Grands Echezeaux Grand Cru 2001, Domaine Renè Engel
lunedì 21 febbraio 2011

Come rapito fu il cuore di chi me l’offre che mi guarda con occhi innamorati: li gira verso la sua bella, la bottiglia lì sul tavolo, e mi riguarda.
Mi capisci?
Lo capirò? Mi chiedo.
Renè Engel, Grands Echezeaux 2001.
Vino prezioso questo. Raro, perché dalla scomparsa di Philippe Engel il piccolo Domaine non esiste più. Un amore destinato a morire – eros e thanatos nel loro continuo intreccio – e che vivrà di soli ricordi quindi, stavolta come non mai.
Lo annuso.
È di suadente dolcezza; ti pervade un caldo tepore cordiale, come il maglione della nonna, imperfetto in qualche punto qua e là*, t’abbraccia ospitale come nessun altro. È di evidente nitore tanto da togliere il fiato; lo attraversa una solarità manifesta che sa di lavanda a pennellate, tratti di immediata suggestione visiva, di cromaticità abbacinante, di sfavillante brillio e movimento: uno squarcio di Provenza impressionista illuminata dal sole; distese di lavanda, il glicine, tocchi balsamici di respiro mediteranno e ancora fiori, più o meno freschi, i cui profumi ti investono come se stessi attraversando di corsa, con ardore, quell’orizzonte ritratto.
Lampone maturo. Un tocco dolce e gentile di legno di sandalo.
Lo guardo, il mio amico, tra la folla.
Grazie. Grazie assaje gli sto dicendo.
Dovremmo essere soli. Così denso e intenso questo racconto da meritare maggiore pudore, maggiore intimità e parole sussurrate.
È una narrazione che corre e si snoda per ore e tale l’intensità di ogni battuta, che se ne ricava un’immagine che si rinnova e splende ogni volta per cristallina chiarezza: sa di terra e di humus, di muschio, è picchiettato di melograno, di biscotto dolce e fragrante.
Adesso ti capisco, gli dico di nuovo con gli occhi.
Lo assaggio.
Sarà capitato a tutti voi una cosa del genere. Qualcosa di simile, quantomeno.
Sta arrivando la metropolitana. Si ferma. Si aprono le porte e le persone scendono, ricevete qualche spallata, mentre aspettate di poter salire. Alzate la testa e bam. Di colpo.
Non importa cosa avete visto, ma l’immagine è così immediata e di tale forza e intensità da rimanere bloccati, immobili, da non riuscire a muoversi; di tal pienezza da occupare tutto il vostro campo visivo, prendersi tutta la vostra attenzione.
Poi suona un campanello, si chiudono le porte, e la metropolitana corre via veloce.
Rimanete lì un attimo, avete ancora l’immagine impressa nella vostra mente.
Poi vi abbandonate, il sangue riprende a scorrere nelle vene, continua la vostra vita.
È finita troppo presto. Troppo, troppo presto, pensate.
Vi sedete e aspettate la prossima sperando che arrivi il prima possibile.
* copyright dell’amico.
a
posted by Mauro Erro @ 02:37,
6 Comments:
- At 21 febbraio 2011 alle ore 23:36, Unknown said...
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Mauro, davvero: non ho mai letto una recensione così bella di un vino, così poetica, così emozionante.
Lo penso di molti post, di molti pezzi, da Porthos, ad altri blog: ma questa volta meriti davvero questi miei complimenti sinceri: è una descrizione splendida. Spero di trovarne una bottiglia, un giorno, e potermi commuovere ritrovando queste parole. - At 22 febbraio 2011 alle ore 08:53, Mauro Erro said...
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Grazie. Troppo buono (come il vino) :-)
- At 22 febbraio 2011 alle ore 11:03, said...
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Uno scritto di qualità, ritmo e tensione rarissimi, almeno nel settore; molti complimenti.
- At 23 febbraio 2011 alle ore 10:36, Mauro Erro said...
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;-O
Grazie esimio ;-) - At 2 marzo 2011 alle ore 18:56, said...
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Mi accodo ad Armando ed Andrea.
Rarissimo, e memorabile, lo scritto. Dunque, anche il vino. - At 2 marzo 2011 alle ore 19:03, Mauro Erro said...
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e l'amico.
Grazie tante, Luca.