Borgogna, terra e passione

Sfatare un mito…

Si è soliti sentir dire che la Borgogna rappresenta un punto d’arrivo: l’ultima terra per un appassionato bevitore a cui far visita, e il Pinot Nero la summa delle difficoltà di comprensione e d’analisi per un degustatore. Complice il prezzo d’acquisto elevato anche di un semplice Village e la difficoltà di reperibilità di talune bottiglie – basti citare l’esempio del Grand Cru Chambertin prodotto da Dugat-Py in poco più di 250 bottiglie l’anno – il Pinot Nero di Borgogna è stato considerato, da sempre, l’apice massimo del gotha del vino mondiale.
Eppure, c’è da sfatare qualche luogo comune e l’immagine che della Borgogna un giovane appassionato o un qualsiasi consumatore si potrebbe fare.
Innanzitutto è giusto sottolineare che solo il 2% della produzione totale è rappresentato, nella classificazione piramidale risalente al 1936, dai Grands Crus. I Premiers Crus sono solo il 15%. Il resto della produzione è ripartito poi tra le denominazioni comunali Village (il 30%) e le più generiche denominazioni regionali Bourgogne (il 53%). In sostanza, per una grande, immaginifica, meravigliosa bottiglia di Pinot Nero di Borgogna esiste un mare di vino cattivo e allo stesso tempo, sapendo cercare, esiste una grande quantità di buon vino da denominazioni “minori” dal prezzo molto più contenuto.
Un altro aspetto che va precisato, poi, riguarda il tipo di immagine che si da dei vini di questa zona o per meglio dire, la percezione che se ne ha. L’esperienza insegna che non vi è vino che abbia, come i rossi di questa zona, tale facilità di beva e tale necessità di bersi. I Borgogna si bevono, non si degustano; e la femminilità suadente di alcuni dei migliori campioni come il maschio incedere di tal’altri è di immediata e schietta manifestazione e richiede senz’alcun dubbio l’incontro elettivo con il cibo.
Un buon Borgogna non è un vino cerebrale: tra i grandi rossi del pianeta questi sono indiscutibilmente i più facili da bere grazie alla loro pimpante acidità. E che sia la loro pimpante acidità (così come il loro prezzo, come già detto) il motivo per cui ad un Borgogna ci si debba “arrivare”, si spiega nel primordiale bisogno di ciascuno della rasserenante morbidezza. Ad un Borgogna ci si arriva quando dal bisogno neonatale di morbidezza si passa a quello adulto delle durezze e delle spigolosità.

La Natura e la storia

Altri elementi di fondamentale importanza per delineare, seppur in questa sede in maniera sfocata, i tratti principali della Borgogna sono rappresentati dalla natura e dalla sua storia.
Geologicamente la Borgogna si è formata circa 60 milioni di anni fa. Una grande faglia corre da Digione a Lione, tagliando in due la zona. Altre faglie, di minori dimensioni, tagliano trasversalmente la faglia principale. La Cote de Nuits ha natura anticlinale (la piega degli strati rocciosi è convessa verso l’alto) del periodo Giurassico medio (161-167 milioni di anni fa), mentre la Cote de Beaune ha natura sinclinale (la piega degli strati rocciosi è convessa verso il basso) risalente al periodo del Giurassico superiore (145-161 milioni di anni fa). Tutto ciò contribuisce alla diversificazione del sottosuolo e fornisce una prima spiegazione della originalità dei diversi “climats”
Dobbiamo ai monaci benedettini la prima delimitazione dei “climat”, la classificazione delle differenti parcelle e l’identificazione e la denominazione di ciascun climat e di ciascuna parcella così come ai monaci cistercensi la definizione dei principi fondamentali della viticutura, della vinificazione e dell’invecchiamento dei vini.
L’estrema parcellizzazione dell’attuale vigneto Borgogna, quindi, è innanzitutto il frutto dell’osservazione delle sostanziali differenze del terroir, ma anche dei successivi avvenimenti storici: dei terreni confiscati durante la Rivoluzione Francese alle casate nobiliari e del loro frazionamento, suddivisione e ridistribuzione accelerata con il codice napoleonico del 1790 in base al quale tutti i figli senza distinzione di età o sesso, avevano diritto ad una quota ereditaria.
Accademico è l’esempio del celebre Clos De Vougeot: un vigneto di 50 ettari piantato nel XII secolo dai monaci cistercensi, che è arrivato ad avere fino a ottanta proprietari, scesi oggi a sessanta.
La conseguente riflessione, dunque, ci porterebbe a contrapporre, a titolo esemplificativo, da una lato le grandi proprietà dei Chateaux Bordolesi, dall’altro i vigneron borgognoni tanto attaccati ai loro fazzoletti di terra (dei 7,5 ettari del 1er cru Les Fremiets di Volnay, il Domaine Voillot di cui andremo a raccontare la degustazione, possiede solo 60 are) da esserne tanto e più gelosi che della propria consorte.

Volnay, il 1er cru Les Fremiets e il Domaine Voillot

La Cote De Beaune di cui fa parte Volnay, come già scritto, ha natura sinclinale ed è caratterizzata da un substrato calcareo del periodo Giurassico superiore (generalmente dei periodi Kimmeridiano e Oxfordiano, 151/161 milioni di anni fa). Tuttavia, il calcare del Giurassico medio (Calloviano, Bathoniano e Bajociano, 161/171 milioni di anni fa) riappare in alcune zone tra i comuni di Mersault e Volnay, seppure più ricco di marne rispetto alla Cote de Nuits (la marna è anch’essa una roccia sedimentaria, ma con una percentuale maggiore del 50% di argilla rispetto al calcare puro). Il comune di Volnay è divisibile, sostanzialmente, in tre parti: la parte superiore collocata in alto sulla collina ove il suolo è leggero e gessoso, particolarmente drenante, e dove a poca profondità si trova calcare bianco del giurassico superiore; la parte mediana ove il suolo è più pietroso e rosso, dall'ottimo drenaggio, e dotato a poca profondità di calcare del giurassico medio; e la parte inferiore dove il suolo è profondo e granuloso, poco drenante e si producono solo vini a denominazione village.
Il territorio di Volnay ha una conformazione che le permette di essere protetta dai venti freddi del nord-ovest, determinando un microclima favorevole e conseguentemente una maturazione precoce dell’uva rispetto ad altre zone della Cote de Beaune.
Il 1er cru Fremiets, situato a nord del comune e al confine con Pommard ha un’estensione di circa 7,5 ettari, caratterizzati da un substrato argillo-calcareo frutto di sedimentazione marina, ciottoloso in superficie e con una pendenza lieve.
Il Domaine Voillot è uno dei più antichi del comune di Volnay, uno dei primi ad imbottigliare il vino a cavallo delle due guerre. Fino al 1994 è stato diretto da Joseph Voillot, oggi è condotto dal genero Jean Pierre Charlot. L’azienda coltiva circa 10 ettari nei comuni di Volnay, Pommard, Mersault e Beaune.
Nel caso del Les Fremiets la proprietà del Domaine è di circa 60 are con vigne di età media di 45/50 anni; media, parte dovuta ai rempianti relativamente recenti, parte a vecchie vigne che arrivano fino ad 80 anni. In vigna si effettuano potature corte e controllo dei germogli per il contenimento naturale delle rese. In cantina si effettua diraspatura totale, la fermentazione è ad opera di lieviti indigeni, si effettua la macerazione prefermentativa a freddo per 3-4 giorni, fermentazione di 12-14 giorni, affinamento di 16-18 mesi nelle classiche pieces borgogone da 228 litri, nuove per il 25% massimo, imbottigliamento per gravità senza filtrazione nel tentativo di donare maggiore rotondità ai vini.

La degustazione

1er cru Les Fremiets, Volnay, Domaine Joseph Voillot 2005: Tutto perfetto, dalla primavera fino alla vendemmia tempo ideale. Le vigne sono state in grado di contenere naturalmente le rese. Uve perfettamente sane, succose.
Questa annata è stata considerata tra le tre più grandi mai prodotte, da sempre, in Borgogna. È giusto, allo sesso tempo, affermare però che è un’annata per gli amanti del Pinot nero e delle sue caratteristiche varietali più che per gli amanti del terroir borgognone visto l’andamento climatico. È stata in ogni caso un’annata calda che ha richiesto un “Ban de Vendage” (il decreto legislativo che autorizza l’inizio della raccolta) anteriore al 10 settembre. Il vino si presenta carico nella sua veste che tende al violetto, caratterizzato come ogni vino della zona da affascinanti trasparenze. Il primo naso sbuffa immediatamente sulla classica nota di merde de poule, che si affievolisce con una leggera ossigenazione lasciando spazio a note di piccoli frutti rossi, un interessante rimando selvatico, una nota di carrubo, evidenti sentori vanigliati e un timbro balsamico. Al palato l’ingresso è denso e succoso, lungo nella persistenza e ben dotato nella componente acida. Molto giovane, ma dalle bellissime speranze.

1999: Inverno e primavera tiepidi. Estate calda. Fioritura anticipata e assenza di millerandage.E’ stato necessario intervenire con una diradazione dei grappoli per contenere le rese molto abbondanti. Alla vendemmia, 20 settembre, le uve erano abbondanti e perfettamente sane.
Si presenta alla vista dotato di un colore già più vicino al rubino. Il naso è entusiasmante per la nota minerale di natura ematica che evidenzia allo stesso tempo i sentori selvatici animali. Cangevole nel tempo, afferro un’interessante e dolce nota di cappuccino. Il palato è grasso, succoso, il sorso lungo, dominato da un tannino di pregevole fattura ma ancor giovane e da un’acidità tagliente. Lo preferisco al precedente, ancora molto giovane, avrà il tempo per dispiegarsi al naso come al palato in infiniti orizzonti.

1991: Aprile freddo, con pioggia e grandine. Maggio asciutto e tiepido.
La fioritura è stata leggermente ritardata (primi di giugno) e ha prodotto millerandage (quindi grappoli piccoli e spargoli). Dopo un lungo periodo di siccità, l’ultima settimana di agosto si verificano alcune grandinate e, successivamente, un periodo di leggera pioggia ha consentito di raggiungere una buona maturità. Vendemmie dal 28 settembre. Rendimenti e grado alcolico più contenuti rispetto al 1990. Annata che ha richiesto la giusta “interpretazione” in cantina (annata da vigneron), la scelta giusta è stata quella di limitare l’estrazione (meno pigiature e follature del solito).
Sembra quello che la platea elegge come migliore della serata. Sfortunatamente a me capita una bottiglia offuscata dal sentore di tappo. In un veloce “prestito” di altrui bicchiere ne percepisco l’eleganza, la misura e l’equilibrio tra le parti, il naso sussurra le sfumature floreali di violetta, il timbro minerale che assume il tono della grafite. Al palato rispetto agli altri campioni è quello che segue coerentemente ciò che il naso svela. Lungo e persistente.

1990: Inverno e primavera molto miti. Durante la fioritura nel mese di giugno, la temperatura fresca ha favorito il millerandage. Il forte caldo e la siccità di luglio e agosto hanno fortemente rallentato la maturazione delle uve. A fine agosto la leggera pioggia ha favorito la completa maturazione. Successivamente il bel tempo (ed in particolare ben 200 ore di luce nell’ultimo mese prima della vendemmia) dura fino alle vendemmie, iniziate il 21 settembre.
L’annata calda rispetto al campione precedente si rivela nel colore leggermente più cupo e denso nel suo tono rubino. È quello che paga maggiormente la tenuta nel tempo, morendo un paio d’ore dopo essere stato versato. L’inizio è però entusiasmante, svelando profumi di tè, di frutta in confettura se non quasi passita, di rimandi affumicati: fumo e cenere. Il palato svela in misura maggiore un elemento che ritroveremo costantemente anche nelle altre annate: tanta sapidità (in questo caso acuita da una nota minerale rocciosa). L’entrata è morbida, buona l’acidità. Leggermente scomposto l’alcol che ritorna dopo la deglutizione.

1983: L’annata è stata caratterizzata da primavera e inizio estate molto secche.
In estate, invece, molta pioggia e grandine. In particolare, le abbondanti piogge di agosto hanno prodotto marciume e botrite.
A settembre torna il bel tempo e, come spesso in Borgogna, "salva" l’annata.
Vendemmie dal 22 settembre, fondamentali una selezione drastica delle uve e una vinificazione corta e “leggera” (poche pigiature e rimontaggi).
Alcuni lo hanno molto gradito. Questione di gusto. Personalmente non mi ha entusiasmato, soprattutto per il naso monocorde e monolite, rimasto invariato nel tempo e per il palato poco stratificato. Il colore tendente al granato rivela tutta la sua età. Il naso è dominato da un sentore di sherry, da note di erbe officinali, brodo, toni terrosi di funghi, polvere di cafè, bucce d’arancia e la nota di radice, che in questo calice si fa più evidente che in altri. Il palato poco stratificato, come già detto, mostra comunque una componente acida non trascurabile.

1971: L’annata è stata caratterizzata da una fioritura tardiva e da millerandage (aborto floreale che da origine a grappoli spargoli). Grandine in agosto, settembre molto caldo.
Vendemmie dal 22 settembre.
Standing ovation. Lo avevo già sniffato ed assaggiato in fase di preparazione, rimanendo affascinato dal tono, sì decadente, ma meraviglioso. Quando mi viene servito, di decadente non ha niente. Emozionante l’aranciato diluito che ne contraddistingue il timbro cromatico. Il naso è entusiasmante e rivela sentori di pelle conciata, fiori essiccati, spezie fini, anice stellato e finocchietto selvatico, una sottile nota minerale metallica e sussurrati rimandi fumosi. Al palato è snello, verticale, lungo, non particolarmente ampio (non mi meraviglia vista l’età), ma di grande nerbo: implora il cibo ardentemente. Lacrime di gioia.


Foto 1: Jean Pierre Charlot, cartina di Volnay, terre rosse a Chambolle Musigny (autore Giampiero Pulcini)
Foto 2: In alto Fabio Cimmino e Giancarlo Marino, in basso F.C., G.M. E Franco De Luca
Foto 3: Il Gruppo servizi dell’Ais Napoli

Nota: La degustazione è stata effettuata lo scorso Venerdì 27 Febbraio presso il Romeo Hotel di Napoli, rappresentando il primo appuntamento del progetto Cantina dei Sogni. Voglio ringraziare il Maestro Giancarlo Marino per aver accettato il mio invito, per la sua disponibilità e gentilezza, per il grande spessore umano, per il materiale e le informazioni fornitemi. Altresì voglio ringraziare Jean Pierre Charlot di Domaine Voillot per la sua indispensabile disponibilità, senza la quale questa degustazione non sarebbe avvenuta.

P.S. E' possibile ingrandire le immagini (soprattutto la cartina) cliccandovi sopra.

posted by Mauro Erro @ 09:15,

1 Comments:

At 4 marzo 2009 alle ore 11:16, Blogger Lucio said...

Grande serata in compagnia di un grande Giancarlo Marino e di un ancor più grande Voillot. Giancarlo ci ha donato la sua splendida visione della Borgogna e dell'approccio al vino, più in generale. Per quanto riguarda i vini degustati, tutti, per un motivo o per un altro, avevano molto da dire ma le maggiori emozioni me le hanno donate il 1991, con la sua adulta, consapevole grandezza e il 1971 con quella sua aria benevola ma al tempo stesso austera di un anziano degno di rispetto. Grazie ancora per la serata, spero di non mancare alle prossime, che sicuramente saranno di pari livello.
Joe Metafora (Lucio, per gli amici)

 

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