Le salsicce di D'Alema, i vezzi di Rodotà, e la provincia che diventa periferia

foto di Scattidigusto

L’altro giorno, in un’osteria della provincia laziale, ascoltavo un giovane consigliere comunale parlare dell’organizzazione della prossima festa dell’Unità: “e da mangiare faremo delle salsicce alla brace”. Mi è subito venuto in mente il redivivo D’Alema, e l’anatema che scagliò ai dirigenti che si avviavano verso la scissione dell’ex PCI nel 1991: “Con voi, verranno quelli che cuocevano le bistecche alle feste dell’Unità”. Anni più tardi, il Massimo, si produsse con la complicità di Vissani persino nello strappo del tortellino. A distanza di oltre due decenni come è andata a finire è chiaro: alle feste dell’Unità si continuano a cucinare bistecche, salsicce e tortellini e D’Alema rincorre il suo passato; la provincia, a furia di voler essere centro e di rincorrere la città, spesso è una periferia anonima dell’unico agglomerato urbano (i borghi sono musei cadenti o scenografie di un film, e i castelli si affittano per cerimonie) e io raramente ho mangiato così male. E, infine, il giorno dopo la morte di Stefano Rodotà, sui quotidiani, delle innumerevoli cose che si potevano dire della sua lunga e densa vita, tutti non hanno mancato di sottolineare, con gran merito, la sua passione e conoscenza per il cibo: una piacevole anomalia, un capriccioso vezzo.

posted by Mauro Erro @ 10:48,

2 Comments:

At 3 luglio 2017 alle ore 17:50, Anonymous Anonimo said...

risotto, non tortellino

 
At 3 luglio 2017 alle ore 18:42, Blogger Mauro Erro said...

no, la diaspora fu sul tortellino, insorse la rossa Emilia, tentò di approfittarne Guazzaloca, ne nacque un quasi confronto con Montanelli sul Corsera. Il risotto a cui si riferisce non contemplava scissioni, ma bicameralismi ed era nel salotto di Vespa.

 

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