Riflessioni sotto l'ombrellone: da Montalcino a Cirò, il paese degli italioti

Sarà che talvolta ricordo di avere i miei giovani 32 anni – già, un tempo a quell’età si era sposati, con un pargoletto ed un mutuo, oggi si è gggiovani o bamboccioni nella peggiore delle declinazioni – e la vena individualistica comune alla mia generazione mi pulsa alle parole associazioni, società o gruppi. Non vi dico quando sento pronunciare o leggo il termine Consorzi la mia pressione arteriosa a quale livello possa innalzarsi.
Si, Consorzi.
Complice il rilassamento agostano e le letture sprofondo nella malinconia dei ricordi.
Montalcino, Brunellopoli, L’Espresso. Ci si mette Soldera, il produttore di Montalcino, che rilascia un’intervista a Gian Luca Mazzella per il Fatto Quotidiano. Come non fosse bastata l’elezione di Ezio Rivella, fondatore e amministratore per 22 anni della Castello Banfi, tra le aziende indagate in riferimento allo scandalo Brunellopoli, a Presidente del Consorzio di Montalcino, il provocatore Gianfranco afferma che la critica in Italia è quasi del tutto inesistente.
Già Carlo Macchi, in un raro lampo di vero giornalismo nel nostro orizzonte, ci si era messo con una lunga intervista al Cavaliere, mostrando il machismo abbondante dei nostri tempi: l’assoluta mancanza di pudore, qualità appartenente sovente al gentil sesso e a cui noi maschietti dovremmo aspirare.
Il tutto rimbalza sulle pagine di Intravino.
Ripesco un mio vecchio pezzo, ottobre 2008, all’epoca dello scandalo. Pareva di vivere momenti decisivi, di svolta, erano i tempi dell’appello di Sangiorgi e Marco Arturi sull’identità del vino Italiano.
E come è andata a finire a due anni e più dallo scandalo, mi chiedo.

Nulla, larga parte degli operatori conosce poche informazioni, spesso frammentarie e contrastanti. I consumatori neanche a parlarne. Vino sequestrato in teoria e venduto in alcuni supermercati nella pratica, vino non più sequestrato, vigne dove non ci devono essere, uve dove non dovrebbero essere, nessun rinviato a giudizio, nessuna prova, si sa, ma non si dice o non si sa o si sa male.
Produttori sfuggenti.
Nel frattempo in cui la stampa specializzata italiana in un gioco di raro equilibrismo, tenendo conto dei numerosi interessi in gioco e certo non aiutata dalla sua debolezza economica – nessuno se ne abbia a male, è una semplice questione di numeri: copie e lettori; non rimane che aggrapparci alle speranzose parole per adesso – ponderava soluzioni, proponeva aggiustamenti cercando di non scontentare nessuno: brunello superiore, brunello da sole uve sangiovese, controetichetta, collare o almanacco delle vigne di Montalcino in allegato alle bottiglie, i produttori di Montalcino – memori della congiura dei Pazzi – si mettevano d’accordo.
Sottotraccia.
L’unico che tentava di tenerci aggiornati era Franco Ziliani, ma le sue missive, purtroppo, apparivano mano a mano che il tempo passava litanie che accompagnavano il morto.
Il massimo che abbiamo saputo fare dalla copertina Velenitaly dell’Espresso e lo scandalo Brunellopoli è la formulazione di un paradosso di Epimenide: l’Oscar del Vino premio speciale – trasmesso sulla tv di stato – alla Castello Banfi.
Ed alla fine Ezio Rivella diventa presidente del consorzio e ci dice che l’80% dei vini di Montalcino non era (non è?) fatta da sole uve sangiovese come vuole il disciplinare.
Ecco, penso, ciò che ha saputo fare una giovane critica inconsapevolmente complice che aderisce all’assioma dell’ultimo libro del mio concittadino regista Paolo Sorrentino: hanno tutti ragione.
No, non hanno tutti ragione.
E Rivella non c’entra quasi nulla, adesso. Basterebbe pensare alle parole scritte da Jeremy Parzen per capire che Rivella è sempre stato più americano che italiano. Sornione, spavaldo, con il petto in fuori tossisce le sue convinzioni con sorriso beffardo, sbeffeggiando, talvolta paternamente, colleghi e giornalisti. Gli basterebbe un cappello da cowboy e gli stivali a punta per somigliare ad un George W. Bush qualsiasi.
Fa quasi sorridere suscitando impensabili simpatie nella sua schiettezza Rivella l’ammerricano.
Quello che c’è da chiedersi è dove sono i produttori che sdegnati gridavano al sangiovese in purezza tout court. I duri e puri.
Quelli che, nella lingua italiana, si definiscono anch’essi complici di questo stato di cose.
Silenzio assoluto, ovviamente.

Da qui a Cirò, il passo è breve visto che lì si “discute” del cambio di disciplinare in questi tempi ed io vorrei sapere come andrà a finire, che so, da qui ad un paio d’anni. Ah certo, parliamo di una zona ai più sconosciuta, economicamente depressa anche se la coltivazione della vite è forma di sostentamento di numerose famiglie e manca loro, ovviamente, l’appeal di una zona come Montalcino. Ma c’è un aspetto sottovalutato di cui bisogna interessarsi lasciando ad altri i titoli ad effetto, i finti scoop e gli aspetti giudiziali a chi deve occuparsene: la dispersione di sapere, di cultura, la rinuncia alla preservazione ed allo sfruttamento di un patrimonio inestimabile fatto di vitigni ancora sconosciuti o vecchie piante di gaglioppo a favore di merlot, cabernet sauvignon, inzolia o sylvaner (sì, non avete letto male, sylvaner) e chardonnay inseguendo non si sa quale vecchia moda.
Quindi niente gaglioppo in purezza, che in alcune vette espressive fa mirabilie – d’altronde basterebbe ricordarsi le quintalate d’uva che negli anni ’60 (o le cisterne di vino poi) partivano per il nord destinate a rinomate zone –, per aggiungervi un 20% di vitigni altri. Ultimi rumors vedrebbero gli incriminati merlot e cabernet sauvignon relegati ad un solo 10%, mentre godono di maggiore considerazione montepulciano, barbera ed altri sino al 20.
Perché?
E soprattutto chi vuole questo cambiamento?
Le grandi aziende?
Non si capisce. Si rincorrono voci, sussurri, talvolta contrastanti: “gli Ippolito sarebbero divisi”, “i Senatore a favore”.
E Iuzzolini? I Malena? La San Francesco dei Montresor? Librandi che fa? Ah, già, Librandi è fuori dal Consorzio. Librandi ha dalla sua il brand.
Sì, ma perché?
Altre voci: “dopo i vari scandali e scandaletti si cerca di mettere la copertina. Qui cabernet e merlot non è certo da oggi che ci sono nei vigneti. E in passato nei vini…”.
Pare che tra i promotori del cambio del disciplinare ci sia Gaetano Cianciaruso, presidente del consorzio nonché a capo di Enotria, la cooperativa che raggruppa tanti agricoltori associati e 150 ettari di vigna per un milione di bottiglie prodotte.
Pare.
Frasi sospese.
O silenzio con l’unica lodevole eccezione di Francesco De Franco che dall’alto delle sue due vendemmie e delle diecimila bottiglie di vino prodotte, coinvolgendo altri piccoli produttori, tenta di destare in noi un minimo d’attenzione al problema.
Già, perché alla fine questo non è un pezzo di cronaca, perché i fatti mancano.
Come sempre.
Queste sono solo divagazioni.
Ed è questo il punto, la mancanza di trasparenza.
Eppure, non parliamo di decidere l’esito di un condannato a morte, né tantomeno discutiamo di una condanna all’ergastolo, ma del cambiamento di un disciplinare vitivinicolo di denominazione. Ognuno potrebbe esporre le proprie idee in pubblico e cercare di far valere le proprie ragioni.
So che i calabresi ci tengono in particolar modo a mostrare un aspetto della loro indole, l’accanimento a perseguire il silenzio, a nascondersi, a far sì che ci si dimentichi di loro; che la Calabria sia un buco nero su una cartina geografica, ma è in Italia che qualsiasi cosa deve essere strisciante, un complotto anche quando non ve n’è motivo.
Aumma aumma e un occhiolino a suggello dell’accordo.
Machiavellici ad oltranza.

E ricordarsi del consumatore?

P.S. Mi sarebbe piaciuto concludere queste riflessioni scrivendo in attesa di una cortese smentita. Dovrò contentarmi – eufemismo per ne sarei lietissimo – che i vari operatori citati, i produttori in particolar modo, intervenissero per chiarirci un po’ le idee.

posted by Mauro Erro @ 14:35,

16 Comments:

At 25 agosto 2010 alle ore 16:57, Blogger Do Bianchi said...

Grazie per la segnalazione... Nell'intervista postata da Carlo Macchi sul suo blog Rivella dice infatti che il personaggio del mondo del vino che l'ha impressionato di più era Robert Mondavi.

 
At 25 agosto 2010 alle ore 17:36, Blogger RoVino said...

Ma caro Mauro,
lo dici proprio all'inizio qual è il vero problema di questi ultimi venti anni (o forse più): l'individualismo, il narcisismo, il bisogno di apparire a tutti i costi sempre e ovunque, a prescindere dal fatto se si abbia qualcosa da dire. E il denaro, mai come oggi è l'unico valore che interessa.
I giornalisti? Non serve che Ziliani, o in minor misura (gioco forza per una minore disponibilità di canali informativi) noi e altri, si tenti di far luce e chiarezza, si propongano alternative o quant'altro. Quello che manca, sempre e a tutti, è la comunione di intenti. Franco De Franco è solo, Giovanni Scarfone è solo, Mauro Erro è solo, Franco Ziliani è solo, Roberto Giuliani è solo, e anche Carlo Macchi, diciamolo.
Allora? Vogliamo continuare a lamentarci senza piantarla di fare i solitari? Come mai quelli che la pensano allo stesso modo (o quasi), alla fine cercano di tirare acqua al proprio mulino invece di fare scudo comune alle nefandezze di questo mondo?
I consorzi sono come i condomini, lo specchio di quello che siamo, tutti, buoni e cattivi, ammesso che la separazione sia così netta. Così come lo sono i "nostri" ""politici"", mai classe più squallida a destra e a manca, e come hanno fatto? vogliamo domandarcelo mentre degustiamo un Brunello di Soldera?

 
At 25 agosto 2010 alle ore 18:05, Anonymous Anonimo said...

In ogni specie sono i solitari a terntare esperienze nuove. Sono una quota sperimentale che va alla deriva...

Erri De Luca

 
At 26 agosto 2010 alle ore 11:22, Anonymous Anonimo said...

Prima di tutto grazie per i complimenti che però non penso di meritare perchè ho solo messo una telecamera davanti a Rivella. Mi verrebbe da domandarmi perchè Rivella "ha voluto" dire quelle cose proprio a me..ma lasciamo perdere. In effetti siamo soli ma il peggio è che quando facciamo (o proviamo a fare) giornalismo, che vuol dire parlare ANCHE male (ma con dati alla mano)veniamo visti come i classici rompicoglioni. Questo perchè i giornalisti veri sono gli altri, quelli che danno premi, quelli che parlano sempre bene, quelli che non escono dall'universo del bicchiere (alias degustisti) quelli che non sanno quale è la linea ma comunque vi si sdraiano sopra.
Unirci? fare fronte comune? Coalizzarsi? Forse si, ma le coalizioni costano (per farle e per mantenerle) ed in più il nostro sano individualismo sarebbe un fattore da tenere molto sotto controllo. Comunque, per non rischiare di piangersi addosso e basta, proviamo a pensare ad una bella unione di Blog, siti e giornali on line, magari con rimandi etc. insomma...parliamone.

 
At 26 agosto 2010 alle ore 11:28, Anonymous Anonimo said...

non credo proprio sia possibile creare forme di aggregazione tra "solitari", come li definisce Giuliani. Cosa potremmo fare di più e di meglio di quella controinformazione che cerchiamo di fare con i nostri siti e blog?
Franco

 
At 26 agosto 2010 alle ore 11:40, Blogger Mauro Erro said...

Leggendo il commento di Roberto, poi quello di Carlo, mi ritona in mente, continuamente il titolo di un film di Marco Risi: Muro di Gomma. Questione di mentalità o che, il sistema è difficilmente attaccabile, soprattutto dal web: i nostri scritti o video ci rimbalzano dietro.

@ Carlo: tecnicamente hai ragione, però la telecamera (e le domande soprattutto) le hai piazzate tu e nessun'altro.

 
At 26 agosto 2010 alle ore 11:50, Blogger Mauro Erro said...

Lanciò una provocazione perchè questa leggera aria di disfatta non mi garba: Vista la vostra esperienza, la vostra influenza e il numero maggiore di contatti del vostri blog e siti, perchè non riprendete il discorso su Cirò: ci sono i nomi e cognomi delle aziende, le voci raccolte, che escano e dichiarino, facciano capire a noi, ma soprattutto ai lettori. Poco si è potuto a Montalcino perchè ripetere a Cirò?

 
At 26 agosto 2010 alle ore 13:22, Blogger 'A VITA said...

Al punto in cui siamo arrivati, l'unico punto su cui si può lavorare è il ricorso al Comitato vini. La sensazione che hai avuto è precisa: "muro di gomma" è quello contro cui qui a Cirò ci siamo imbattutti e per nessuna ragione il Consorzio ha mai accettato un confronto pubblico. quindi perchè mai dovrebbe confrontarsi sul web?

 
At 26 agosto 2010 alle ore 14:23, Blogger Mauro Erro said...

scusami la boutade: per non passare per fessi. So che i consigli gratis sono quelli che non vengono mai accettati e che confrontarsi è opera difficile ma c'è un quesito a cui rispondere: ne fanno una questione di mercato ed economica? Bene, quelli intervenuti in questo post non sono gli ultimi fessi, so di per certo che nei prossimi giorni Luciano Pignataro affronterà la questione, immagino che Ziliani quanto prima visto che conosce e ama la zona e visto gli ottimi rapporti con la famiglia Librandi s'interesserà del caso, spero che altri rilancino la questione: che si fa, non se ne terrà conto e non si avrà l'eleganza di rispondere alle domande? Ed è economicamente conveniente una tale arroganza e strafottenza?
io rinnovo ad altri l'invito a scendere nell'agone e riproporre le domande.

ecco per rispondere a Roberto, questo è il concetto di rete...

 
At 26 agosto 2010 alle ore 14:27, Anonymous Filippo Ronco said...

Gran bel pezzo Mauro, bravo.
La cosa che mi fa più sorridere è che tutto questo non ha alcun senso. Sia che si tratti di Calabria che di Toscana o altre regioni. Mi pare quasi pleonastico parlarne ma è ben risaputo che la nostra più vivida forza commerciale, soprattutto verso l'estero, è la peculiarità dei nostri territori e dei nostri innumerevoli autoctoni quindi davvero fatico a comprendere le reali RAGIONI, fossero pure squisitamente commerciali, di politiche tese a sovvertire il nostro bene per una distruttiva omologazione.

L'unica cosa su cui non sono d'accordo è che ci parliamo addosso. Nel mio piccolo mi sono sbattutto sul fronte Ricci/Ais in questi anni e a giudicare dalle letture le persone che leggono e si informano sono molte più di quelle del cortiletto giornaliero.
Almeno spero.

Certo, se si può fare qualcosa insieme, ben venga.


Fil.

L'unica cos

 
At 26 agosto 2010 alle ore 14:36, Blogger Mauro Erro said...

Filippo ti ringrazio dell'intevento e spero che tu voglia rilanciare la questione su tuoi spazi.
Ognuno di noi può mantenere la sua indipendenza e le sue idee ma fare rete quando occorre ed è giusto. Il web deve dimostrare di poter essere influente.

 
At 26 agosto 2010 alle ore 14:53, Anonymous Filippo Ronco said...

I "miei" spazi sono aperti Mauro. Se ti va di scrivere qualcosa, direttamente puoi falro su Vinix anche da solo, per tigulliovino se vuoi possiamo inserire un tuo pezzo ospite nella rubrica di Ugo Baldassarre e Fabio Cimmino (Vini dal centro sud).

Un caro saluto.

Fil.

 
At 27 agosto 2010 alle ore 16:07, Anonymous Anonimo said...

Il dibattito sul cirò è più articolato di come appare, proporrei una serie di domande da sottoporre ad ogni produttore così si riuscià a capire il vero pensiero di ognuno e fare una riflessione sull'integralismo viticolo che non porta da nessuna parte.

 
At 28 agosto 2010 alle ore 13:46, Blogger Mauro Erro said...

Bene ponga le sue domande e vediamo se i produttori rispondono. Io le mie le ho poste.
Perchè?

 
At 28 agosto 2010 alle ore 20:05, Anonymous Alessandro Marra said...

Perdonate l'intrusione.
Detto che Cirò non è Montalcino (dico in termini di risonanza), mi chiedo: ma una lista come quella proposta da Franco Ziliani al tempo di Brunellopoli non credete possa rappresentare una qualche forma di tutela per il consumatore? Così che si possa sapere quali produttori continueranno a produrre Cirò con sole uve gaglioppo (con l'eventuale aggiunta di altre varietà autoctone nei limiti del disciplinare)?
A quanto pare problemi simili ci sarebbero anche a Nizza per la Barbera...

 
At 6 settembre 2010 alle ore 10:55, Blogger RoVino said...

Caro Mauro,
mi spiace reintervenire solo ora, ma è un periodo un po' incasinato il mio, e non per motivi legati al vino.
Leggendo i commenti, compreso il tuo, mi permetto di dire che la cosiddetta "influenza" che ognuno di noi può avere è profondamente diversa, soprattutto per quanto mi riguarda, visto che questo non è mai stato il mio lavoro ma una passione, mentre c'è chi vive di questo e si occupa di giornalismo a tutto tondo.
Quando io ho sottolineato il fatto che, a mio avviso, non dovremmo essere sparpagliati ma fare fronte comune su problemi che ci stanno a cuore, lo riaffermo con decisione.
Un conto è che Carlo Macchi, Franco Ziliani o Luciano Pignataro parlano in prima persona esponendosi ma apparendo comunque singoli soggetti che tentano di mettere a nudo le contraddizioni del sistema vino e delle persone che lo rappresentano, un conto è che un gruppo di giornalisti fanno corpo unico e si sostengono a vicenda, anche nel caso molto probabile di possibili cause o ritorsioni.
Credo che oggi più che mai questo sia necessario, altrimenti rimarranno sempre voci isolate e attaccabili singolarmente, come del resto è sempre stato.
Ma anche qui è una questione di persone, se c'è un senso collettivo è un conto, se si sente invece di voler affrontare le questioni per proprio conto è un altro.
la questione Cirò non va presa isolata dal contesto, quello che succede per il Cirò sta accadendo da anni per il 70% delle denominazioni italiane. Il che la dice lunga su quale sia la portata del problema, che andrebbe affrontato alla radice con decisione, peccato che i primi a non farlo siano proprio i produttori (non tutti ovviamente).

 

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