Vinitaly 2011, appunti sparsi di viaggio

Soave, Castelcerino, casa Filippi, cena con alcuni produttori di vini naturali

1) Quest’anno non ho avuto il tempo per fare un salto alle manifestazioni di vino naturale che si svolgono parallelamente al Vinitaly. Ho raccolto un po’ di voci: i produttori erano molto contenti, ottima l’affluenza di pubblico; i vari degustatori non segnalavano sostanziali novità negli assaggi.
E tutto sommato, ciò vale anche per il Vinitaly, un’edizione i cui numeri denotano una voglia di ripresa.

2) I valori paiono essere assodati. Il tempo delle scoperte e delle novità è ormai in buona parte esaurito. Fanno eccezione alcune zone, aree del sud Italia ad esempio, ancora indietro nel percorso: futuro eldorado se si faranno le scelte giuste.
In questo senso mi pare che le carte in tavola siano sempre più spaiate. Produzione, critica e mercato sono tre entità che viaggiano parallelamente ma per conto proprio. D’altronde la globalizzazione riguarda anche il vino, i mercati sono più ampi e difficili e conviene non peccare di provincialismo.

3) Se tanto mi da tanto, alla critica non rimane altro che fare selezione. Accompagnare tutti ormai non ha più senso. Anche perché per quanto si possa essere aggressivi nei confronti di nuovi mercati, i dati e i numeri parlano di calo dei consumi interno: si produce troppo e le soluzioni non possono essere le pezze burocratiche: potature verdi o distillazioni di crisi. Complice la crisi la selezione sarà naturale. Meglio governarla, noo?

4) A proposito di provincialismo bisognerebbe ricordare che tutto il mondo è paese. I problemi del vino italiano sono anche strutturali. Un esempio? In questi tre giorni sono stato nel cuore del doc Bardolino, sul lago di Garda a Torri del Benaco. Un paesaggio meraviglioso. E melanconico. Almeno nello scorcio che ho visto io. Torri del Benaco, uno dei paesini della zona classica già indicata da Veronelli nel 1961, di vigna non ne ha più. I terreni agricoli sono stati trasformati in terreni edilizi, villette e tedeschi spuntano come le gramigne. Il mattone ha spinto la vite sempre più lontano dalla sua zona d’elezione. Angelo Peretti e il consorzio stanno facendo un lavoro meraviglioso di recupero e rilancio, ma di mezzo ci sono 40 anni di storia italiana.
Le tante parrocchie sono un danno. Essere uniti, invece, pare essere l’unica soluzione.

5) E’ stato per me il Vinitaly dei giovani. Tanti tra i consumatori, produttori e operatori del settore. Molto preparati e con idee ben chiare. Da questo punto di vista c’è tanto entusiasmo e di che essere speranzosi. Ho bevuto e mi sono confrontato con tanti di loro: Paolo De Cristofaro, Antonio Boco, Pierluigi Gorgoni, Giampaolo Gravina (che è il più giovane), Monica Coluccia, Alessandro Morichetti di Intravino, Mauro Mattei….
Ce ne fosse uno con cui non ero d’accordo.

6) Una citazione a parte, tra i gggiovani, la merita Giovanni Gagliardi di vinocalabrese.it (in foto, a casa Filippi, mentre se la canta e se la suona). Una persona perbene, appassionata e legata alla propria terra che ha organizzato gli spazi della provincia di Cosenza degli stand della Calabria in maniera esemplare. Ora tocca ai produttori dargli una mano aumentando la qualità dei propri vini.

7) Ecco, i vini. Partiamo proprio dalla Calabria risalendo lo stivale fino alla mia Campania, passando per la Basilicata, le regioni di cui, per ovvi motivi, mi sono più occupato. È proprio qui che ho avuto gli spunti più interessanti. Sia chiaro, non è che i vignaioli come Francesco De Franco spuntano come i funghi, la realtà economica per tanti anni è stata fatta dai vinificatori che acquistavano uve persino a Messina. È, in parte, ancora così. Però i miglioramenti tecnici e stilistici sono innegabili. Rossi soprattutto. Almeno al momento la Calabria non si distingue certo per i suoi bianchi, soprattutto quando si lavora con improbabili vitigni alloctoni. Interessanti alcuni Nerello e Calabrese, ma la parte del leone spetta sicuramente al Gaglioppo. Ancora troppi i Cirò impalpabili e marginali: tra quelli validi e saporiti due gli stili che si affiancano. Coloro che scelgono macerazioni più lunghe, con vini più carichi di corpo, colore e soprattutto tannini: allo scorrere del tempo il compito di smussare gli angoli. E quelli che, invece, con macerazioni più brevi cercano di cogliere la giovialità che pure appartiene a questo vitigno. Da tenere d’occhio i vini da dessert.

Adele Chiagano, Il viandante bevitore e Slowine durante Vinitaly

8) Basilicata: anche qui i valori sembrano assodati con qualche novità interessante. L’aglianico del Vulture, complice anche un susseguirsi di buone annate, trova sempre più sensibili allevatori. Le scelte da fare qui sono importanti soprattutto per il nuovo riconoscimento della docg. Ripeto, l’unione fa la forza. Un po’ d’individualismo in meno, il mio consiglio.

9) Campania: alcune zone pagano ancora un ritardo abissale. Il cuore della qualità è senza dubbio l’Irpinia e, da questo punto di vista, sono sempre più convinto che la Campania al momento sia una regione bianchista. La 2010 sarà annata da Fiano o Greco? Ai posters l’ardua sentenza. Quanto all’aglianico c’è ancora tanta strada da fare: il vitigno ha grandi potenzialità, ma è anche parecchio ostico; quanto alla consapevolezza tecnica ancora bisogna fare esperienza: non è questione di stile, botte grande o piccola, ovviamente. Occhio all’estrazione tannica tanto per spararne una.

Le foto sono di Stèphane Aït Ouarab. Un parigino che per molti anni ha vissuto a Napoli rapito dalle mozzarelle di bufala.
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posted by Mauro Erro @ 11:43,

1 Comments:

At 13 aprile 2011 alle ore 20:58, Blogger Angelo Peretti said...

Troppo buono, Mauro.

 

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