, ovviamente, c’è un mondo: Bradbury e la teoria della sensibilità alle condizioni iniziali, passando per complessi modelli matematici. La filosofia è questa e James Watt e Martin Dickie la schiaffano in etichetta. Grande idea, produttiva e di marketing.
Siamo in Scozia, presso Brewdog, birrificio nato nel 2006 dall’idea dei due tipi sopra citati e diventato in pochi anni una realtà consolidata del brewing mondiale.
Spulciando tra le vecchie pagine del loro sito, scopro che la Chaos Theory è stata prodotta come esperimento e messa in commercio col proposito di ottenere feedback dai consumatori. Al momento non compare nella gamma di BrewDog, ma è ancora reperibile in giro.
L’idea è quella di modificare anche una sola condizione iniziale, perché il prodotto finale sia nuovo, imprevedibile, esso stesso sorpreso di sé. Nasce la loro random IPA, la Chaos Theory, grazie al massiccio impiego di un insane single hop, per dirla con le loro stesse parole: un luppolo “folle”, neozelandese, Nelson Sauvin, utilizzato come unico luppolo. Da qui la definizione aggiuntiva per questa birra di Pacific Pale Ale, a dimostrazione che, va bene gli stili, ma questi possono essere superati e reinterpretati, a dimostrazione del random e dell’effetto farfalla. Per i malti invece, abbondantemente utilizzati fuori e dentro BrewDog, le varietà Pale, Crystal e Caramalt.
E la birra è un’ottima reinterpretazione dello stile: ambrata carica con riflessi rubini, schiuma poco persistente, al naso è fresca, con sentori fruttati aspri, agrumi e tostatura di sottofondo. Al palato, ritroviamo la chaos theory: i malti ben si bilanciano e offrono un’entrata dolce, per poi fare da cornice ad un susseguirsi di sensazione aspre, agrumate, pungenti, che ottimamente si equilibrano con le sensazioni maltate, rincorrendosi a lungo, e con una carbonica che efficacemente aiuta il sorso. Il retrolfattivo è un lungo incedere di una sensazione bitter, decisa, asciutta: i 7,1 gradi ABV ci sono, ma non si sentono.
Chiamatela come volete, Pacific o India, Pale Ale: la Chaos Theory è buona e questa è l’unica certezza.

Roberto Erro
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posted by Mauro Erro @ 10:14,

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