Emile Peynaud: glossario delle immagini gustative

Emile Peynaud

Nessuno si meraviglia davanti ad aggettivi che ne esprimono la bontà, la piacevolezza: buono o cattivo, gradevole o sgradevole, succulento, gustoso (impiegato per vini che hanno molto gusto) o insipido; nessuno li contesta. Ma per quanto riguarda la “bellezza” del vino, occorre trasferire il linguaggio sul terreno di una certa convenzione. Un bel vino ha stile, portamento, brio, e anche un’eleganza raffinata. Secondo l’aspirazione e l’entusiasmo dell’assaggiatore, sarà grazioso, elegante, incantevole, affascinante, brillante, distinto e, con un po’ di esagerazione, sontuoso, allettante, fastoso, seducente o seduttore! Dello stesso tipo abbiamo le espressioni che collocano un vino come in società in una certa gerarchia. Un gran vino è presentato come un gran signore. Ai vini di classe, di razza, nobili, ricchi, si oppongono vini banali, rozzi, rustici, comuni, volgari, plebei, poveri, correnti, ordinari, standard, senza pretese. Esistono anche cru borghesi e cru contadini. Un vino è ricco, opulento, quando i suoi componenti sapidi ed odorosi sono presenti in alta percentuale, esprimendo pure un concetto di complessità. Al contrario, un vino, modesto, povero, indigente, ha un sapore semplice, senza sfumature e senza rilievo. Un “signor vino” è un vino raffinato, di classe superiore. L’allusione ad un aspetto fisico, antropomorfo, è ancora più convenzionale. Si attribuisce al vino una certa morfologia quando lo si definisce corpulento, bene in carne (o invece scarno, scheletrico), muscoloso, atletico (o invece mingherlino, debole), virile o femmineo. 

Paolo Panelli, Vittorio Gassman, Il Conte Tacchia, Sergio Corbucci, 1982

Altri esempi di questo repertorio: di un vino magro si dice che “non ha le ossa” o che “gli si vedono le ossa”, mentre di un vino grasso che è “ben nutrito”. Certi assaggiatori fantasiosi, non esitano a dare a un vino “spalle”, statura e una spina dorsale (un vino molle è invertebrato), e ben altre espressioni suggestive. Gli aggettivi dell’età evidenziano una certa logica di osservazione. I vini da invecchiare, passano nel corso degli anni, più o meno rapidamente dallo stato giovanile alla decrepitezza. Dapprima nuovo, giovane, giovincello, il vino arriva poi all’età in cui lo si può bere, e lo si considera fatto, pronto, a punto. Quando diventa più vecchio e perde la qualità della maturità, viene definito invecchiato, vecchiotto, canuto, decrepito, senile, logoro, spossato, passato, finito, ecc. 

Bacio davanti all'hotel De Ville, Robert Doisneau, 1950

È inopportuno e ridicolo voler attribuire al vino delle virtù morali. Ma perché non si potrebbe dire di un vino senza difetti che è franco, retto, pulito, leale, sincero, autentico, onesto, puro, vendibile, schietto? In tutti i casi, questo genere di vocabolario risale alle prime attività commerciali.
La gradazione o generosità del vino, una delle sue virtù cardinali, può esprimersi con gli aggettivi: energico, vigoroso, valevole, possente o potente, confortevole (nel senso che conforta), combattivo, aggressivo, oppure con le espressioni: “che ha carattere, temperamento, nervo”. Nel senso contrario, nessuno si meraviglierà di sentire qualificare un vino come debole, gracile o anemico. Il termine “amabile” (attraente, che si fa amare) attribuita al vino, è del XVIII secolo e significa “carattere gradevole di un vino equilibrato”. Questo significato è ancora valido per il glossario francese mentre per quello italiano “amabile” significa vino a lieve sapore dolce, gradevole. Nello stile dell’epoca, abbiamo ancora: gentile, piacevole, lusinghiero e prelibato (per il palato), cortigiano, benevolo, invitante, attraente, allettante, tenero, carezzevole, seduttore, divertente.
Aggiungiamo alcuni difetti “umani” come: orgoglioso, altezzoso, istrione, capriccioso, furbo, frivolo oppure meschino, stizzoso, bisbetico, arcigno, brutale, cattivo, e avremo raccolto un abbondante repertorio, quasi inesauribile proprio perché alimentato dall’immaginazione. Un vino lunatico, bizzarro, è un vino non stabilizzato, sensibile alle condizioni esterne, che cambia facilmente sapore a seconda delle condizioni della degustazione. Ci sono ancora altre espressioni sfuggiteci precedentemente. Alcuni danno del traditore ad un vino che va alla testa e al quale ci si abbandona. Un vino selvaggio ha sapore di frutti selvatici, di vite non addomesticata. Ma come giustificare, senza cadere nell’irragionevole, aggettivi come: triste, intelligente, spiritoso, esuberante, spigliato, sveglio? 

Gary Cooper, Sartoria Caraceni

Il paragone della struttura del vino con quella della stoffa è strano. Già si parla del “vestito” del vino per definire il suo colore. Il vino è sgualcito se manca di limpidezza: se è robusto lo si dice ricco come una bella stoffa, “ben vestito”, “a trama fitta”; invece è “floscio” se appare molle. Un vino magro, asciutto, è “liso”, “frusto”, oppure “gli si vede la trama”. Ci sono vini satinati, sericei, vellutati, nel contempo ricchi e morbidi; i vini come pizzi sono fini e impalpabili. E poi ci sono i vini “lanuginosi”, “cotonosi”, pesanti e comuni.
Ascoltando il lirismo dell’assaggiatore ci sarebbero ancora cento altre immagini possibili: quella di gran maturità nelle espressioni “vini di sole, vino soleggiato, rovente, vino del sud, che ha fuoco”; la giovane e semplice freschezza è rustica, campestre; l’allegria rende un vino ridente, raggiante, malizioso, arzillo, gaio, e quando esplodono i suoi sapori in bocca, si dice che “fa la ruota”, “la coda di pavone” o che ha “i mille sapori” ecc.
Ci sono circostanze in cui sta bene un po’ di fantasia e con qualche successo si potrà dar prova di originalità scegliendo fra i molti, qualche termine citato in questo capitolo. Ma non abusatene: non tutti i vini sopportano l’enfasi, né tutti gli ascoltatori il ridicolo. 

[Emile Peynaud, Le Gout du Vin, Bordas, Paris 1980 - Il gusto del Vino, prima edizione italiana a cura di Lamberto Paronetto, traduzione di Piero Giacomini, Edizioni AEB, Brescia 1983, in seguito Bibenda Editore 2004]

posted by Mauro Erro @ 12:29,

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