Chiudi gli occhi
venerdì 15 aprile 2011
Ad un tratto mi sono ritrovato in cima allo scalone della Villa Floridiana al Vomero. Di lì, Napoli si stendeva placida in riva al mare.
Se vi arrivavi di buon mattino, dopo aver camminato a passo raccolto nei viottoli tra i lecci e i platani, i pini e le palme, dopo che avevi stuzzicato il naso attraversando il parco destando l’eccitazione, il senso di libertà e di ribellione soffocati da un bus puzzolente di sudore e borseggiatori che ti aveva portato dalla desolante fermata, fuori la scuola che avevi marinato, lì, in collina, la luce t’inondava riflettendo sulle marmoree scale che precipitavano sino al belvedere costringendoti a chiudere gli occhi.
Il caldo tepore pervadeva le carni, rasserenava i tuoi spiriti provocati dai profumi della primavera che incitava a passeggiate per la città rincorrendo risate e jeans attillati, a tiepide serate di voci e balli in piazza: e quando pian piano riaprivi gli occhi tutto era diverso; il vento suonava le verdi chiome degli alberi un fruscio dolce come un bacio che ti sveglia, schiariva la vista dalle ultime foschie mattutine e Napoli, indolente e silenziosa, accovacciata prendeva colore al sole.
Era il sapore della giusta ragione. Non vi era motivo per chiudersi cinque ore in lividi corridoi tra ragazzi brufolosi e bidelli ricettatori, rubando con desiderosi sguardi un po’ di vita, di tanto in tanto, da una finestrella di un bagno lercio di piscio sfumacchiando una sigaretta.
Quando riapro gli occhi la stessa rinfrancante luce riflette in questi due vini che colmano i calici: l’uno, pallido e vivido, l’altro dorato sfolgorante.
Passo, annusandoli, dall’uno all’altro e laddove combaciano poi curvano, si lasciano, s’allontanano, si ritrovano e vanno ognuno per conto loro.
Non vi è città forse, penso mentre richiudo gli occhi, che, come Napoli, abbia tra le contraddizioni che la tratteggiano, tra un estremo e l’altro infinite sfumature descritte da chi la guarda e la vive.
Attraversata la porta che dall’irrequietezza portava a questa giovanile saggezza, a questa granitica sicurezza, bisognava solo scegliersi il posto giusto, da dove, per almeno un’ora, avresti goduto del sole e dei profumi e del silenzio che pian piano si sarebbe fatto chiassoso di ragazzi saliti al Vomero, ognuno dalla sua desolante fermata del bus fuori scuola, da tutta la città. La giusta angolazione avrebbe permesso di guardare verso la cima delle scale i ragazzi arrivare e adocchiare, ci fosse stata, quella giusta; nel frattempo l’aria si sarebbe profumata di salato e gesso, del sole che batteva sul marmo, l’atmosfera densa ma rarefatta di accenti mediterranei e silvestri si sarebbe ingentilita con le note dei fiori che si schiudevano mostrando i loro grembi invitanti.
Come le fragranze di questi vini.
Era l’attesa che ravvivava nuovamente l’eccitazione prima di quel momento in cui, scelto il modo giusto come si fa con il vino, a fior di labbra o a sorsi generosi, avresti approcciato la prescelta. L’attimo della verità: ripetuto e rivissuto infinite volte e a cui non ti abituerai mai. Quello precedente la battaglia, a cui tornerai quando sentirai di essere nel pieno delle forze per affrontarla. Si tratti di vino o di donne.
Erano quelli i tempi in cui si palesavano le prime verità. Non la spunterai mai, è inutile, ti ripetevi ogni volta, ti girano e fanno di te ciò che vogliono. Il cinismo e il pragmatismo femminile divenivano insensate torture indicibili, coltellate furenti al tuo orgoglio di giovane e invincibile maschio: fare spallucce, un no, uno sfottò di derisione nei casi peggiori erano capaci di provocare rabbia e delusione quanto la disillusione provata all’assaggio di un vino pessimo e ingannatore. Allora come oggi bestemmie e ingiurie sommessamente affermate.
Altre volte ti andava bene.
Uno scorre scivolando senza scalini né intoppi: un sorso ossuto, alpestre e sobrio; il palato al battere della lingua schiocca. L’altro, di contro, deciso e succoso, richiama il primo intingendo la bocca di sale e invitando a ricominciare, dal primo e via così serrando gli occhi, chiudendo asciutto, lasciando la bocca riarsa e nuovamente assetata*.
*Blanc de Morgex et La Salle extreme 2009 Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle; Chablis 2008 Laurent Tribut
Nota: 21 marzo, chiude la Villa Floridiana a tempo indeterminato
a
Il caldo tepore pervadeva le carni, rasserenava i tuoi spiriti provocati dai profumi della primavera che incitava a passeggiate per la città rincorrendo risate e jeans attillati, a tiepide serate di voci e balli in piazza: e quando pian piano riaprivi gli occhi tutto era diverso; il vento suonava le verdi chiome degli alberi un fruscio dolce come un bacio che ti sveglia, schiariva la vista dalle ultime foschie mattutine e Napoli, indolente e silenziosa, accovacciata prendeva colore al sole.
Era il sapore della giusta ragione. Non vi era motivo per chiudersi cinque ore in lividi corridoi tra ragazzi brufolosi e bidelli ricettatori, rubando con desiderosi sguardi un po’ di vita, di tanto in tanto, da una finestrella di un bagno lercio di piscio sfumacchiando una sigaretta.
Quando riapro gli occhi la stessa rinfrancante luce riflette in questi due vini che colmano i calici: l’uno, pallido e vivido, l’altro dorato sfolgorante.
Passo, annusandoli, dall’uno all’altro e laddove combaciano poi curvano, si lasciano, s’allontanano, si ritrovano e vanno ognuno per conto loro.
Non vi è città forse, penso mentre richiudo gli occhi, che, come Napoli, abbia tra le contraddizioni che la tratteggiano, tra un estremo e l’altro infinite sfumature descritte da chi la guarda e la vive.
Attraversata la porta che dall’irrequietezza portava a questa giovanile saggezza, a questa granitica sicurezza, bisognava solo scegliersi il posto giusto, da dove, per almeno un’ora, avresti goduto del sole e dei profumi e del silenzio che pian piano si sarebbe fatto chiassoso di ragazzi saliti al Vomero, ognuno dalla sua desolante fermata del bus fuori scuola, da tutta la città. La giusta angolazione avrebbe permesso di guardare verso la cima delle scale i ragazzi arrivare e adocchiare, ci fosse stata, quella giusta; nel frattempo l’aria si sarebbe profumata di salato e gesso, del sole che batteva sul marmo, l’atmosfera densa ma rarefatta di accenti mediterranei e silvestri si sarebbe ingentilita con le note dei fiori che si schiudevano mostrando i loro grembi invitanti.
Come le fragranze di questi vini.
Era l’attesa che ravvivava nuovamente l’eccitazione prima di quel momento in cui, scelto il modo giusto come si fa con il vino, a fior di labbra o a sorsi generosi, avresti approcciato la prescelta. L’attimo della verità: ripetuto e rivissuto infinite volte e a cui non ti abituerai mai. Quello precedente la battaglia, a cui tornerai quando sentirai di essere nel pieno delle forze per affrontarla. Si tratti di vino o di donne.
Erano quelli i tempi in cui si palesavano le prime verità. Non la spunterai mai, è inutile, ti ripetevi ogni volta, ti girano e fanno di te ciò che vogliono. Il cinismo e il pragmatismo femminile divenivano insensate torture indicibili, coltellate furenti al tuo orgoglio di giovane e invincibile maschio: fare spallucce, un no, uno sfottò di derisione nei casi peggiori erano capaci di provocare rabbia e delusione quanto la disillusione provata all’assaggio di un vino pessimo e ingannatore. Allora come oggi bestemmie e ingiurie sommessamente affermate.
Altre volte ti andava bene.
Uno scorre scivolando senza scalini né intoppi: un sorso ossuto, alpestre e sobrio; il palato al battere della lingua schiocca. L’altro, di contro, deciso e succoso, richiama il primo intingendo la bocca di sale e invitando a ricominciare, dal primo e via così serrando gli occhi, chiudendo asciutto, lasciando la bocca riarsa e nuovamente assetata*.
*Blanc de Morgex et La Salle extreme 2009 Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle; Chablis 2008 Laurent Tribut
Nota: 21 marzo, chiude la Villa Floridiana a tempo indeterminato
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posted by Mauro Erro @ 00:01,