C'eravamo tanto amati (cari cabernet)
mercoledì 10 dicembre 2014
Non so quanto possa valere questa associazione d’immagini e il riferimento al meraviglioso film di Ettore Scola del 1974, ma spesso quando bevo dei cabernet ci penso. A questo che doveva essere un omaggio a Vittorio De Sica e al neorealismo, e che invece racconta trent’anni di storia italiana, dal ’45 al ’74, attraverso le vite di tre partigiani interpretati da Nino Manfredi, Vittorio Gassman e Stefano Satta Flores, e dei destini che s’incroceranno con quelli di Luciana, interpretata da Stefania Sandrelli. Un film di tradimenti, ché tradite sono le aspirazioni giovanili, le speranze, la fede politica, i sogni, l’amicizia e l’amore, sul registro di un malinconico ma efficace umorismo critico.
E a me sembra un po’ il rapporto che noi italiani abbiamo avuto con i cabernet negli ultimi 20 anni. E mi riferisco agli innamoramenti dei produttori che li hanno piantati in ogni dove questi vitigni migliorativi e che oggi, invece, li ripudiano. Mi riferisco all’amore abbandonato di tanti appassionati per i vini di Bordeaux: appassionati che oggi, invece, hanno concentrato le loro attenzioni sul pinot nero e la Borgogna. Il rapporto d’innamoramento di molti giornalisti del vino che invece oggi parlano d’identità, vitigni autoctoni e tipicità. Ma anche alle nuove passioni che nascono per altri cabernet. Dove per altri s’intende il franc ad esempio o il Paleo rosso de Le Macchiole, per citare invece un vino di Bolgheri, la zona più celebre d’Italia per questi vitigni.
Non so quanto possa essere valida ed esemplificativa questa associazione d’immagini scrivevo, ma vale ovviamente il consiglio di rivedervi un meraviglioso film.
Continuando nel gioco e visto che gli interpreti sono tre, ecco i tre vini che me l’hanno ricordato.
Il primo è un must, ricercatissimo dalle avanguardie. Loira, Saumur Champigny, Clos Rougeard dei Fratelli Foucalt: il meraviglioso Le Bourg 2010 (93+), il cabernet franc (ritenuto fino a non molti anni fa il fratello piccolo e brutto del cabernet sauvignon) che ho bevuto un paio di settimane fa a La Piola di Alba (140 € in carta, un prezzo corretto per il vino distribuito da Teatro del Vino). Alla cieca si rischierebbe quasi di prenderlo per un Borgogna, vista la leggiadria – soli 12,5 gradi alcolici – e il turgore e la pienezza del frutto. Ha ancora un po’ di legno da smaltire, ma vi assicuro che si beve con estremo piacere e facilità già ora. Il secondo invece è un vino a cui sono molto affezionato, purtroppo per molti dimenticato, il Capo di Stato di Loredan Gasparini annata 2002 (89), cabernet sauvignon, merlot, cabernet franc e malbec dell’alta marca trevigiana. La particolare storia di questo vino la potete leggere qui nelle parole ispirate di Giovanni Corazzol. Qui, invece, le riflessioni di Fabio Rizzari del 2008 proprio su questo vino. Io posso aggiungere che il tempo gli ha donato finezza, e il resto lo fa un fruttino delizioso ancor vivo e presente, e una bocca risolta e facile da bersi.
Infine un pezzo di sud che è già storia. Il Gravello 2001 (88+), versione calabra con gaglioppo del cabernet sauvignon, pensata dai Librandi con Severino Garofano, che si declina con sostanza, eleganza, mediterraneità e sale.
posted by Mauro Erro @ 10:02,