Valtellina Superiore Sassella Vigna Regina Riserva 1999, Ar. Pe. Pe.
martedì 7 marzo 2017
Sassella, Rocce Rosse e Vigna Regina, Ar.pe.pe. |
Una delle caratteristiche principali che imparano ad apprezzare gli amanti del nebbiolo è la sua capacità di restituire, in vini ben fatti, le diverse sfaccettature del territorio dove è coltivato. Gli appassionati più raffinati riescono a distinguere alla cieca la provenienza dei vari villaggi di Barolo - Piemonte, provincia di Cuneo - discriminando le differenze da Verduno a Serralunga, riconoscendo i vari cru e gli interpreti. Stessa cosa valga per i nebbiolo del nord Piemonte e le sue denominazioni ai lati della Sesia, a cavallo tra le province di Novara, Vercelli e Biella: dalle sabbie di Lessona fino al porfido di Boca, passando per il Gattinara amato da Soldati. Ci sono poi i nebbiolo di montagna, quelli di Carema, Donnas in Valle d’Aosta e quelli valtellinesi - Lombardia, provincia di Sondrio - più verticali nel corpo, più nervosi, in estrema sintesi.
Vigne Sassella Arpepe, I cru di Enogea |
La Sassella è una della 5 sottozone del Valtellina Superiore, Maroggia, Grumello, Inferno e Valgella le altre, dopo quest’ultima la più coltivata con i suoi 100 ettari e poco più. Il suo versante storico è tradizionalmente quello orientale, più vicino all’abitato di Sondrio, con vini che scolasticamente si definiscono più verticali e minerali rispetto all’altro versante, e dove la famiglia Pellizzati Perego ha le sue vigne, dove coltiva i due celebri cru che imbottiglia: il Rocce Rosse e la Vigna Regina. Quest’ultima, il cui nome viene da un vecchio toponimo, attaccata alle Rocce Rosse, la sovrasta arrivando a oltre 450 metri di quota fino alla strada che da S. Anna porta a Triasso. In questo vigneto affiora più roccia che terra, e qui sono conservate il maggior numero di viti vecchie.
Come scrivevo, la descrizione si potrebbe ridurre a una questione di peso, stoffa o materia al palato, del garbo di questi vini all’assaggio, della loro verticalità, volendo distinguerli da altri nebbiolo. Ma sarebbe solo una sintesi. È nell’impronta aromatica e, come in questo caso, nell’articolazione, nella complessità e nel ricamo dei profumi di erbe aromatiche e di balsami - che si svelano nei migliori vini a distanza di tempo - una chiave di lettura non facilmente rintracciabile in altri territori. Dal finocchietto all’anice, a note più scure di china che aprono a refoli balsamici, l’eucalipto, la menta, poi cuoio, pot-pourri di fiori secchi e resine, accenni orientali, austero e compatto, ovviamente minerale. Un bouquet su cui ti vien voglia di tornare continuamente con il naso per coglierne la mutevolezza e la progressione, l’ampiezza e la varietà dei profumi e di cui ti spiace privarti assaggiandolo. Al palato non ha la tridimensionalità della ’91 né la baldanzosa persistenza della ’95, ma uguale leggiadria: saporito e di buona stoffa, innervato di energia acido-salina, chiude puntuale, sanguigno e asciutto. In beva.
(cinque stelline)
(cinque stelline)
posted by Mauro Erro @ 12:25,