Dissesti culinari
domenica 2 gennaio 2011
foto via Bbc
N.B. per chi va e presso consiglio di arrivare direttamente alla fine dello scritto dove c’è l’asterisco.
Forse ce l’abbiamo quasi fatta. Rimangono gli stravizi che ci aspettano per il giorno dell’Epifania e poi sarà tutto finito. Passeranno anche le indigestioni per le centinaia e centinaia di calorie ingurgitate e rimarremo da soli con i nostri chili di troppo, protagonisti assoluti delle nostre prossime settimane quando, tra una rivista e l’altra, vaglieremo il modo migliore per liberarcene.
Quanto abbiamo mangiato?
Secondo una stima della Coldiretti per Natale avremmo acquistato prodotti alimentari tipici per più di 2 miliardi di euro, effetto della tendenza verso le genuinità da mangiare e bere.
Abbiamo rinunciato a molto ma non a rimpinzarci di cibo, quasi fosse un atto per esorcizzare guai e problemi che non mancano di certo al nostro paese in questo periodo.
Il settore alimentare è uno di quelli che ha maggiormente retto all’impatto della crisi, il dato dovrebbe recitare un “confortante” meno 2%. Niente a che vedere, ovviamente, con il + 3% che registrerà il comparto dell’elettronica di consumo.
Questo mio Natale trascorso con i familiari – le vere riserve auree del paese, in tutti i sensi – hanno avuto spesso lo stesso tema sviscerato intorno ad una tavola ben imbandita: la crisi – economica, politica, generazionale – e due modi per esorcizzarla: cibo e elettronica e le due cose coincidono anche metaforicamente se parliamo dell’Apple di Steve Jobs con la sua mela tentatrice che s’illumina, appena mordicchiata da noi Eva del contemporaneo.
Durante uno degli infiniti pranzi delle feste una mia nipotina sedicenne litigava con i genitori rei di non averla accontentata (ancora) e di non averle regalato un Iphone 4.
Euro seicento, spicciolo più, spicciolo meno.
La cassa integrazione di un operaio della Fiat, spicciolo più, spicciolo meno.
Non c‘è nessun giudizio morale o etico da esprimere piuttosto mi ritornano le domande che mi facevo mentre assistevo alla scena. Quanto resisteranno i due malcapitati genitori? Quanto è vitale l’Iphone 4 per la mia nipotina?
Non c’è ombra di dubbio che Steve Jobbs, Mark Zuckerberg con il loro gruppetto di guru sono i personaggi dell’anno (del decennio) perché stanno cambiando il mondo più di qualunque altro politico, associazione o lobby e lo stanno facendo ad una velocità impressionante.
Cambiano le nostre abitudini, priorità, il nostro modo di comunicare e di relazionarci.
Cambia la velocità del nostro agire, un piede sempre schiacciato sull’acceleratore.
Perdono di significato alcuni termini come riattare, recuperare, riparare, ripristinare.
Quanto tempo conserviamo le nostre foto prima di gettarle insieme al computer o perderle per un cortocircuito mentre gli album dei nostri genitori resistono sulla mensola in soggiorno?
Quanto ci dura un cellulare prima di cambiarlo? Un computer portatile? Un paio di scarpe e un maglione?
Quante battute posso scrivere in un tweet? Quante in un sms?
Sono domande che sempre più spesso mi faccio quando passo il mio tempo su internet alla ricerca di spunti interessanti che, diciamocelo francamente, spesso non trovo. Ed è proprio colpa dello strumento: sintesi, estrema sintesi è spesso sinonimo di banalità.
Molto meglio i libri. O gli ebook?
Ah, tanto per essere franchi, quanto pessimo cibo ci capita di addentare nei nostri giri tra parenti e amici in questi giorni festivi?
Tanto.
Rispetto a 20 o 30 anni fa la qualità del cibo e dell’offerta è migliorata o peggiorata? I consumatori sono più preparati o alla fine il palato è stato completamente piallato da Mamma Ipermercato?
Questione di bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.
Ciò che rimane come un dato costante nel tempo è che le differenze tra classi sociali sempre più si esprimono nella qualità del cibo che viene mangiato piuttosto che nell’avere l’automobile, il televisore ultrapiatto o il telefonino alla moda.
I veri ricchi sono quelli che mangiano fresco, di stagione e ben cucinato. Tutti gli altri sono 4 salti in padella cucinati secondo la Parodi di Cotto e Mangiato.
Quanta consapevolezza ci sia in questi ricchi rispetto agli aristocratici rinascimentali che mangiavano fragole fuori stagione non saprei dire. Con buone probabilità i nostri “aristocratici” sono gli ultra cafonal di D’agostino e si dedicano molto più ai Suv e all’Iphone.
E la mia nipotina sa riconoscere la differenza tra una buona pizza e una pizza indigesta così come riconosce la differenza tra un Macbook Pro da uno normale?
Così arriviamo alla conclusione e spieghiamo la foto che apre questo resoconto. È la mia foto dell’anno trascorso; un indiano (presumibilmente) in una delle grandi megalopoli (presumibilmente) è fermo appoggiato su un carretto che trasporta carta e videocassette (ormai desueti) mentre il mondo scorre veloce dietro di lui.
Due cose ho notato in questo Natale. La prima è la sensazione di spaesamento che si esprimeva attraverso il viso e gli occhi delle persone, argomento di cui si occupa e si occuperà la sociologia per tanto tempo così come se ne occupò dopo la rivoluzione industriale perché anche il più semplice e stupido ammennicolo come il decoder può diventare una trappola mortale per nostra zia.
Quanto alla mia generazione è meglio glissare.
La seconda è come questo senso di spaesamento si stemperasse e si dissolvesse con il cibo.
Il Natale è le lunghe e lente tavolate, le lunghe e lente cotture, le lunghe disquisizioni e le risate in compagnia. Il completo estraniamento per un certo numero di giorni alla frenesia di questa realtà.
Il cibo e la sua cultura vanno nella direzione opposta in cui sembra andare questo mondo ed è forse per questo che spesso e volentieri mal si adattano al fast del web stesso.
Allora non rimane che augurarmi e augurarvi attimi di pausa e consapevolezza, di serenità per questo 2011.
Fermarsi a pensare non è peccato.
Farlo mangiando (senza inutili sprechi) semplicemente godurioso.*
* A proposito, in questo periodo di bis/bocce ho molto apprezzato lo Champagne di Pierre Peters Les Chettilons 2002, uno chardonnay in purezza da vecchie piante di 75 anni del comune di Mesnil sur Oger. Discreta finezza al naso e palato leggero ma fragrante e teso, giustamente asciutto nel finale. Da bere.
Molto buono anche il Morgon dell’azienda Terres Dorées di Jean Paul Brun dell’annata 2008. Gamay in purezza del Beaujolais da vecchie piante 55enni. Servitelo in calici abbastanza ampi per farlo respirare e godere delle sfumature odorose di terra, frutta scura, spezie, dei suoi tratti mediterranei e olivastri. In bocca è facile da bere ma non semplice, né banale. Bellissima la sequenza degli aromi fruttati dopo la deglutizione che ritornano continuamente.
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Forse ce l’abbiamo quasi fatta. Rimangono gli stravizi che ci aspettano per il giorno dell’Epifania e poi sarà tutto finito. Passeranno anche le indigestioni per le centinaia e centinaia di calorie ingurgitate e rimarremo da soli con i nostri chili di troppo, protagonisti assoluti delle nostre prossime settimane quando, tra una rivista e l’altra, vaglieremo il modo migliore per liberarcene.
Quanto abbiamo mangiato?
Secondo una stima della Coldiretti per Natale avremmo acquistato prodotti alimentari tipici per più di 2 miliardi di euro, effetto della tendenza verso le genuinità da mangiare e bere.
Abbiamo rinunciato a molto ma non a rimpinzarci di cibo, quasi fosse un atto per esorcizzare guai e problemi che non mancano di certo al nostro paese in questo periodo.
Il settore alimentare è uno di quelli che ha maggiormente retto all’impatto della crisi, il dato dovrebbe recitare un “confortante” meno 2%. Niente a che vedere, ovviamente, con il + 3% che registrerà il comparto dell’elettronica di consumo.
Napoli, foto di Elisabeth Wallays
Questo mio Natale trascorso con i familiari – le vere riserve auree del paese, in tutti i sensi – hanno avuto spesso lo stesso tema sviscerato intorno ad una tavola ben imbandita: la crisi – economica, politica, generazionale – e due modi per esorcizzarla: cibo e elettronica e le due cose coincidono anche metaforicamente se parliamo dell’Apple di Steve Jobs con la sua mela tentatrice che s’illumina, appena mordicchiata da noi Eva del contemporaneo.
Durante uno degli infiniti pranzi delle feste una mia nipotina sedicenne litigava con i genitori rei di non averla accontentata (ancora) e di non averle regalato un Iphone 4.
Euro seicento, spicciolo più, spicciolo meno.
La cassa integrazione di un operaio della Fiat, spicciolo più, spicciolo meno.
Non c‘è nessun giudizio morale o etico da esprimere piuttosto mi ritornano le domande che mi facevo mentre assistevo alla scena. Quanto resisteranno i due malcapitati genitori? Quanto è vitale l’Iphone 4 per la mia nipotina?
Non c’è ombra di dubbio che Steve Jobbs, Mark Zuckerberg con il loro gruppetto di guru sono i personaggi dell’anno (del decennio) perché stanno cambiando il mondo più di qualunque altro politico, associazione o lobby e lo stanno facendo ad una velocità impressionante.
Cambiano le nostre abitudini, priorità, il nostro modo di comunicare e di relazionarci.
Cambia la velocità del nostro agire, un piede sempre schiacciato sull’acceleratore.
Perdono di significato alcuni termini come riattare, recuperare, riparare, ripristinare.
Quanto tempo conserviamo le nostre foto prima di gettarle insieme al computer o perderle per un cortocircuito mentre gli album dei nostri genitori resistono sulla mensola in soggiorno?
Quanto ci dura un cellulare prima di cambiarlo? Un computer portatile? Un paio di scarpe e un maglione?
Quante battute posso scrivere in un tweet? Quante in un sms?
Sono domande che sempre più spesso mi faccio quando passo il mio tempo su internet alla ricerca di spunti interessanti che, diciamocelo francamente, spesso non trovo. Ed è proprio colpa dello strumento: sintesi, estrema sintesi è spesso sinonimo di banalità.
Molto meglio i libri. O gli ebook?
Ah, tanto per essere franchi, quanto pessimo cibo ci capita di addentare nei nostri giri tra parenti e amici in questi giorni festivi?
Tanto.
Rispetto a 20 o 30 anni fa la qualità del cibo e dell’offerta è migliorata o peggiorata? I consumatori sono più preparati o alla fine il palato è stato completamente piallato da Mamma Ipermercato?
Questione di bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.
Ciò che rimane come un dato costante nel tempo è che le differenze tra classi sociali sempre più si esprimono nella qualità del cibo che viene mangiato piuttosto che nell’avere l’automobile, il televisore ultrapiatto o il telefonino alla moda.
I veri ricchi sono quelli che mangiano fresco, di stagione e ben cucinato. Tutti gli altri sono 4 salti in padella cucinati secondo la Parodi di Cotto e Mangiato.
Quanta consapevolezza ci sia in questi ricchi rispetto agli aristocratici rinascimentali che mangiavano fragole fuori stagione non saprei dire. Con buone probabilità i nostri “aristocratici” sono gli ultra cafonal di D’agostino e si dedicano molto più ai Suv e all’Iphone.
E la mia nipotina sa riconoscere la differenza tra una buona pizza e una pizza indigesta così come riconosce la differenza tra un Macbook Pro da uno normale?
Così arriviamo alla conclusione e spieghiamo la foto che apre questo resoconto. È la mia foto dell’anno trascorso; un indiano (presumibilmente) in una delle grandi megalopoli (presumibilmente) è fermo appoggiato su un carretto che trasporta carta e videocassette (ormai desueti) mentre il mondo scorre veloce dietro di lui.
Due cose ho notato in questo Natale. La prima è la sensazione di spaesamento che si esprimeva attraverso il viso e gli occhi delle persone, argomento di cui si occupa e si occuperà la sociologia per tanto tempo così come se ne occupò dopo la rivoluzione industriale perché anche il più semplice e stupido ammennicolo come il decoder può diventare una trappola mortale per nostra zia.
Quanto alla mia generazione è meglio glissare.
La seconda è come questo senso di spaesamento si stemperasse e si dissolvesse con il cibo.
Il Natale è le lunghe e lente tavolate, le lunghe e lente cotture, le lunghe disquisizioni e le risate in compagnia. Il completo estraniamento per un certo numero di giorni alla frenesia di questa realtà.
Il cibo e la sua cultura vanno nella direzione opposta in cui sembra andare questo mondo ed è forse per questo che spesso e volentieri mal si adattano al fast del web stesso.
Allora non rimane che augurarmi e augurarvi attimi di pausa e consapevolezza, di serenità per questo 2011.
Fermarsi a pensare non è peccato.
Farlo mangiando (senza inutili sprechi) semplicemente godurioso.*
* A proposito, in questo periodo di bis/bocce ho molto apprezzato lo Champagne di Pierre Peters Les Chettilons 2002, uno chardonnay in purezza da vecchie piante di 75 anni del comune di Mesnil sur Oger. Discreta finezza al naso e palato leggero ma fragrante e teso, giustamente asciutto nel finale. Da bere.
Molto buono anche il Morgon dell’azienda Terres Dorées di Jean Paul Brun dell’annata 2008. Gamay in purezza del Beaujolais da vecchie piante 55enni. Servitelo in calici abbastanza ampi per farlo respirare e godere delle sfumature odorose di terra, frutta scura, spezie, dei suoi tratti mediterranei e olivastri. In bocca è facile da bere ma non semplice, né banale. Bellissima la sequenza degli aromi fruttati dopo la deglutizione che ritornano continuamente.
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posted by Mauro Erro @ 13:14,