Mi spiace leggere ciclicamente della crisi in cui verserebbe il Friuliano, inteso come tocai, vitigno la cui indicazione, dopo una disputa lunghissima con gli ungheresi, è vietata in etichetta. Mi spiace perché adoro la ricca e variegata personalità che sanno donare le terre del Friuli in termini di persone e vini, e in particolare mi spiace perché reputo il tocai Friuliano tra le più interessanti espressioni di vino bianco italiano. Perché sa intrecciare una personalità aromatica evidente, ma non stucchevole, alla possibilità di declinarlo in vari stili, senza rinunciare ad esprimere anche la propria matrice territoriale.
Tra i molti che appena posso acquisto, bevo e conservo, ho una predilezione per quelli de I Clivi della famiglia Zanusso, che ebbi la fortuna di conoscere un po’ di anni fa. Per informazioni più dettagliate sulla azienda, sui vini, le terre, la storia dei Zanusso e il loro modo di condurre le vigne e intrepretare i vini
vi rimando a questo mio pezzo del 2009, successivo ad una bella verticale che ebbi modo di organizzare.
Qui, invece, vorrei spendere due parole sullo stile dopo l’assaggio della 2012 durante le festività natalizie. Un compito non facile cui ho sottoposto Brazan, perché si è trovato di fianco due Champagne davvero buoni, e per qualsiasi vino fermo diventa dura farsi bere.
La purezza, la leggerezza, la soavità; per lo stile di questi vini posso fare riferimento a due concetti ben espressi molteplici volte da Giampaolo Gravina: l’acqua di roccia e il bere per sottrazione. Entrambi si attagliano alla perfezione a queste interpretazioni del tocai dei Zanusso, delle volte più austera altre più concessiva in funzione dell’annata.
Non c’è nei vini de I Clivi la polifonia, l’espressione orchestrale, l’essenzialità è sostanza che si esprime attraverso l’assenza. L’intreccio di erbe aromatiche e pietra e resine e balsami è qualcosa di simile al ricamo dei merletti di una volta, semplicità e precisione e nessuna ostentazione barocca. È nerbo e non fibra al palato, è ritmo senza dispersione. E’, per rimanere in ambito musicale, rock nudo e crudo, senza arrangiamenti, senza orpelli, chitarra, batteria, basso: solo quel che serve.
Quando li assaggio, quando li bevo, quando li conservo, mi viene sempre in mente una frase di Keith Richards, l’altra metà della mela dei Rolling Stones. Più o meno recitava così: “sono 50 anni che suoniamo gli stessi tre accordi”.
Sarà anche così, ma sono quei riff che ti accompagnano e rimangono dentro tutta la vita. E ciò vale anche per i tocai de I Clivi.
posted by Mauro Erro @ 10:37,
2 Comments:
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At 27 febbraio 2015 alle ore 15:43,
said...
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Bellissimo pezzo, mi rincuora, forse ho trovato il tocai che ricordavo d' aver bevuto...Oramai è per me una sorta d'archetipo del bianco ideale, il ricordo nitido d' un vino piacevole seppur tanto complesso, unico. Sono passati anni da quella bevuta "ideale"
e con preoccupazione crescente ho iniziato a trovare sempre più spesso Tocai un pò troppo invadenti lontani da ciò ricordavo. Non sono tante le degustazioni che mi posso permettere, le delusioni di conseguenza sempre più tristi.Tocai e sauvignon,zona Collio, stappati nelle ultime feste sembravano da subito simili a qualcosa di già bevuto,sul finir del secondo bicchiere la bocca era già stanca e il naso saturo, non avremmo bevuto null' altro. Dunque cercherò questa bottiglia, sarà la volta buona.Ho "ritrovato" Exile on my street, ritroverò anche il "mio" Tocai!Un saluto, Davide
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At 28 febbraio 2015 alle ore 10:09,
Mauro Erro said...
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Grazie a te per il commento...
ciao.
ps. https://www.youtube.com/watch?v=t2vvCsLAW2I
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