Dom Giuvà 2005, Cirò rosso Classico Superiore, Ducropio

Cirò Marina, le vigne

Dunque: rosso o rosato, artigianale o no, il Cirò è un vino dal gusto piacevolmente asciutto e arguto ma, in rapporto a questo gusto, troppo alcolico: almeno 13,5. In conseguenza, il Cirò tende naturalmente al magro e all’acidulo: insomma, il suo equilibrio pare precario: qualche banale incidente, un trasporto improvviso durante una giornata di calore, una permanenza di mezzoretta al sole sull’angolo di un ballatoio, può rovinarlo senza rimedio: anche se genuino, diventa aspro, non lo si può bere. Che cosa hanno pensato, allora, i vinificatori ufficiali e medagliati? Cercano, con mescolanze e accorgimenti vari, di creare un prodotto più stabile e meno delicato. Ma il risultato rimanda ai vini di California. Guadagnano in resistenza e perdono in qualità. Ciò che resiste agli sbalzi del clima o dell’ambiente non è il sapore naturale, il guizzo vivo e pungente del Cirò, ma qualcosa di metallico, liscio e inerte, qualcosa tra l’aperitivo e la lozione. Quindici sono i nomi delle ditte che non devo visitare a Cirò. Mi ero chiesto dove sarei andato a sbattere. E avevo risolto il problema nel modo più semplice: telefonando all’Ispettorato agrario di Cirò Marina, e avertendo della mia visita. Mi presento adesso all’Ispettore. E lui si presenta a me: “Giovanni Ippolito, dottore in agraria…”.

Autunno 1975, Mario Soldati, Vino al Vino


Giovanni Ippolito è colui che ha scritto gran parte dell’originario disciplinare di produzione della prima doc del sud-Italia. Proprio in questi giorni, a ridosso del Vinitaly di un anno fa, il medico del letame (Deu cròpio, metatesi dal greco), il dottore in Agraria appunto, ci lasciava.
Continua il lavoro di questa azienda Giuseppe, Seppetto per gli amici, il figlio che, si spera, da quest’anno, dovrebbe ultimare i lavori della sua nuova cantina. Ad oggi i vini – due, questo e il Serra Sanguigna, uvaggio di Gaglioppo, Malvasia nera e Greco Nero – sono stati vinificati presso i cugini della cantina Ippolito 1845. Una vinificazione ed un’interpretazione diversa del Gaglioppo rispetto, per capirci, a quelle dei Librandi e di Francesco De Franco, con una macerazione più lunga (20 giorni, cappello sommerso) per realizzare un vino capace di durare nel tempo tirando fuori un’anima inaspettata.
L’affinamento in vetro ha sicuramente giovato a questo vino, ad esempio, che ho riassaggiato dopo la sua uscita e di cui ho potuto apprezzare soprattutto l’ecletticità. Già perché, non solo ha accompagnato meravigliosamente un pranzo a base di pasta al forno e roastbeef con un palato saldo, maschio, saporito e salato, anche se leggermente segnato da una derapata alcolica nel finale, ma mi ha accompagnato anche la sera, mentre ascoltavo un po’ di musica, come vino da meditazione, con le sue note di frutta di ciliegia in confettura, le divagazioni di erbe aromatiche e il l’imprinting balsamico che sollevava, dandogli slancio, il profilo olfattivo del vino.
Un gran bel vino, di quella Cirò che forse non t’aspetti, ma capace di regalarti autentici racconti di luoghi e persone meravigliose.
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posted by Mauro Erro @ 11:49,

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