Un perfetto sconosciuto*
sabato 14 maggio 2016
Sun on Prospect Street, Edward Hopper - 1934 |
Mentre aspettavo che il semaforo scattasse per attraversare la strada vedo uno, dall’altra parte della carreggiata, che mi fissa e sorride. Capelli sale e pepe aggiustati con la fila di lato e baffetto alla Clarke Gable, indossava una giacca a quadretti su fondo beige e una polo rossa. Nulla che non andasse, a parte il fatto che mi fissava e sorrideva. Il primo gesto è stato quello di tirar fuori la mano dalla tasca e controllare la patta dei pantaloni. Chiusa. Ho controllato di avere le scarpe, e le avevo, e anche i calzini erano correttamente appaiati. Allora mi sono girato: nessuno dietro di me sul marciapiede e il vecchio era ancora lì che mi fissava e sorrideva. Ma che cazzo ci ha da guardare e sorridere, quello? Glielo avrei urlato, ma mi sembrava un eccessivo spreco di energie. Mi sarei potuto ritrovare coinvolto in un diverbio o, peggio, a litigare, a menare cazzotti, prenderli, sangue e sudore, la camicia stracciata, i vestiti appena ritirati dalla lavanderia maltrattati e sporchi a terra e poi provare quell’inesorabile imbarazzo nel sentire lo sguardo degli altri addosso, i loro commenti, Guarda quei due, capace pure che qualcuno chiamava la polizia: Ma che fa picchia un vecchio? Spiegagli che aveva iniziato lui. Insomma, troppo di tutto. Mi nascosi dietro gli occhiali da sole, girai il capo verso destra guardandolo di sghembo, continuando a chiedermi che aveva da sorridere.
Io non sono granché con la memoria, di quelli che, quando lo incontrano per strada, riconoscono subito un vecchio compagno di scuola chiamandolo per nome e intavolando un discorso come se non fossero passati dieci o quindici anni dall’ultima volta. Ecco, questi, con una memoria inesorabile, sono quelli cui tento di sfuggire scappando da espressioni perplesse del viso e balbettanti frasi imbarazzate: Perdona, ma non ricordo. Stavo facendo il massimo degli sforzi ma non trovavo nulla di familiare con il viso che mi fissava. Io, quel tipo lì, non lo avevo mai visto prima di quel momento mentre aspettavo che scattasse il semaforo per attraversare, proseguire fino all’angolo della strada, entrare da Max, prendere una cassa da sei di birra, tornare a casa evitando di incrociare la Signora Colangelo e le sue domande – Come state signor Maisto? E la signora Marta? E i figli come stanno? Ah, a proposito, tra qualche giorno c’è la scadenza della seconda rata del condominio; scongiurare il disagio che provavo ogni volta alla parola a proposito, che riguardava bollette da pagare, successiva alla domanda sui figli sapendo che in qualche modo c’entravano e la Signora Colangelo aveva ragione –, mettersi in mutande, bersi la birra, vedere se c’era qualcosa sul canale sportivo o in alternativa leggere, trascorrere le successive due ore senza fare nulla di impegnativo, farsi una doccia, preparare qualcosa da mangiare prima che arrivasse Marta, la più bella di cinque sorelle, sciare agevolmente tra un Come è andata oggi? e le patate al forno durante la cena, perché nulla disturbasse l’atmosfera che mi avrebbe permesso di fare l’amore con lei e addormentarmi. E, invece, c’era un tipo che mi fissava e sorrideva dall’altro lato della strada. Cosa avrei detto nel momento in cui Marta mi avrebbe chiesto E a te come è andata oggi? Sai, oggi ho conosciuto un tipo, e avrei dovuto raccontarle quello che ancora doveva accadere e che, pur se in quel momento non avevo idea di cosa sarebbe successo, temevo.
Non sembrava un semplice provocatore. Ignorarlo non sarebbe bastato. Non era vestito da agente immobiliare né aveva volantini o brochure per le mani, e quindi non poteva essere un Testimone di Geova o un pentecostale o che ne so io, non me ne intendo, nonostante avesse tutto l’aspetto di questi che hanno sempre voglia di convertirti e di parlarti di nostro signore Dio, che ormai con esperienza scarto in pochi secondi. No, quel che temevo è che scattato il semaforo venendomi incontro se ne sarebbe uscito con un Ehilà, ciao Umberto e avrebbe iniziato a parlare, e ignorarlo non sarebbe stata una buona idea: per niente avrebbe preso a strattonarmi, a gridare, attirando così l’attenzione. E così in mezzo alla carreggiata, che non mi sembra una posizione granché, mi avrebbe detto Ma dai, non ti ricordi? (Ti pare che faccio apposta?) Hai ragione, in fondo è tanto che non ci vediamo, e magari era di quei tipi che tirava dei buffetti sulle guance o cose del genere: Tu eri piccolino. Poi se ne sarebbe uscito che era un collega della mamma o, peggio, di mio padre. E mi sarei ritrovato ad ascoltare un pensionato che non aveva un cazzo da fare e invece Ai bei tempi, quando si lavorava con tuo padre, ma lo sapevi che il vecchio Ernesto, e, in quel preciso istante, sarebbe arrivata la confessione inesorabile, una scoperta che avrebbe cambiato la mia vita o il ricordo che avevo di mio padre o chissà cosa, e nonostante io abbia rispetto per le persone di una certa età, c’era quel sole che batteva sulle lamiere, un caldo che sembrava di stare ad Algeri, e non sai mai, avrei avuto la tentazione di buttarlo sotto un’auto. Era venuto a scombinarmi completamente la giornata. No, non volevo sapere un segreto di mio padre morto, sono proprio quelle cose che evito, volevo solo arrivare da Max, prendere le mie birre, starmene per un paio di ore a non pensare a nulla davanti la tele, magari leggevo uno dei sessanta racconti e magari Marta aveva un po’ di erba e poi si faceva l’amore.
Infine scattò il semaforo.
*vedi alla voce Omaggi
posted by Mauro Erro @ 11:01,
2 Comments:
- At 14 maggio 2016 alle ore 12:21, said...
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buzzati.
(bello) - At 14 maggio 2016 alle ore 12:23, Mauro Erro said...
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si, ma non solo.
grazie :-).