La Frittata di maccheroni partenopea
giovedì 28 aprile 2011
Stabilirne l’origine è questione complessa, probabilmente rientrano nel filone della tradizione dei timballi e dei timpani. Trae linfa dalla miseria essendo piatto di recupero, di rimpasto degli avanzi sino a diventare oggi prelibatezza che si realizza ex novo, prototipo del manicaretto che ci accompagna in gita al mare o al pic-nic del primo maggio.
Nella sua versione casalinga, addensata con uovo, c’è chi preferisce gli spaghetti, chi i vermicelli o i bucatini, chi i maccheroni; chi la gradisce in bianco e chi leggermente macchiata di pomodoro ed ognuno la fa come vuole, l’importante sta nella cottura perché venga compatta e solida da essere tagliata a fette, e rosolata uniformemente. Basta avere l’accortezza di utilizzare una buona padella ed inclinarla affinché durante la cottura la fiamma tocchi solo una parte di bordo. Basta poi spostarla ogni due, tre minuti fino a fare un giro completo e di seguito ripetere capovolgendo la frittata: i bordi si cuoceranno e il centro non brucerà.
La frittatina è affare diverso tanto da risultare una sorta di esclusiva tutta partenopea del cibo da strada e delle fritture. Mentre, infatti, in Italia è possibile trovare facilmente arancini bianchi o rossi in ogni città e in alcune di queste, forti di ricche tradizioni, vedi la Sicilia, con innumerevoli varianti golose, idem i crocché, la frittatina di maccheroni la potete trovare con facilità solo a Napoli.
Innanzitutto, la differenza con la versione casalinga oltre le ridotte dimensioni sta nella panatura, tipica da friggitoria che si realizza con l’aggiunta di farina. Solitamente si usano bucatini che sono, però, spezzati a mano. Il ripieno – anche qui non mancano le sfumature – con carne(spesso macinata), piselli, in bianco o leggermente macchiata e via così, con besciamella, formaggio o meno.
Per me una buona frittatina è sempre stato il piacere massimo e si lega ai principali ricordi di scorribande nelle rosticcerie che come i bar di un tempo è sempre più difficile trovare: oggi sostituiti da noiosissimi take a way piastrellati di detersivo candore, soffocati da accecanti neon, addobbati con l’ennesima ristampa di New York che si sveglia o della Marylin Monroe di Warhol, spesso sostituita da impensabili cani, gatti o piselli. E, cosa peggiore, grondanti di improbabili e croccanti tranci di pizza da riscaldare nel microonde.
La luce delle rosticcerie, innanzitutto era diversa: era bassa. L’atmosfera era colorata di un giallo tepore che inclinava all’ocra, alla ruggine, e lasciava angoli bui e spazio alla fantasia. Le vetrine erano opalescenti, nella parte superiore dal vapore che derivava dalle fritture appena uscite di padella, nel basso dalla ‘nzogna, il grasso che colava. Per scegliere, si spiava dall’alto, l’unica parte di vetro rimasta linda e che ti permetteva di vedere, e da ragazzo se non eri troppo alto, potevi perderci molto tempo al banco.
Quando entravi, e fuori pioveva, il pavimento che non eri mai riuscito a guardare s’ammorbidiva della segatura che veniva sparsa. Non riuscivi a vedere a più di tre metri, mai il fondo, inghiottito dal buio e da una costante nuvola vaporosa che, nelle sale interne, si faceva ancor più fumosa.
Le rosticcerie erano il contraltare della livella di Totò, dove il cimitero la padella, dove la morte la vita e la frittatina. Si mischiavano in questi luoghi studenti e professori, professionisti e muratori, davanti un arancino o mangiando al volo un piatto di maccheroni.
I modi erano spicci, i decori pure. Dietro la cassa c’era sempre un persona di una certa età, uomo o donna indifferentemente, dall’educazione moderata e di circostanza, ma mai fredda. Alle spalle appeso alla parete un sobrio crocifisso di legno con il Cristo in ottone, ornato dell’argento di un rametto di olivo rinsecchito. Un quadro con la licenza all’esercizio commerciale ingiallita e illeggibile per i timbri e le marche da bollo apposte, la fotografia di una zia, Adelina, Carmelina, matriarca della dinastia e fondatrice della rosticceria e, per i più esuberanti, un ulteriore quadretto votivo con la fotografia di Maradona.
Io ne avevo al Vomero due mie predilette, Lucullo e Imperatore sostituite da un franchising di un marchio di calze e intimi per donna e da un Istituto di credito.
Recentemente, a due passi da bottega, nel punto collinare più alto di Napoli prima di incamminarsi per i Camaldoli, appena passato il largo di Cappella Cangiani, ne ho scovata una che fa una frittatina degna di nota. È di quelle che vogliono stomaci forti, oleosa e saporita. Il locale si chiama Imperatore 2, valga come consiglio per i numerosi medici che frequentano la zona e per gli studenti di medicina e farmacia, e non solo.
Nota dolente, il panino napoletano con i wurstel. Ma oramai mi sono quasi rassegnato all’idea che, presto o tardi, delle rosticcerie di una volta come dell’originale panino napoletano con cicoli e pepe, bisognerà scrivere l’epitaffio.
P.S. Si accettano indicazioni di rosticcerie e frittatine da assaggiare.
Foto 1, tratta dal blog il cucchiaio magico
Foto 2 tratta dal blog Anice e Cannella
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posted by Mauro Erro @ 15:51,
2 Comments:
- At 29 aprile 2011 alle ore 08:59, said...
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Oggi ottime frittatine si possono gustare in molte pizzerie che dispongono della vetrinetta fronte strada.
Pellone a Via Nazionale e Il Pizzaiolo del Presidente in Via Tribunali, ad esempio, solo per ricordare due tra le mie preferite.
Tra le rosticcerie serbo gustosa memoria di quella di Luise a Piazza dei Martiri/Santa Caterina (di fronte la Feltrinelli per intenderci).
Molti validi esercizi resistono e ne aprono altrettanto validi di nuovi.
Insomma una volta tanto mi sento quasi quasi, stranamente, meno pessimista di te.
Buona giornata a tutti
Fabio - At 29 aprile 2011 alle ore 11:46, said...
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bel pezzo.. io sono salernitano, MA ho fatto l'università a napoli, per cui un micro-pezzetto di cuore mi è restato a napoli.
"laa frittaatina!" con la elle e la erre pronunciate dolcemente, era il grido (rivolto alle maestranze in cucina, sottintendendo che ne dovevano friggere ancora) della "signora" che serviva al banco di una rosticceria, sopra la facoltà di architettura.
ma anche al vomero, amici miei mi portavano in due friggitorie, da cui uscivamo unti e felici (correva l'anno 1992).
forse in alcune di queste frittatine c'erano dei ceci, è possibile?
ma perché, io ricordo una vecchietta che girava col passeggino e dentro aveva i tortani coi cigoli. scomparve (o meglio, io nn la vidi più. sempre zona piazza del gesù-monteoliveto, dove me la facevo) tipo l'anno dopo, il 93 o il 94.
g.p.