C come Clos de la Crochette

Da qualche parte del Maconnais c’è un punto in cui il nord della Francia finisce e il sud comincia. All’improvviso il clima e l’atteggiamento della gente assumono i caratteri del Mediterraneo, invece che della Manica; la vendemmia ha luogo un paio di settimane prima che nella più settentrionale Cote d’Or.
Siamo nella zona di Cluny che, rispetto a Citeaux, aveva una vita molto meno austera nelle sue abbazie. Anche il temperamento dei vini è più aperto e festivo. Si può tirare fuori una bottiglia di bianco per bere un bicchiere.
Il paesaggio è molto più selvaggio, più pastorale rispetto ai dintorni di Beaune. Ci si sente davvero in campagna: le colline sono più mosse e ci sono tanti piccoli paesini, tutti di pietra.
C’è il maestoso villaggio di Azé. E una luce magnifica, anzi ci sono varie luci. Si passa dal grigio caldo al grigio freddo, dal rosa al blu freddo e al blu caldo. Berzé-la-Ville con la sua chiesa romanica che ospita un Cristo in gloria, dove la luce riflessa dalle vetrate non illumina mai allo stesso modo le stesse cose. E c’è un paesino di poche centinaia di abitanti che si chiama proprio Chardonnay.
Qui siamo all’origine storica dei vigneti borgognoni. Ecco, il Clos de la Crochette: poco più di due ettari e mezzo, rivolto verso sud. Forse uno dei primi vigneti piantati dai monaci di Cluny, che avevano già individuato l’esposizione favorevole.
È stato acquistato una decina di anni fa da Dominique Lafon, la cui reputazione riposa sui Mersault e sul Montrachet. Alla ricerca di qualcosa che gli permettesse di esprimersi liberamente lontano dalla fama, e dalle pressioni, del Domaine des Comtes Lafon. Un progetto affascinante in cui rimettersi in gioco e forse anche rischiare un po’, visto che l’attività non è finanziata da quella di Mersault e ogni volta che si riesce a fare qualcosa è una vera conquista.
È di una bellezza rara. In primavera è pieno di fiori gialli. I sassi sono magnifici: con un’argilla così si hanno terreni drenanti, ben aerati. Un vigneto non può stare con i piedi nell’acqua. Ci sono le api nelle vigne. Ce le ha messe Paul, uno dei collaboratori. Ex pescatore di professione sulla Saone, ha una vera passione per quello che fa e un livello di coscienza notevole. Ma per la società ormai era solo un disoccupato di più di cinquant’anni.
La cantina è a Milly-Lamartine. Niente di romantico, sembra più un hangar o il deposito di una piccolissima impresa. Tutto è funzionale e minimale. Nessun gesto di marketing d’immagine. Nessuna segnaletica per i visitatori. Nelle vasche fermentano dei deliziosi Macon, minerali e nervosi, che poi daranno vita ad un vino generoso, ma non raro. Come sono i Mersault, oppure, più a settentrione, gli Chablis. Un vino gioioso.

Ecco qua, per la lettera C - confesso - ho copiato.
Ho ridotto, rimontato il racconto di Jonathan Nossiter, del suo incontro con Dominique Lafon (in Le vie del vino, Einaudi 2010). Ho pure un pochino levigato. Spero, così, di non essere caduto. Nella trappola dei critici contro gli appassionati.
Dimenticavo, la storia delle api mi ha fatto venire in mente dei versi di Franco Marcoaldi. Eccoli:

Se aveste mai dormito con un gatto
o con un cane adagiato sopra al grembo,
ora sapreste che la metamorfosi è possibile,
che uomo e gatto e cane sono
entità volatili e cangianti: nel sonno
condiviso scompaiono le stinte
gerarchie tra cavalieri e fanti.

Maurizio Arenare
a

Etichette:

posted by Mauro Erro @ 08:00,

2 Comments:

At 10 maggio 2011 alle ore 19:09, Blogger Lucio said...

Grande Maurizio...ero quasi in pensiero!

 
At 10 maggio 2011 alle ore 20:37, Anonymous Anonimo said...

Grande Lucio :)... per la D credo che chiederò il tuo, il vostro aiuto. Grazie m

 

Posta un commento

<< Home






Pubblicità su questo sito