B come Buio (o come Barbera vigne Sichivej)
lunedì 4 aprile 2011
Il buio non è sempre una brutta cosa. C’è la camera oscura e la camera ardente. Il nero (insieme al bianco) della fotografia secondo alcuni è ancora meglio del colore: la gamma espressiva viene affidata alle molteplici sfumature del grigio. Buio dietro alle spalle; oppure davanti a noi, come orizzonte, come prospettiva. E non è detto che sia un male per le nostre città sempre troppo illuminate. Il buio attraversato dai fuochi e dalla luna: le colline di Pavese nelle Langhe. Il buio al cinema e a teatro. Di contro, il buio squarciato dai missili e dalla contraerea che si vede alla TV. Le magiche penombre di certe stanze nella realtà della memoria. La luce triste di cucine e di stanzoni al neon. Il buio della Storia e quello delle cantine dove si elevano i vini.
Basta, si parte.
B come “balle” (bonario):
“Mi è giunta la notizia della morte del padre del presidente degli enotecnici; è stato grande uomo e grande contadino. Di lui ricordo, già con nostalgia, il tradizionale invito alla festa del paese. A capo della tavolata, alla quale riuniva per l’occasione tutta la famiglia e gli amici, stappava con orgoglio bottiglie della sua Barbera di Castagnole Lanze. Con un po’ di provocazione da parte mia, lui asseriva bonario: i figli (enotecnici) avevano solo delle “balle” e una Barbera così non erano capaci di farla”.
Come Barbera, al femminile secondo tradizione; e come Giacomo Bologna: sue le parole che annunciano a Luigi Veronelli la morte di Paolo Rivella.
“Essì che mi commuovo: il grande Vecchio scriveva a chiare lettere, orgoglioso, il suo cru. Maledico le zambrocche officiali di nostra enologia (l’hanno proscritto il cru), bevo la bottiglia, mi rassereno ed esalto: colore rosso rubino ancora saldo (lieve l’unghia giallognola) e brillante; bouquet etereo, serio e completo (sentori di viola appassita, liquerizia di legno, vaniglia e spezie), sapore austero, superbamente tannico e generoso; nerbo vivido in stoffa lunga che si accompagna elegantissima; pieno carattere e razza.
Io non credo, amici figli enotecnici, che abbiate solo “balle”; certo bottiglie così – ci senti, appassionata e prepotente, la presenza dell’uomo “contadino” – difficile, ben difficile, siate capaci, farne.”
Come bottiglia, quella particolare bottiglia, “capolavoro di Barbera Bel-Sit”, che porta il n. 3191 vigne Sichivej vendemmia 1967.
(Il documento, tratto dal numero 673 di Panorama del 13 marzo 1979, è riproposto nella guida “I vini di Veronelli 2001”, sotto la voce Castagnole Lanze (Asti), con un commento: “No comment”.)
La notte di Natale del 1990 anche Giacomo Bologna, Giacù, avrebbe lasciato questo mondo. I suoi vini, e i suoi cru, sono il Bricco della Bigotta, il Bricco dell’Uccellone, l’Ai Suma (per tacere degli altri): “superbi per complessità ed autorevolezza”, secondo Veronelli, che tanto ne amò l’artefice. I due, insieme a Mario Schiopetto e Maurizio Zanella, fecero un viaggio in California, una spedizione enologica, nel 1980. Furono letteralmente sconvolti alla vista di quelle splendide barriqueries, dagli assaggi quasi sempre sorprendenti e dalla conoscenza di André Tschelistcheff, “massimo tra gli enologi del secolo scorso”.
Nell’anno 2000 gli viene dedicata una sala di Palazzo Incisa della Rocchetta. Questa la frase, di Gianni Mura, che compare sull’epigrafe: “Alla memoria di Giacomo Bologna rocchettese d’ingegno pari al cuore, che tanto operò per genti e vigne della sua terra, questa sala è dedicata”.
Dopo una ventina d’anni e la ristrutturazione della cantina e della casa, riprende anche la produzione all’azienda Bel-Sit di Castagnole Lanze. Situato tra la valle del Tanaro e quella del Tinella, il paese ha dato i natali a Giovanni Dalmasso, enologo insigne, animatore della scuola enologica di Conegliano Veneto nella prima metà del Novecento. Nel nome l’eco di antichi castagneti, che un tempo regnavano in questo pezzo di terra, oggi fatto quasi unicamente di vigneti, e dei Marchesi del Monferrato, dei quali fu possedimento sotto Manfredo I Lancia; in seguito Asti ne conquistò la proprietà verso la metà del Duecento, poi i Savoia ai tempi di Emanuele Filiberto.
Quest’anno m’imbatto in una, anzi due bottiglie di Barbera Bel-Sit, riserva Sichivej, 2003. Quel nome mi attraversa come un lampo. Mi vieto, però, di pensare: è ritornato il cru. La giusta attesa, e stappo la prima. Assaggio. Perplesso riassaggio nuovamente dopo qualche giorno. Poi “costringo” Mauro a bere l’altra insieme. Due calici degustativi. Mauro è, giustamente, poco incline a dare giudizi netti, risolutivi. Tessiamo qualche filo, chiacchieriamo. L’estate torrida certo non ha aiutato. La prepotenza alcolica, per così dire, non ingentilisce il sorso. Frutta matura, note scure dal legno. Insomma, quelle cose lì. Altre parole più fluide, serene. Un ultimo sguardo alla bottiglia, prima di salutare. L’etichetta ribadisce: Sichivej, ma si parla di tradizione, di famiglia, di selezione delle uve, di riserva.
A casa cerco qualche altra notizia. Un’enoteca, in Rete, riporta una scheda aziendale.
Riassumo un poco: profumo ricco e inebriante, esaltato dall’affinamento in legno che lo rende ricco e accattivante; gusto vellutato, avvolgente, glicerico, caldo, importante ma caratterizzato da una straordinaria bevibilità; fermentazione a temperatura controllata 35°C, lieviti selezionati, malolattica indotta alla temperatura di oltre 20°C, serie di travasi; barriques da 300 litri di rovere francese, prodotte in Italia con una particolare tostatura suggerita dal cavalier Ezio Rivella; affinamento di circa 9 mesi; imbottigliamento a primavera; abbinamento ai più importanti piatti della cucina mondiale. Certo è una scheda, ma sottolineo: profumo ricco; lo rende ricco (un lapsus?); gusto importante; particolare tostatura suggerita; cucina mondiale. Penso:qui si sente la tecnica esibita, il protocollo, l’io, l’iperbole (e una lingua mica male). Insomma, la mano pesante di Nostra Signora Enologia.
Ancora un documento: l’ultimo. Però bisogna andare a Montalcino.
“Producevo un Barbera, in piccoli fusti: Giacomo Bologna, molto intelligente e amico, vi si è ispirato perfezionandolo con la barrique. Ed è nato il Bricco dell’Uccellone”.
(Il Corriere Vinicolo, anno 74, n.45, del 26 novembre [2001], riportato dalla Guida oro di Veronelli del 2003, dopo la scheda dell’Azienda Banfi.)
Poi ho fatto un sogno. Colline che si muovono, lentamente, danzano formando una specie di anfiteatro. È strano. Sento dei passi, delle voci. Qualcuno mi afferra, mi trascina, mi spinge. Sono rinchiuso nelle segrete di un castello. Cerco una via di scampo. Ci sono tantissime porte a forma di botte, enormi. Cerco di aprirne una. Mi arrampico per trovare la maniglia. Ci riesco, ma un’onda scura, densa mi travolge. Trattengo il respiro. Sono all’aperto, in mare. È immenso. Penso – chissà perché – l’oceano. Nuoto, veloce. Scorgo una tavola da surf. Ci monto su e mi pare di volare: è bellissimo. Ecco una spiaggia, ci arrivo in un baleno. C’è un cartello: “California”, e tanta gente allegra. Un party. Mi muovo tra la folla, mi dirigo verso una specie di teatrino. Fa caldo, ci sono le luci dei riflettori e i flash. Riconosco la scena: c’è un balcone, una bandiera con tre colori. Due bei ragazzi consegnano sul palco delle pergamene. Baci, strette di mano e pacche sulle spalle. Una voce al microfono s’impone. Capisco solo: le comuni radici; i nostri popoli. Mi avvicino ancora e, nel frastuono, distinguo: nel decennale di quel premio di Verona, io vi ripremio, perché non vada perduta la memoria. Si urlano due nomi, ma la folla mi impedisce di sentire. Vedo soltanto, ormai da lontano, un gallo ed una gigantesca B.
La stanza è ancora buia. Poi, piano, piano un po’ di luce comincia a filtrare dalla finestra.
Son desto.
Maurizio Arenare
Immagine d'apertura: Black Form paintings, n. 8, di Mark Rothko, 1964
a
Basta, si parte.
B come “balle” (bonario):
“Mi è giunta la notizia della morte del padre del presidente degli enotecnici; è stato grande uomo e grande contadino. Di lui ricordo, già con nostalgia, il tradizionale invito alla festa del paese. A capo della tavolata, alla quale riuniva per l’occasione tutta la famiglia e gli amici, stappava con orgoglio bottiglie della sua Barbera di Castagnole Lanze. Con un po’ di provocazione da parte mia, lui asseriva bonario: i figli (enotecnici) avevano solo delle “balle” e una Barbera così non erano capaci di farla”.
Come Barbera, al femminile secondo tradizione; e come Giacomo Bologna: sue le parole che annunciano a Luigi Veronelli la morte di Paolo Rivella.
“Essì che mi commuovo: il grande Vecchio scriveva a chiare lettere, orgoglioso, il suo cru. Maledico le zambrocche officiali di nostra enologia (l’hanno proscritto il cru), bevo la bottiglia, mi rassereno ed esalto: colore rosso rubino ancora saldo (lieve l’unghia giallognola) e brillante; bouquet etereo, serio e completo (sentori di viola appassita, liquerizia di legno, vaniglia e spezie), sapore austero, superbamente tannico e generoso; nerbo vivido in stoffa lunga che si accompagna elegantissima; pieno carattere e razza.
Io non credo, amici figli enotecnici, che abbiate solo “balle”; certo bottiglie così – ci senti, appassionata e prepotente, la presenza dell’uomo “contadino” – difficile, ben difficile, siate capaci, farne.”
Come bottiglia, quella particolare bottiglia, “capolavoro di Barbera Bel-Sit”, che porta il n. 3191 vigne Sichivej vendemmia 1967.
(Il documento, tratto dal numero 673 di Panorama del 13 marzo 1979, è riproposto nella guida “I vini di Veronelli 2001”, sotto la voce Castagnole Lanze (Asti), con un commento: “No comment”.)
La notte di Natale del 1990 anche Giacomo Bologna, Giacù, avrebbe lasciato questo mondo. I suoi vini, e i suoi cru, sono il Bricco della Bigotta, il Bricco dell’Uccellone, l’Ai Suma (per tacere degli altri): “superbi per complessità ed autorevolezza”, secondo Veronelli, che tanto ne amò l’artefice. I due, insieme a Mario Schiopetto e Maurizio Zanella, fecero un viaggio in California, una spedizione enologica, nel 1980. Furono letteralmente sconvolti alla vista di quelle splendide barriqueries, dagli assaggi quasi sempre sorprendenti e dalla conoscenza di André Tschelistcheff, “massimo tra gli enologi del secolo scorso”.
Nell’anno 2000 gli viene dedicata una sala di Palazzo Incisa della Rocchetta. Questa la frase, di Gianni Mura, che compare sull’epigrafe: “Alla memoria di Giacomo Bologna rocchettese d’ingegno pari al cuore, che tanto operò per genti e vigne della sua terra, questa sala è dedicata”.
Dopo una ventina d’anni e la ristrutturazione della cantina e della casa, riprende anche la produzione all’azienda Bel-Sit di Castagnole Lanze. Situato tra la valle del Tanaro e quella del Tinella, il paese ha dato i natali a Giovanni Dalmasso, enologo insigne, animatore della scuola enologica di Conegliano Veneto nella prima metà del Novecento. Nel nome l’eco di antichi castagneti, che un tempo regnavano in questo pezzo di terra, oggi fatto quasi unicamente di vigneti, e dei Marchesi del Monferrato, dei quali fu possedimento sotto Manfredo I Lancia; in seguito Asti ne conquistò la proprietà verso la metà del Duecento, poi i Savoia ai tempi di Emanuele Filiberto.
Quest’anno m’imbatto in una, anzi due bottiglie di Barbera Bel-Sit, riserva Sichivej, 2003. Quel nome mi attraversa come un lampo. Mi vieto, però, di pensare: è ritornato il cru. La giusta attesa, e stappo la prima. Assaggio. Perplesso riassaggio nuovamente dopo qualche giorno. Poi “costringo” Mauro a bere l’altra insieme. Due calici degustativi. Mauro è, giustamente, poco incline a dare giudizi netti, risolutivi. Tessiamo qualche filo, chiacchieriamo. L’estate torrida certo non ha aiutato. La prepotenza alcolica, per così dire, non ingentilisce il sorso. Frutta matura, note scure dal legno. Insomma, quelle cose lì. Altre parole più fluide, serene. Un ultimo sguardo alla bottiglia, prima di salutare. L’etichetta ribadisce: Sichivej, ma si parla di tradizione, di famiglia, di selezione delle uve, di riserva.
A casa cerco qualche altra notizia. Un’enoteca, in Rete, riporta una scheda aziendale.
Riassumo un poco: profumo ricco e inebriante, esaltato dall’affinamento in legno che lo rende ricco e accattivante; gusto vellutato, avvolgente, glicerico, caldo, importante ma caratterizzato da una straordinaria bevibilità; fermentazione a temperatura controllata 35°C, lieviti selezionati, malolattica indotta alla temperatura di oltre 20°C, serie di travasi; barriques da 300 litri di rovere francese, prodotte in Italia con una particolare tostatura suggerita dal cavalier Ezio Rivella; affinamento di circa 9 mesi; imbottigliamento a primavera; abbinamento ai più importanti piatti della cucina mondiale. Certo è una scheda, ma sottolineo: profumo ricco; lo rende ricco (un lapsus?); gusto importante; particolare tostatura suggerita; cucina mondiale. Penso:qui si sente la tecnica esibita, il protocollo, l’io, l’iperbole (e una lingua mica male). Insomma, la mano pesante di Nostra Signora Enologia.
Ancora un documento: l’ultimo. Però bisogna andare a Montalcino.
“Producevo un Barbera, in piccoli fusti: Giacomo Bologna, molto intelligente e amico, vi si è ispirato perfezionandolo con la barrique. Ed è nato il Bricco dell’Uccellone”.
(Il Corriere Vinicolo, anno 74, n.45, del 26 novembre [2001], riportato dalla Guida oro di Veronelli del 2003, dopo la scheda dell’Azienda Banfi.)
Poi ho fatto un sogno. Colline che si muovono, lentamente, danzano formando una specie di anfiteatro. È strano. Sento dei passi, delle voci. Qualcuno mi afferra, mi trascina, mi spinge. Sono rinchiuso nelle segrete di un castello. Cerco una via di scampo. Ci sono tantissime porte a forma di botte, enormi. Cerco di aprirne una. Mi arrampico per trovare la maniglia. Ci riesco, ma un’onda scura, densa mi travolge. Trattengo il respiro. Sono all’aperto, in mare. È immenso. Penso – chissà perché – l’oceano. Nuoto, veloce. Scorgo una tavola da surf. Ci monto su e mi pare di volare: è bellissimo. Ecco una spiaggia, ci arrivo in un baleno. C’è un cartello: “California”, e tanta gente allegra. Un party. Mi muovo tra la folla, mi dirigo verso una specie di teatrino. Fa caldo, ci sono le luci dei riflettori e i flash. Riconosco la scena: c’è un balcone, una bandiera con tre colori. Due bei ragazzi consegnano sul palco delle pergamene. Baci, strette di mano e pacche sulle spalle. Una voce al microfono s’impone. Capisco solo: le comuni radici; i nostri popoli. Mi avvicino ancora e, nel frastuono, distinguo: nel decennale di quel premio di Verona, io vi ripremio, perché non vada perduta la memoria. Si urlano due nomi, ma la folla mi impedisce di sentire. Vedo soltanto, ormai da lontano, un gallo ed una gigantesca B.
La stanza è ancora buia. Poi, piano, piano un po’ di luce comincia a filtrare dalla finestra.
Son desto.
Maurizio Arenare
Immagine d'apertura: Black Form paintings, n. 8, di Mark Rothko, 1964
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Etichette: Maurizio Arenare
posted by Mauro Erro @ 03:03,
2 Comments:
- At 4 aprile 2011 alle ore 09:53, Lucio said...
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Fantastico come sempre, Maurizio. Grazie di cuore
- At 4 aprile 2011 alle ore 17:04, Lucio said...
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Dopo averlo riletto aggiungo: Braccia sottratte alla poesia!