Portare Pazienza
martedì 22 marzo 2011
L’altra sera sono andato a cena nel ristorante di un quattro stelle molto bello del centro città. Il solito ristorante d’albergo; primo, secondo e dolce, accompagnati da un paio di calici di vino, l’unico al bicchiere segnalato in carta, fanno 70 euro: in estrema sintesi un autogrill di lusso come ha ben detto una mia commensale all’arrivo dei secondi. Già, i secondi. Una rivisitazione dadaista della frittura, con cubi di pesce spada alla milanese e arancini di riso venere e gamberetti con aggiunta di qualcosa di cioccolatoso.
‘Na schifezza, sempre in estrema sintesi. La panatura della frittura che, alta due centimetri, al primo e solo sfiorare della forchetta cadeva, d’un pezzo, come se fosse l’intonaco di un vecchio palazzo barocco catanese, scoprendo una sorta di ammasso di merluzzo come se si trattasse di un semplice bastoncino findus e non di un’interpretazione, in chiave ittica, del miglior cubismo Picassiano.
Ma a differenza dei fidi Findus almeno i cubi, rotti, erano insapore. Come all’autogrill, appunto.
Sulle palle di riso non vado oltre per preservare la dignità partenopea.
A volte è questione di pazienza, mi son detto, guardando i turisti svedesi, inglesi e tedeschi, clienti dell’albergo, seduti agli altri tavoli.
Eppure basterebbe solo un piccolo sforzo in più, non ci vuole molto mi son ripetuto andando a coricarmi più tardi.
Inutile dire che la mattina dopo mi sono svegliato non solo con un certo languorino, ma anche con un’insoddisfazione di fondo a cui dovevo trovare rimedio.
Pensavo di averne trovati due: Champagne e Chablis.
Champagne Les Grand Nots (2002) Jeaunaux Robin
È Cyril Jeaunaux, dopo gli studi di enologia, a gestire dal 1999 l'azienda di Talus, a sud di Epernay, che i genitori avevano creato nel 1964, ed in breve tempo la ingrandisce dall'ettaro iniziale fino agli attuali 5 ettari per una produzione di circa 30.000 bottiglie.
Zona dove viene coltivato essenzialmente il pinot meunier, la produzione dell’azienda è incentrata per due terzi su questo vitigno, questo Champagne (che reca il millesimo in etichetta dall’annata successiva, la 2003) è un assemblaggio in parti uguali dei tre vitigni chardonnay, pinot nero e pinot meunier, solo tete de cuvè, non filtrato e non dosato.
Ha un profilo olfattivo non del tutto sereno e disteso al primo impatto, che si farà via via più chiaro con l’ossigenazione: apre su una nota minerale rugginosa, poi leggeri tocchi di frutta rossa, un intreccio di erbe aromatiche, fiori bianchi, palpiti balsamici, frutta secca e una mineralità che si fa più composta virando su una nota gessosa. Al palato la bollicina è ancora irruente e spumosa, il sorso di grande impatto, la materia è ricca e densa, dal frutto lineare e polposo, ma il finale ancora tagliente, citrino, bizzoso. Insomma come molti 2002, annata che sembra essere davvero grande per la Champagne, un pargoletto che ancora deve crescere.
Chablis Grand Cru Valmur 2000 Guy Robin
Da tre generazioni la famiglia Robin coltiva 20 ettari di vigneti situati nei più rinomati Grand Cru e 1er Cru. Il domaine, che godeva di buona reputazione negli anni passati, è passato attraverso una fase di decadenza e di abbandono che spesso ha significato difetti di vinificazione e puzzette sgradevoli. Da alcuni anni Maie Ange, dopo il ritiro del padre Guy, ha preso in mano le redini dell’azienda completandone la ristrutturazione avendo iniziato dalle vigne per arrivare alla cantina, ed oggi i vini sono risaliti al vertice della appellation.
Non è la prima bottiglia che bevo, sicuramente l’ultima, ma ha un profilo completamente diverso rispetto alle altre. Stappata non ne vuol sapere di dire nulla al naso. Poi da sfogo a tutta la sua brulicante mineralità di pietra focaia e roccia di imprinting salino, intrecciata a sottili nuance di erbe e spezie, poi gelsomino, poi un candido frutto rugiadoso, quasi timido, s’affaccia.
Al palato questo chardonnay si presenta succoso ed elastico, scorrevole e ritmato, dotato di materia s’allarga occupando con buona, ma non del tutto distesa, articolazione aromatica la bocca, ma nel finale non riesce l’allungo della materia leggermente frenata dalla lama acida.
Buono, ma sa di poco, finisce troppo presto e soprattutto l’apice espressivo di questa bottiglia era ben lontana dall’arrivare.
Niente, bisognava portare pazienza allora, e in ogni caso non mi era andata del tutto male.
Come constatai guardando l’oroscopo, dovevo accontentarmi, in quei giorni era meglio emigrare in un’altra costellazione visto che c’era Saturno o Urano in trigono che con Giove formavano un esagono o qualcosa del genere. E se i 70 euro nell’autogrill di lusso erano ormai andati e l’ultima bottiglia del Valmur di Robin pure, almeno qualche altra bottiglia di Les Grands Nots c’è ancora.
Una buona bottiglia di Champagne condita da quella pazienza, da quell’attesa densa di speranza che t’accompagna fino a quando la stapperai, basta e avanza.
Almeno fino a quando Giove è in trigono, dice.
a
Ma a differenza dei fidi Findus almeno i cubi, rotti, erano insapore. Come all’autogrill, appunto.
Sulle palle di riso non vado oltre per preservare la dignità partenopea.
A volte è questione di pazienza, mi son detto, guardando i turisti svedesi, inglesi e tedeschi, clienti dell’albergo, seduti agli altri tavoli.
Eppure basterebbe solo un piccolo sforzo in più, non ci vuole molto mi son ripetuto andando a coricarmi più tardi.
Inutile dire che la mattina dopo mi sono svegliato non solo con un certo languorino, ma anche con un’insoddisfazione di fondo a cui dovevo trovare rimedio.
Pensavo di averne trovati due: Champagne e Chablis.
Champagne Les Grand Nots (2002) Jeaunaux Robin
È Cyril Jeaunaux, dopo gli studi di enologia, a gestire dal 1999 l'azienda di Talus, a sud di Epernay, che i genitori avevano creato nel 1964, ed in breve tempo la ingrandisce dall'ettaro iniziale fino agli attuali 5 ettari per una produzione di circa 30.000 bottiglie.
Zona dove viene coltivato essenzialmente il pinot meunier, la produzione dell’azienda è incentrata per due terzi su questo vitigno, questo Champagne (che reca il millesimo in etichetta dall’annata successiva, la 2003) è un assemblaggio in parti uguali dei tre vitigni chardonnay, pinot nero e pinot meunier, solo tete de cuvè, non filtrato e non dosato.
Ha un profilo olfattivo non del tutto sereno e disteso al primo impatto, che si farà via via più chiaro con l’ossigenazione: apre su una nota minerale rugginosa, poi leggeri tocchi di frutta rossa, un intreccio di erbe aromatiche, fiori bianchi, palpiti balsamici, frutta secca e una mineralità che si fa più composta virando su una nota gessosa. Al palato la bollicina è ancora irruente e spumosa, il sorso di grande impatto, la materia è ricca e densa, dal frutto lineare e polposo, ma il finale ancora tagliente, citrino, bizzoso. Insomma come molti 2002, annata che sembra essere davvero grande per la Champagne, un pargoletto che ancora deve crescere.
Chablis Grand Cru Valmur 2000 Guy Robin
Da tre generazioni la famiglia Robin coltiva 20 ettari di vigneti situati nei più rinomati Grand Cru e 1er Cru. Il domaine, che godeva di buona reputazione negli anni passati, è passato attraverso una fase di decadenza e di abbandono che spesso ha significato difetti di vinificazione e puzzette sgradevoli. Da alcuni anni Maie Ange, dopo il ritiro del padre Guy, ha preso in mano le redini dell’azienda completandone la ristrutturazione avendo iniziato dalle vigne per arrivare alla cantina, ed oggi i vini sono risaliti al vertice della appellation.
Non è la prima bottiglia che bevo, sicuramente l’ultima, ma ha un profilo completamente diverso rispetto alle altre. Stappata non ne vuol sapere di dire nulla al naso. Poi da sfogo a tutta la sua brulicante mineralità di pietra focaia e roccia di imprinting salino, intrecciata a sottili nuance di erbe e spezie, poi gelsomino, poi un candido frutto rugiadoso, quasi timido, s’affaccia.
Al palato questo chardonnay si presenta succoso ed elastico, scorrevole e ritmato, dotato di materia s’allarga occupando con buona, ma non del tutto distesa, articolazione aromatica la bocca, ma nel finale non riesce l’allungo della materia leggermente frenata dalla lama acida.
Buono, ma sa di poco, finisce troppo presto e soprattutto l’apice espressivo di questa bottiglia era ben lontana dall’arrivare.
Niente, bisognava portare pazienza allora, e in ogni caso non mi era andata del tutto male.
Come constatai guardando l’oroscopo, dovevo accontentarmi, in quei giorni era meglio emigrare in un’altra costellazione visto che c’era Saturno o Urano in trigono che con Giove formavano un esagono o qualcosa del genere. E se i 70 euro nell’autogrill di lusso erano ormai andati e l’ultima bottiglia del Valmur di Robin pure, almeno qualche altra bottiglia di Les Grands Nots c’è ancora.
Una buona bottiglia di Champagne condita da quella pazienza, da quell’attesa densa di speranza che t’accompagna fino a quando la stapperai, basta e avanza.
Almeno fino a quando Giove è in trigono, dice.
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posted by Mauro Erro @ 08:49,