“Degustatori o Giornalisti”, un mese dopo
venerdì 28 ottobre 2011
Per chi non avesse letto lo scritto e seguito le successive discussioni una breve sintesi.
Come detto, un mese fa ho scritto un post di riflessione che interrogava i lettori e coloro che popolano il mondo enogastronomico sul ruolo che deve assumere, oggi, chi scrive e si occupa di vino e cibo (leggi qui). Il tema di fondo è se i tempi e l’ambiente siano maturi affinché si possa allargare il proprio sguardo oltre il calice a ciò che è intorno ad esso: alle persone, al risvolto sociale e ambientale, al tessuto economico.
Queste mie considerazioni partono da un mero fatto di cronaca, una notizia in cui inciampo per caso.
Genesi di una notizia
Dando uno sguardo alla cartella stampa che mi era stata data al Vinitaly da Centopassi, l’attività vitivinicola delle realtà siciliane di Libera Terra, la Cooperativa Sociale Placido Rizzotto e la Cooperativa Sociale Pio La Torre che gestiscono terreni agricoli confiscati ai boss di Cosa Nostra leggo che, nella parte che riguarda le vigne da dove si producono i loro vini, in contrada Cerasa, a Monreale, c’è una vigna confiscata a Guccione.
Questo fatto diviene notizia per chi si occupa di enogastronomia a differenza di altri terreni e vigne confiscate perché il cognome Guccione chiama in causa l’azienda vitivinicola Guccione, sita a Monreale, proprio in contrada Cerasa (nello specifico, come sarà evidenziato dalla discussione, il fatto riguarda il padre deceduto dei titolari Manfredi e Francesco).
Effettuo le mie indagini e le mie ricerche, ricostruisco la vicenda e stabilito che non si tratta di un caso di omonimia do la notizia.
La scrivo nuda e cruda a margine delle mie considerazioni riportandola tal quale dalla cartella stampa con un virgolettato. Non entro nel merito di una vicenda che si occupa di argomenti lontani dal nostro oggetto di attenzione, il vino per l’appunto, né, accertati i fatti, credo ci sia molto da commentare.
Evidentemente non tutti la pensano come me.
È ovvio che, allo stesso tempo, credevo fosse interesse dell’azienda vitivinicola Guccione chiarire quanto scritto dal suo “vicino di vigna” in una cartella stampa accessibile a tutti gli operatori del settore, fossero essi enotecari, ristoratori o giornalisti. Il giorno dopo la pubblicazione del post chiamo al telefono Francesco Guccione chiedendogli se ha commenti da fare nel merito e se vuole rispondere alle mie domande. Dopo avermi ringraziato per come ho dato la notizia, per non essere entrato nel merito ed aver citato gli altri personaggi coinvolti, Francesco Guccione mi dice di non essere interessato a commentare né di volere rispondere alle mie domande. Qualche ora dopo cambia idea intervenendo con un commento direttamente sul sito Intravino. Trasformato in vero e proprio post dagli editors del sito, arrivano ben 165 commenti.
Il giornalismo ed il web
Arriverò in seguito a quanto dichiarato da Francesco Guccione, a quella che è stata la sua versione dei fatti. In questo momento vorrei prima esprimere alcune considerazioni che, partendo dai numerosi commenti arrivati, entrano nel merito del mio post originario.
Al di là delle accuse arrivatemi di tentativo di scoop (quale scoop? Io non ho scoperto un bel niente, il dato riportato era già pubblico) o di sensazionalismo (mi chiedo quale sarebbero state le reazioni e i commenti se la notizia avesse interessato invece che un piccolo produttore di vini naturali, una delle grandi aziende siciliane), stupisce l’idea che una parte consistente di chi popola questo mondo, sia esso semplice appassionato o operatore, ha del giornalismo. Nessuno di coloro che ha lasciato sottintendere che la notizia non andava pubblicata, o che andava in qualche modo manipolata o edulcorata ha risposto ad oggi ad un semplice interrogativo posto dal collega Marco Arturi intervenuto con un commento: “Se il problema è invece rappresentato dal fatto che Erro, “inciampato” casualmente in un’informazione, avrebbe dovuto tacerla – come mi pare di evincere da alcuni commenti e dalle parole di chi lo accusa di essere stato scorretto -magari sarebbe anche giusto che chi la pensa così ci spiegasse perché”.
Stupisce ancor di più la superficialità, vista la delicatezza dell’argomento, di alcuni commenti, del tono della discussione sviluppatasi non nel merito delle riflessioni da me proposte, ma su di un fatto di mera cronaca in un pro o contro che vedeva due tifoserie contrapposte, del linguaggio da gogna mediatica, di chi ha proposto azioni di dissequestro senza essere a conoscenza dei fatti e della legge italiana in materia e non tenendo minimamente conto di ciò che abbiamo scritto e specificato: che ad una confisca definitiva si arriva dopo tre gradi di giudizio. Ed ancora, la superficialità di chi ha invocato – e non se ne capisce il motivo – l’intervento di Centopassi: un’associazione che ha semplicemente l’onere di dover gestire le terre confiscate dallo Stato Italiano, come se fosse colpevole di qualcosa. Di chi ha la pessima abitudine in questo paese di commentare le sentenze passate in giudicato della magistratura delegittimandone operato e ruolo.
Mi hanno stupito ancor di più alcuni interventi che sembravano “alzare il tiro” in uno strano, talvolta ambiguo, ai miei occhi pericoloso capovolgimento, dove cadendo in facilonerie e generalizzazioni si attaccava la magistratura palermitana in toto o si lanciavano messaggi ad associazioni come Centopassi e Libera. Opinioni molto forti non basate su elementi fattuali, ma sulla vicinanza a Francesco Guccione, dettate dal conseguente coinvolgimento emotivo o facendo riferimenti ad imprecisati errori procedurali.
Tale idea di libertà di utilizzo del web è, a dir poco, preoccupante.
“Francesco Guccione e una storia di famiglia che dobbiamo conoscere”
È questo il titolo, scelto dagli editors di Intravino, della dichiarazione fatta da Francesco Guccione e questo il link per chi volesse leggere la versione integrale delle “sue verità” e i successivi 165 commenti. Tralasciando alcune considerazioni di carattere personale, riporto di seguito la sua ricostruzione dei fatti. Entro nel merito della faccenda, non perché sia di alcuno interesse ai fini del discorso impostato nel mio scritto (in questo non posso non concordare con Alessandro Morichetti quando afferma che si è persa un’occasione), ma perché dalle carte in mio possesso, come potrete leggere di seguito, emerge una realtà ben diversa da quella che si evince dalla sua dichiarazione.
[…] ha subito (il padre Leoluca Guccione, n.d.r.) un processo non processo, tecnicamente un “procedimento di misure di prevenzione”. Per chi non è avvezzo, è un’anomalia del codice Penale, voluta per legge negli anni della lotta alla mafia, in cui il cittadino inquisito, si trova a fronteggiare una difesa, con il carico dell’inversione dell’onere della prova. In questo contesto, sono stati confiscati appunto i tanto citati terreni. Successivamente, segue un processo Penale vero è proprio, con correlata detenzione, e tra un’udienza e l’altra passarono circa tre anni di detenzione cautelare. La sentenza definitiva lo condannava a due anni di detenzione, ma lui in attesa del processo ne aveva già scontati tre. La giustizia gli doveva già un anno di vita. Ma nella speranza di fare chiarezza in appello, un martedì di colloquio in cui andammo con mio fratello come sempre a trovare papà, per comunicargli si che c’era stata una condanna, si che era stata inferiore a quanto già scontato, ma fiduciosi che in appello avremmo fatto chiarezza sulla sua innocenza (attendevamo a quel punto la data dell’appello). Bisognava avere le ultime forze per resistere e ottenere l’assoluzione in formula piena. Ma due giorni dopo, ricevuto l’ennesimo rinvio di quattro mesi, che lo costringeva ad ulteriore detenzione, mio padre non resse, e fu colto da un infarto in piena detenzione, e senza alcun soccorso. Non è mai stata mossa nessuna accusa specifica se non una nebulosa associazione mafiosa in concorso esterno, e credetemi che a tutt’oggi non si comprende il ruolo di mio padre all’interno di non so che o non so cosa.
1) Come ho già scritto il codice antimafia prevede che si possano applicare separatamente le misure patrimoniali e personali (legge Rognoni-La Torre 1982, riveduta svariata volte). Prima di arrivare alla confisca definitiva di un bene, c’è un sequestro preventivo, dopo di che si procede ai dibattimenti, alla confisca impugnabile in Appello e in Cassazione, infine, dopo anni e anni, alla confisca definitiva. Per cui in merito a ciò che ho scritto i tre gradi di giudizio ci sono stati. Così come c’è un’altra imprecisione in quanto dichiarato da Francesco Guccione perché nel procedimento a carico personale l’ordinamento giuridico italiano stabilisce all’accusa l’onere della prova mentre è in quello patrimoniale che l’accusato deve dimostrare che i beni immobili o liquidi siano frutto di attività lecite.
2) Leoluca Guccione viene arrestato il 30 ottobre del 1997. È imputato non di concorso esterno in associazione mafiosa, ma bensì del reato dall’articolo 416 bis del codice penale: di associazione per delinquere di stampo mafioso.
3) Rinviato a giudizio il 3 dicembre dello stesso anno è condannato dalla terza sezione del Tribunale di Palermo con sentenza di primo grado per il reato ad esso ascrittogli in data 15 luglio 1998 (circa 8 mesi dopo), con la diminuente di un terzo della pena per la richiesta dell’imputato del rito abbreviato (art. 442 C.P.P.), alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione.
4) In data 19 ottobre 1999 (circa due anni dopo dall’arresto) la quarta sezione della Corte di Appello del Tribunale di Palermo con sentenza n. 3930 accoglie la richiesta del Procuratore Generale e dell’Avvocato difensore: il non doversi procedere per morte del reo.
posted by Mauro Erro @ 14:30,
2 Comments:
- At 28 ottobre 2011 alle ore 15:38, said...
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Ci spiace molto leggere questo articolo oggi tramite facebook,
noi avevamo già dimenticato. Ciao Francesco, ci vediamo a Vini di Vignaioli.
Cantina Giardino - At 1 novembre 2011 alle ore 14:57, said...
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Sincera, totale e convinta solidarietà a Mauro Erro da parte mia, più convinta ancora letto il tono di questa sola, prescindibile, sconcertante risposta; resta l'amara constatazione che una rassicurante verità di comodo, frutto di ricordi molto imprecisi su fatti - questo sì - del passato, si commenta più volentieri di una verità tout court.