Domaine Voillot

Jean-Pierre Charlot

Suonai al campanello di una piccola casa antica in pietra, dietro il campanile di Volnay. Avevo lasciato da pochi minuti Beaune, con il suo continuo via vai di turisti e di affaccendata gente del posto, quindi notai subito la differenza con quel silenzio quasi “cimiteriale”.
Sulla porta a pian terreno una targa di ottone tirata a lucido recita “Domaine Joseph Voillot”.
Sopra di noi si apre una finestra, assai simile a quella delle favole, con i vasi di geranio sul davanzale e le immacolate tende bianche sui vetri.
Si trattava certamente della finestra della cucina, perché fummo avvolti da un effluvio di odori buoni di ricette antiche fatte con amore. Del resto si avvicinava l’ora del pranzo e certamente in quella casa stavano preparando qualcosa.
La attempata signora, che poi abbiamo appreso essere la moglie di Joseph, dalla finestra della cucina ci dice gentilmente che il marito è in pensione da molti anni e che sarà il genero Jean-Pierre a riceverci. Dovevamo attendere qualche minuto perché era in vigna a lavorare.
Quella era una delle prime visite in Borgogna insieme all’amico Bruno, che ora ci guarda da lassù molto probabilmente con in mano un calice colmo di buon barolo. Dopo molti anni di peregrinazioni borgognone “in solitaria”, mi faceva piacere essere in buona compagnia. Bruno, del resto, mi aveva detto di parlare un po’ di francese e non sarei stato quindi costretto a sfoggiare il mio solito, improbabile esperanto, fatto di parole in italiano, inglese, francese, gesti con le mani alla “napoletana”. Mentre attendevamo che Jean-Pierre Charlot tornasse dalla vigna, però, Bruno mi fece capire che preferiva fossi io a parlare, perché non si sentiva sicuro e non voleva dare una brutta impressione.

Ormai Jean-Pierre è un amico vero, riesco perfino a cogliere alcune inflessioni dialettali, ci capiamo anche senza troppe parole (nel senso che lui parla, io cerco di stargli appresso e nel frattempo metto su qualche sintetica domanda in esperanto). Quel giorno, Jean-Pierre ci fece una specie di esame, ma non gli importava nulla della fluidità del nostro francese, voleva capire chi eravamo.
Questa scena iniziale, dopo tantissimi anni di visite in Borgogna, ormai l’ho metabolizzata. Due convenevoli, qualche spiegazione fatta più che altro dei soliti luoghi comuni, in attesa di capire qualcosa l’uno dell’altro. Ogni tanto piazzo lì qualche citazione dotta, affinché l’interlocutore capisca che non sono un parvenu e che la mia passione per quella terra è autentica, e il ghiaccio comincia a sciogliersi.

Jean-Pierre ci accolse in una piccola stanzetta e ci fece assaggiare tutti i vini dell’annata, appena imbottigliati. Poi in cantina, a pochi metri dalla abitazione, ad assaggiare i vini in botte dell’ultima annata.
Io e Bruno, nel frattempo, ci scambiavamo qualche sguardo furtivo, quattro parole in italiano perché tanto avevamo capito che Jean-Pierre masticava l’italiano molto peggio di quanto noi facessimo con il francese.
Nulla da dire: non capivamo di vino (e la cosa ci sembrava, così come oggi, assai probabile) o i vini erano davvero bellissimi, convincenti. Eravamo già a una trentina di assaggi, quando Jean-Pierre si allontanò sparendo dalla nostra vista, per tornare poco dopo con una bottiglia ricoperta di muffa e senza etichetta.

Una delle prerogative più significative di questo Domaine è quella di avere sempre imbottigliato il proprio vino. In Borgogna, l’imbottigliamento è pratica relativamente recente: fino alla seconda guerra mondiale la stragrande maggioranza dei produttori vendeva uve o mosto alle grandi Maison. Già il papà di Joseph Voillot, invece, imbottigliava almeno parte della propria produzione, e nelle sue cantine si trovano quindi, ancor oggi, bottiglie degli anni ’20. Joseph, come il padre prima e Jean-Pierre oggi, hanno un vero e proprio culto per la convivialità. Nella cantina di Pommard, a pochi chilometri da Volnay, organizzano spesso incontri con amici e parenti per il piacere di sedersi intorno ad un tavolo imbandito.
Io e Bruno capimmo immediatamente che anche quella bottiglia faceva parte dell’esame cui Jean-Pierre ci stava sottoponendo.
Pommard o Volnay Brù?
Propendemmo per Volnay perché non avevamo avvertito le tipiche “durezze” di Pommard, il vino era potente e complesso ma a suo modo di eleganza “femminile”. Certamente non il village, si trattava di scegliere tra i tre 1er cru prodotti (Cailleret, Fremiets e Champans).
Mah, direi non Fremiets perché è il più “gentile” dei tre. E’ vecchio, ma quanto?

Non facile, essendo per noi la prima bottiglia di Voillot “vecchio”. Il vino era certamente pronto ma integro, le note terziarie (di terra bagnata e sottobosco, di radice e tartufo bianco, di tabacco dolce) si accompagnavano al frutto maturo ma ancora croccante, fragola e fragolina, lampone, un tocco di anguria, il tutto condito da acidità viva e rinfrescante, che disponeva al riassaggio. Il naso era da perdercisi dentro e la bocca era la degna prosecuzione di un vino che, nel suo complesso, non aveva cedimenti o tentennamenti. Io e Bruno ci accorgemmo che, per colpa dell’esame cui ci sentivamo sottoposti, ci stavamo perdendo il godimento puro di una splendida bottiglia.

Tra Cailleret e Champans abbiamo il 50% delle possibilità di indovinare, ce la possiamo fare, diciamo Champans, e diciamo 10/15 anni di invecchiamento, una annata fresca ma di buon livello. Ovviamente provo anche a descrivere le sensazioni che quel vino ci aveva dato.
Jean-Pierre ha la faccia di quello che pensa che forse non sta perdendo completamente il suo tempo. Si trattava di un Volnay Champans del 1982, annata fredda si ma abbastanza debole e delicata. In fondo avevamo sbagliato solo l’annata di una decina di anni.

Jean Pierre ci disse di seguirlo in un’altra stanzetta della cantina. Nelle pareti erano ricavate numerose nicchie, in cui si trovavano ammucchiate dove 10, dove 20, dove pochissime bottiglie, tutte ricoperte da strati più o meno compatti di una lanugine grigio scura. Si sono succedute non ricordo quante altre bottiglie, Pommard Rugiens, Pezerolles, Epenots, un Volnay Fremiets, indietro nel tempo fino al 1978. Tutte queste bottiglie hanno il loro posto nella mia memoria.

Mi avvicinai ad una nicchia che conserva pochissime bottiglie e Jean Pierre notò il mio interesse. “Quelle non si toccano”, disse Jean-Pierre, “si tratta delle ultime bottiglie di Volnay Champans 1935, anno di nascita di mia suocera. Ne apriamo una sola all’anno, al suo compleanno, ed è molto preoccupata perché stanno finendo”. Jean-Pierre sorride sornione, mi viene di pensare che se fosse stato italiano, Jean-Pierre sarebbe nato a Napoli o a Roma.
Sono passati diversi anni. Ogni anno preparo il carnet delle visite ai produttori borgognoni, alcuni già noti, altri nuovi, ma quella al Domaine Voillot non me la tocca nessuno. Ogni volta si assaggiano le ultime due annate, poi si da inizio alla discesa nel tempo: giù, giù, sempre più giù, fino a che non diciamo basta per paura che non la smetta più. Jean-Pierre è felice di aprire con noi queste perle preziose, alcune in forma perfetta, altre segnate dalle rughe oltraggiose del tempo che è passato, ma tutte immancabilmente con qualcosa da raccontare. Mi sento come quando, da piccolo, stavo in braccio a mio nonno, ormai cieco, che trovava sempre qualche storia da raccontare e io non avrei mai smesso di ascoltarlo.
A dirla tutta, però, non so se in questi frangenti sia più felice io o Jean-Pierre.

Giancarlo Marino

Foto di Giampiero Pulcini
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posted by Mauro Erro @ 07:44,

1 Comments:

At 5 ottobre 2010 alle ore 10:21, Anonymous Armando said...

Hai un dono, amico mio: c'è una magia sottile, un incanto infantile, in certi tuoi racconti; il loro brillio scompare leggendoli la seconda volta. Dato che lo so, scrivo queste righe e ti ringrazio dopo la prima, e sola, lettura.

 

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