Di un brunello di Soldera del 2001, della questione Montalcino e dell’identità del vino italiano

La questione su cui si dibatte e che riguarda il Brunello di Montalcino è più di un fatto di cronaca, della mascalzonata di pochi “furbi”, e ridurlo in questi termini sarebbe tanto stupido quanto aggiungere merlot e cabernet nel vino italiano più rappresentativo all’estero o come mettere il simbolo della Ferrari sulle automobili della Fiat per renderle più appetibili. Il presunto Brunello taroccato è un punto di rottura, un momento cruciale per il vino italiano; il passaggio da una fase all’altra come hanno ben capito Sandro Sangiorgi e Marco Arturi pensando al loro appello in difesa dell’identità del vino italiano. Se pensiamo a come oggi temi quale il biologico e il biodinamico siano non solo di attualità, ma spesso alla ribalta ci rendiamo conto di come, anche abbastanza velocemente, forse troppo, le cose stanno cambiando rispetto agli argomenti, i vini e le discussioni di soli 5 anni fa.
Anzi, a voler essere precisi, il presunto scandalo Brunello può considerarsi un effetto, coincidente e non consequenziale di una crisi economica generale che ha palesato, in maniera evidente, una crisi innanzitutto culturale nel microcosmo “vino” incapace di fronteggiarla. La realtà italiana del vino è giovane, nata in gran parte negli ultimi vent’anni dopo lo scandalo metanolo e cresciuta a razzo in maniera esponenziale. Cresciuta quanto e diretta dove, tocca deciderlo adesso. La prima domanda nasce spontanea se consideriamo un dato fondamentale: il 90% degli italiani, se non ricordo male, spende meno di 5 euro per l’acquisto di una bottiglia di vino. Quando l’acquista.
Questo è un elemento fondamentale di cui tener conto ai fini del discorso. Già, perché se da un lato determinati vini, i famosi supertuscans o i concentrati marmellatosi, rimangono immobili sugli scaffali delle enoteche e delle cantine dei ristoranti come ha ben osservato Luciano Pignataro in questo suo scritto in merito al confronto tra Ziliani e Rivella, da cui si evince non tanto gli effetti della crisi economica a mio parere, ma l’accresciuta consapevolezza degli appassionati, di quel pubblico colto disposto a spendere certe cifre per un prodotto, come sempre dovrebbe essere, unico e irripetibile piuttosto che la bevanda creata ad arte in cantina dall’enologo di grido (un cambiamento tale che porta Cernilli, neo direttore del Gambero Rosso, nel suo ultimo editoriale, a farci sapere che ora beve quasi solo vini bianchi, generalmente italiani, senza legno e da vitigni autoctoni, dopo che per anni la sua guida ha premiato i famosi invenduti) dall’altra non bisogna dimenticare che il mondo del vino italiano, dalle denominazioni di origine ai prezzi che sono lievitati in maniera vertiginosa e senza una giustificazione valida, senza che i produttori abbiano avuto la capacità, come i francesi, di ancorarlo al livello qualitativo dell’annata, pone l’inevitabile esigenza di dover cambiare per poter competere sul mercato.
In questi ultimi tempi i discorsi si sono sicuramente inaspriti sviluppandosi anche su una contrapposizione più giornalistica che reale: alla ricerca del titolo ad effetto o della polemica che porta lettori, (allo stesso modo in cui gli ilcinesi dal Brunello taroccato creavano lo slogan) si è arrivati a generalizzazioni sbagliate dimenticando il laicismo che si richiede a chi in questo settore opera, arrivando a posizioni estreme, quasi ideologizzate. Lieviti indigeni e lieviti selezionati, vino industriale e vino contadino, botte di Slavonia e barrique francesi e via così. Ma perché, i contadini esistono ancora? Oppure voi immaginate Gianfranco Soldera con una camicia a fiori e atteggiamento naif zampettare per le sue vigne parlando agli uccelli? Bisognerebbe studiare e fare attenzione quando si fanno certe affermazioni, bisognerebbe sapere che Gianfranco Soldera, ad esempio, è da più di dieci anni che porta avanti uno studio in collaborazione con l’Università di Firenze sui lieviti indigeni presenti in azienda, studi che dimostrano che il loro utilizzo rispetto all’inoculo di un qualsiasi lievito selezionato porta ad un miglioramento organolettico del vino in termini di complessità di aromi e profumi. Dunque?
Che l’aria stia cambiando è palese. Basterebbe solo farsi un giro per internet e notare quanti scritti quest’anno elogiano le guide (quella de L’espresso in particolar modo) rispetto ai massici e talvolta cattivi attacchi degli anni passati. Internet e la comunicazione on-line hanno avuto un ruolo fondamentale in questo avvio (si spera) di cambiamento. Ma non commettiamo l’errore di sopravalutare la comunicazione on-line, per favore.
Se da un lato le guide hanno perso appeal, il loro ruolo di influenzare il mercato, di determinarlo ed oggi, invece, si accontentano di stargli dietro, allo stesso modo, la comunicazione “internettiana” non ha ancora nei suoi fruitori la massa. E questo è il famoso punto cruciale.
Possiamo tranquillamente affermare che la comunicazione eno-gastronomica specializzata deve cambiare passo. A seconda dei punti di vista, si può affermare o che ha fallito nella incapacità di andare oltre le riviste patinate, il lustrini e le paillettes dei premi e delle cene di gala non riuscendo a rivolgersi alla massa, a quel famoso 90% degli italiani che spende meno di 5 euro per una bottiglia di vino, o che si è trattato di un primo step, a cui deve seguire il passaggio dal determinare una moda all’infondere una cultura. Quindi, forse, bisognerebbe ripensarla, perché una guida deve guidare e non inseguire, altrimenti a che serve?
Allo stesso tempo bisogna osservare che il mondo della blogosfera è frequentato dai suoi stessi attori. Certo ha avuto il merito d’innescare un dialogo virtuoso ampliando il numero di voci: non solo i giornalisti di settore, ma gli operatori tutti, dai ristoratori ai sommelier, agli enotecari, creando un confronto che molto ha contribuito al cambiamento in atto; ma la massa, oggi, è ancora lontana dallo strumento.
Certo, se mai la questione del Brunello, riferendomi all’aspetto giudiziale della questione, avrà mai una fine, se si dimostrasse con certezza assoluta che alcuni Brunello erano taroccati, alcuni giornalisti farebbero bene a motivare per chiarezza ai propri lettori come si è potuto premiarli sempre e comunque negli anni passati.
Altri soggetti cruciali della questione sono proprio gli operatori di questo settore, i sommeliers in primis. A loro il compito principale di diffondere la cultura del buon bere, ma per far questo bisognerebbe un attimo lasciare i tecnicismi e il gergo, togliersi dall’impaccio di disquisire di ceramiche e cristalli fini, perché così facendo non si fa altro che continuare sulla china che porta gli Albanese e i Salemme a prenderli in giro, rischiando di divenire ai più, zimbelli da prendere in giro, e nel peggiore dei casi di fare la fine degli stessi vini che loro stessi hanno piazzato sugli scaffali, limitandosi a sfogliare le guide piuttosto che adoperarsi in una ricerca sul territorio: di diventare, insomma, snobbati ed inutili o tutt’al più buoni per mescere vinelli a bevitori attempati ai banchetti matrimoniali.

In conclusione, con lo stesso laicismo che invoco, non posso certo esimermi dal farmi una domanda dopo aver bevuto il brunello di Gianfranco Soldera, quel liquido rosso rubino dalle accattivanti trasparenze che si mostrava così dinamico da invogliarmi ogni dieci minuti a piazzarci il naso per vedere cosa di diverso aveva da mostrarmi: dalle sfumature floreali alle erbe officinali, dal frutto di ciliegia appena accennato alla sensazioni di goudron, ai rimandi di spezie e alla mineralità diffusa. E che al palato colpiva, come i grandi vini sanno fare, per la contrapposizione della complessità e della stratificazione degli aromi nella loro semplicità, nella facilità di quel vino di farsi bere, della facilità che porta a svuotare il bicchiere accompagnandolo al pasto. Beh, dicevo, dopo aver bevuto un vino del genere non ci si può non fare una domanda: delle due l’una, o i propositori del Brunello taroccato sono in malafede o di vino hanno capito ben poco.

D’altronde, la crisi che in questo momento storico si è abbattuta sull’occidente dimostra per l’ennesima volta una cosa: il mercato senza principi etici d’ispirazione, porta alla rovina.
E se da un lato esistono i “furbi” così come li ho chiamati all’inizio, dall’altro esistono dei consumatori truffati.

Scorpion, wind of change.


Nota: qui, sul blog dell'ais Napoli, a firma di Raffaele Del Franco trovate lo scritto che racconta la serata di degustazione dove oltre quello di Soldera figuravano i Brunello di Mastrojanni, Sesti e Tenuta il Poggione. Qui, invece, trovate le foto e le altre opinioni dei presenti.

posted by Mauro Erro @ 13:27,

7 Comments:

At 17 ottobre 2008 alle ore 17:17, Anonymous Anonimo said...

Mauro, i miei più sinceri complimenti. Hai scritto più o meno tutto quello che c'era da scrivere circa il mercato del vino, quello dei "furbetti" e quello dei truffati. L'hai scritto con idee chiare, cercando non tanto di dirimere, quanto di suscitare un dibattito circa il rischio delle mode e l'urgenza di una vera cultura del bere (ma io direi non solo del bere, quanto del "consumo" tout court, in ogni campo). Su una cosa aggiungere che non si tratta solo di pretendere un mercato "etico", quanto di capire che la speculazione è un germe che nasce al suo seno. Perciò il punto è non solo: "siate retti, siate onesti", detto a chi il mercato (e anche la finanza) lo conduce. Non basta più. Il punto è: "fateci partecipare, fateci capire il perché, fateci SCRIVERNE le regole, fatecelo cambiare!"

A proposito poi di Soldera. Lo sai quale mestiere faceva prima di cimentarsi col vino :)

voc

 
At 17 ottobre 2008 alle ore 17:21, Anonymous Anonimo said...

a proposito, leggi questa simpatica intervista che ho trovato qui, nell'angolo che cura Gianni Morgan Usai:

http://www.newsfood.com/?location=Alimentare&item=49250

 
At 17 ottobre 2008 alle ore 18:29, Blogger Mauro Erro said...

Grazie. Molto interessante l'intervista di Usai. Sul discorso di scrivere le regole, permettimi un'osservazione: è complicato. Nella vita bisogna saper scegliere e saper delegare, sempre in trasparenza.

 
At 17 ottobre 2008 alle ore 18:46, Blogger violacea said...

@voc: ma che mestiere faceva Soldera? mi hai incurisito..
ciao ciao
adele

 
At 18 ottobre 2008 alle ore 14:33, Anonymous Anonimo said...

Avvocato se non sbaglio broker assicurativo...

 
At 18 ottobre 2008 alle ore 15:42, Blogger Francesco Annibali said...

Ma che te pozzino, Mauro. Ma che posta hai scritto. ME RA VI GLIO SO.

 
At 19 ottobre 2008 alle ore 00:17, Blogger Mauro Erro said...

;-D

 

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