Riesling, gorgonzola, pere e noci


Se la vostra idea di un impallinato di vino come me è di una persona piena di fisime, gesti e ritualità inspiegabili, ossessioni e manie nel trattare una bottiglia di vino, beh, non è che poi siate così lontani dal vero. Tuttavia, abbiamo anche noi le nostre contraddizioni, i nostri rimedi. Ho visto amici fare la fila al supermercato con casse da sei di Tavernello in brick comprate per sentirsi semplicemente come gli altri. Colleghi che le bevevano persino con un certo piacere. 
Per fortuna, non mi è ancora capitato di avere queste derive. 
Una delle mie perversioni, tra le più comuni e diffuse tra noi alcolisti dichiarati, è quella di non aspettare necessariamente quello che si chiama momento giusto. Il momento giusto, per chi non lo sapesse, è la finestra temporale, variabile secondo la tipologia e l’annata, in cui il vino si trova all’apice della sua espressività. Il che vuol dire in alcuni casi, metti per dei vini da invecchiamento come Barolo e Brunello di Montalcino, dover aspettare da qui a 20 anni e oltre. 
Occorre avere una pazienza orientale. 
Tuttavia esiste un corollario di scuola epicurea che definisce il momento giusto quello in cui stappi la bottiglia, qualsiasi esso sia. E l’altra sera ne ho vissuto uno stappando il Riesling Spätlese Brauneberger Juffer Sonnenuhr 2009 di Fritz Haag. 

I sondaggi in questo momento mi dicono che un terzo delle persone che sta leggendo questo post conosce il vino, ha arricciato il naso e sta pensando: “troppo presto!!!”. Rivolgendomi a loro dico: vedi su, lo so era presto, per fortuna ne ho qualcun’altra che stapperò a tempo debito, dichiaro palesemente la mia curiosità morbosa, aggiungo come prova a discarico la matrice partenopea che mi rende fatalista e vi ricorda che Napoli è a rischio sismico. Meglio stapparle le bottiglie. 
(gesti apotropaici ripetuti) 
Un altro terzo trovando incomprensibile la dizione del vino sta pensando: “che si è bevuto?”, e a voi dico, vedi giù. 
Rimane il terzo di persone che sta leggendo distrattamente e sta pensando ad altro, ed anche mi rivolgessi a loro non se ne accorgerebbero, quindi. 

Si, in Germania fanno il vino. Lo so, uno non lo direbbe mai, so’ tedeschi, eppure, parliamo dei vini bianchi dolci tra i più buoni al mondo. Pensa te.
Rimangono tedeschi, precisini insomma, per cui per i loro vini di punta oltre ad avere una classificazione legata alla denominazione di origine, (oltre al vitigno, riesling, è riportata in etichetta la regione, Mosella, il paese e la vigna, Brauneberger Juffer Sonnenuhr) hanno una categorizzazione legata al grado zuccherino che prevede 5 tipologie in ordine crescente (poi ci sono gli Eiswein): Kabinett, Spätlese, Auslese, Beerenauslese, TrockenBeerenAuslese. 
L’ho messa giù semplice. Ci sarebbe da precisare, aggiungere, ma non è il momento di farla complicata. 
Così come non è semplice sintetizzare la straordinarietà di questi vini: dai più semplici Kabinett agli articolati TBA ci sono notevoli differenze, soprattutto nella capacità di invecchiamento, decine e decine di anni, e, di conseguenza, nella complessità degli aromi. La paletta aromatica di questi vini è tra le più ampie che conosca, dal banco di frutta che spazia da quella gialla a quella esotica fino agli agrumi, per continuare con erbe aromatiche, spezie, resine e balsami, sentori minerali di vario tipo, idrocarburici o sassosi, insomma, con i profumi dei riesling di queste zone è possibile farsi bei viaggi, lunghi ed estesi, da oriente a occidente, da zone calde a fredde, da una stagione all’altra. 
Al palato il discorso è molto più complesso. A seconda della categoria cambia la quantità, ma sono tutti inesorabilmente dolci. Di un dolce che non è dolce, però, che non stucca, grazie alla presenza di un’acidità evidente che agisce in direzione contraria. Vanno così a stuzzicare tutte le papille gustative in tutti i punti della lingua, e il grado alcolico sempre contenuto li aiuta a essere particolarmente bevibili. 
L’ho messa giù semplice anche adesso, per ragioni di sintesi. 
Solitamente questi vini, opportunamente invecchiati, vengono bevuti da soli come vini da meditazione o alla fine di un pasto, abbinati a qualcosa di dolce. In alcuni casi, invece, io mi diverto a servirli durante una cena come ho fatto l’altra sera con degli amici, provocato da una quiche gorgonzola, pere e noci. 
E vi devo dire la verità? 
Ci stava un amore. 

Quiche gorgonzola pere e noci 
Ingredienti (x 6 persone):
1 rotolo di pasta sfoglia 
250 gr di gorgonzola 
50 gr di gherigli di noci 
1 cucchiaio di pecorino grattugiato 
1 pera (kaiser o abate) 
succo di 1 limone 
sale e pepe 

Lavare e asciugare la pera, togliere il torsolo e tagliarla a fettine sottili mettendole in una ciotola con il succo di limone e acqua fredda. Nel frattempo srotolare la pasta sfoglia, incidere il fondo della pasta facendo un cerchio a due centimetri dal bordo. Bucherellare al centro e ripiegare i bordi formando un cornicione. Cospargere il centro con il pecorino e parte delle noci tritate, aggiungere il gorgonzola a dadini e coprire con le fettine di pera che saranno state in precedenza sgocciolate. Cospargere con il resto delle noci. Mettere nel forno preriscaldato a 200° per circa 25 minuti.

posted by Mauro Erro @ 11:47,

2 Comments:

At 24 novembre 2015 alle ore 15:03, Anonymous weinlagen said...

la vigna http://www.weinlagen-info.de/#lage_id=166

 
At 24 novembre 2015 alle ore 16:37, Blogger Mauro Erro said...

grazie.
:-)

 

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