Quando l'abito non fa il monaco

Totòtruffa '62

Muscadet è una denominazione della Loira che gode di ottima salute commerciale grazie al potere esoterico dell’abbinamento per eccellenza con le ostriche che ha attraversato tanti libri, film e storie che abbiamo ascoltato. Una produzione abbondante di questo bianco dal vitigno Melon de Bourgogne immessa sul mercato molto velocemente e la cui qualità media certo non è eccelsa: il consumo avviene al massimo nei primi tre anni dall’imbottigliamento.
Il Muscadet si beve giovane.

Per questo è stato divertente l’altra sera osare con i vini di Marc Ollivier di Domaine de la Pepiére, produttore appartenente a quel pugno di indiscutibili e bravi interpreti del Muscadet, bevendo il suo Clos de Briords in tre annate sino alla più vecchia ’96, e poi i più recenti Granite de Clisson e Les Gras Moutouns.

Al di là delle variabili legate ai terreni, alle annate, all’interpretazione del produttore, ai Sevre et Maine, la cosa che mi ha colpito maggiormente è il continuo procedere per assonanze con altri vitigni e zone vitivinicole, soprattutto per i Muscadet più vecchi, dei degustatori più anziani: è difficile poter avere un’idea o un archetipo del Muscadet invecchiato, considerato anche che il profilo olfattivo è di quelli a togliere (o in Levare, a proposito di ritmo).

Questo ha del Vouvray, questo del Savagnin, quell’altro ricorda qualcosa di alcuni Sancerre, questo ha quel nocciolato che rimanda ricordi e meraviglie dei Trebbiano dei Valentini.
Credo che tutti siano rimasti stupiti dell’integrità dei vini e della loro godibilità, sui cibi soprattutto perché sono vini che vogliono la tavola, anche quando (vale per le annate ’96 e ’99 del Clos De Briords, la cuvèe delle vecchie vigne) i vini avevano superato l’apice della loro parabola, aggiungendo appena appena un certo fascino autunnale ai propri profumi.
Vale per le fascinose ambiguità del Clos de Briors 1996 dai profumi contrastati immediati e intensi di nocciola, chicco di caffe e agrumi, su un sottofondo oleoso. Grasso all’ingresso al palato, glicerico e felpato in superficie e attraversato, al contempo, da un’acidità saettante saporita di pompelmo che stringeva il finale lasciando al sale il ricordo dell’assaggio.
Vale per il ’99 più soffuso, sfumato e delicato ma brulicante mineralità rocciosa al naso; più stanco al palato e leggermente scarno. Mentre il 2004, colpiva soprattutto per la sua masticabilità giovanile, per i suoi ricordi salmastri e per il suoi dolci e timidi profumi floreali.

Tutt’altri vini i due finali. Il Granite de Clisson 2007 ha molta più ciccia, si divide tra ricordi fruttati e nuance minerali più di profilo idrocarburico, con improvvisi e intriganti voli balsamici di canfora e eucalipto, dal sorso succulento e asciutto nel finale. Poi il salatissimo Les Gras Moutons 2008.

P.S. Altri due produttori molto validi sono Bruno Cormerais (distribuito da Teatro del Vino di Firenze) e Luneau Papin (distribuito da L’Etiquette di Torino).
ah

posted by Mauro Erro @ 11:18,

2 Comments:

At 7 luglio 2011 alle ore 12:12, Anonymous Anonimo said...

anche domaine de l'ecu e jo landron con l'amphibolite...

 
At 7 luglio 2011 alle ore 12:13, Blogger Mauro Erro said...

Credo che, adesso, non manchi nessuno...

 

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