Cantina del Barone, Cesinali, Avellino

Luigi Sarno, sotto una pianta di fiano ultracentennaria

Cesinali. Terra di nocciole, duemilacinquecento abitanti e origini antiche; già feudo di Atripalda sotto la dominazione dei Filangieri, dei Carafa e dei Caracciolo, qui i napoletani hanno messo da tempo radici.
In contrada Nocelleto c’è l’azienda dei Sarno, su un pianoro di terra sciolta sabbiosa e vulcanica a quota trecento metri o poco più d’altitudine; sette ettari di terreni agricoli acquistati nel 1968 dal partenopeo Barone Di Donato di cui si era mezzadri.

Luigi Sarno, classe 1983, 28 anni appena, enologo, ci conduce. Ne conosciamo da tempo silenzi e timidezze, lo stile dimesso, la chiarezza delle idee. Con i suoi consigli Angelo Muto – Cantine dell’Angelo – produce una delle più belle novità degli ultimi anni, un Greco da Tufo che esulta zolfo e scalpita al sorso.
È il maggiore di tre fratelli, gli altri due impegnati negli studi universitari ma sempre presenti, e con papà Antonio e lo zio lavora in campagna mentre la mamma s’occupa del focolare domestico.
Un fiore nel deserto lì dove la crisi accentua l’atavico problema dell’emigrazione giovanile dai piccoli paesi del meridione.

Il noccioleto si estende per quattro ettari, alla vigna ne spettano due e mezzo, quasi tutto fiano, quel che rimane è dedicato all’orto, alle galline che saltellano nell’aia, ai pavoni che si esibiscono. Bassa valle del Sabato, che scorre a qualche chilometro a sud est, oltre si erge il Terminio che si nasconde tra la foschia e le nuvole. Dietro di noi, una pianta ultracentenaria di fiano alta più di due metri s’inverdisce delle prime foglioline, vestigia di una masseria che fu.

La vigna fu impiantata nel 1987 con finanziamento da parte della regione Campania che la utilizzò come campo sperimentale asciutto e irriguo. Nel 2008, scaduti i decreti, Luigi, laureatosi in enologia, li ha riacquistati per evitare che le vigne fossero spiantate. Nel 2001 aveva ridisposto alcuni filari, le piante a sinistra dello sterrato che attraversa l’azienda, piante da cui arriva il materiale dei cloni – VC3 E VCR 107 – riprodotti da Rauscedo: cinquemila metri circa seguendo la direttiva nord sud per godere della migliore esposizione possibile. Qui si vendemmia tardi e l’umidità che sale dal fiume aggredisce: nasce la particella 928, la cui prima annata sarà la 2009.

La cantina nasce nel 1998, negli anni Luigi si è divertito a vinificare aglianico, Taurasi e greco, oggi si dedica esclusivamente al fiano proposto nella versione annata e selezione particella 928 per un totale di circa dodicimila bottiglie: rimane uva per uno sfuso che va via a due euro e cinquanta al litro. Da un mezzo ettaro di aglianico si produce un rosso familiare semplice e schietto, se ne rimane, quasi mai, se ne imbottiglia qualche centinaio per i clienti.

Non fossero neanche 500 gli ettari di Fiano di Avellino divisi per ben ventisei comuni, non fossero così pochi a Cesinali, venti forse, avremmo più certezze sulla sua identità. Per adesso, sembra che nascano da qui fiano dalla bocca gourmand, facili a bersi per una struttura leggermente più minuta che regala loro meno potenza ma più slancio. Vini solari, dai profili olfattivi talvolta semplici, ma che aspirano a buona finezza ed eleganza, non legati al cliché delle note fumé e poco altro. Luigi vinifica senza diraspare, travasa all’aria, nessuna filtrazione, sei mesi di maturazione sulle fecce fini. Nessun trattamento in vigna se non rame e zolfo, poco interventismo in cantina.


Fiano di Avellino, Particella 928, 2010 (campione di vasca): Semplice, ma ben impostato tra frutta gialla e nocciola. Ha sfumature aromatiche di erbe, un po’ di fieno. Al momento presenta ancora carbonica al sorso: bocca grassa e dinamica, la sapidità lo allunga nel finale: ha buoni ritorni aromatici accompagnati da una sensazione di calore. Da analisi, rispetto alla precedente versione, ha maggiore alcol e maggiore acidità. Vendemmiato a fine ottobre.

Fiano di Avellino 2010 (campione di vasca): meno intenso ma solare e leggermente iodato, anche qui s’avvertono agrumi dolci, ad un tratto chinotto. Bocca più austera, chiude più velocemente nel finale: semplice e da bere, l’acidità asciuga e rimbalza la scia leggermente amarognola che, con l’alcol fermo a 12,5 gradi, esorta al cibo.

Fiano di Avellino 2009, particella 928: color oro; naso solare di frutta a pasta bianca (pesca) e gialla (albicocca), di erbe aromatiche e nocciola, ritmato dal soffio balsamico di sottofondo e incipriato di limone dolce di Sorrento, marchio di fabbrica, tamburellato da sottili lampi fumé. Bocca succosa e soddisfacente, pulita e dai bei ritorni: vibra e permea sapidità.
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posted by Mauro Erro @ 08:13,

1 Comments:

At 5 maggio 2011 alle ore 12:52, Anonymous antonio said...

interessante

 

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