Questo mio vino...

“Questo mio vino… non mi pongo mai il problema di come sarà alla fine, anno dopo anno; io penso alle cose nel momento stesso in cui devo farle, giorno dopo giorno. Vorrei lasciarlo più libero, questo sì, col tempo sto diventando più pigra. O forse è solo paura.”

Bottiglia aperta una settimana prima, giusto il tempo di capire che il tappo era a posto, che di vino sul tavolo ce n’era già troppo e che riportarla in cantina per sentirla con calma non sarebbe stato un cattivo pensiero.

Una settimana dopo, serata freddissima, qualcosa di bello da festeggiare con semplicità.

Su questa tovaglia a quadretti impossibile metterci un riesling (non so che mangiarci coi riesling, non lo capirò mai: troppo dolci sul salato e troppo acidi sul dolce, coi formaggi non ce li vedo e la cucina orientale non la so fare; ce li ho solo perché talmente bevibili da bastare a se stessi).
Su questa tovaglia – dicevo - ci vuole dell’altro. La bottiglia lasciata in cantina col tappo a mezz’asta sarà perfetta.

“Questo mio vino…”

Granato caldo e trasparente.

Impatto al naso dolce, profondo, aleggia la complessità chiaroscurale di un acquerello.
Salgono ricordi precisi di resina, cacao, legno di sandalo, arancia, carne arrosto.
C’è un’anima dura che la discrezione dissimula ma non soffoca; basta solo ascoltare per metterne a fuoco il timbro riservato, ombroso di cenere, sigaro, liquirizia e fiori secchi.
La classicità dei profumi è resa speciale dalla scioltezza con cui essi si accordano e fondono, quasi che a ritmarne la danza sia il loop trasognato di un carillon invisibile.

In bocca è secco, lineare, non ha l’allungo rabbioso delle versioni recenti (la vigna era un’altra, immagino conti) ma è vivido di sale e di tannino.
C’è polpa e coesione, nessuna stanchezza, l’energia trattenuta sulla lingua scioglie le briglie dopo il sorso, quando i rimandi di funghi, agrumi e rosmarino cesellano con stile i contorni di un finale acuto e schioccante.

Che vino.
Il magnetismo non urlato che sempre lo distingue trova qui un’ampiezza mai sentita nelle frementi riuscite degli anni successivi, non meno appassionate ma ancora bisognose di smaltire sotto vetro un innato sovraccarico di cultura e libertà.
Sì, perché questo è un vino libero e colto, dunque poco incline a farsi amare al primo sguardo e tanto meno a farsi amare da tutti.
Un vino che trae vita anno dopo anno da mani amorevoli e consapevoli, mosse da un affetto così complice da farlo sembrare avvinto a quelle stesse mani da un rapporto di derivazione filiale, prima ancora che agricola.

Chianti Classico “Le Trame” 1997, Podere Le Boncie

Giampiero Pulcini
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posted by Mauro Erro @ 11:07,

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