Di Pietro, antica trattoria a Melito Irpino
venerdì 14 gennaio 2011
Il tempo sembra fermarsi, l’olfatto e il gusto ritrovano sensazioni riposte in cassetti remoti, ma mai dimenticate, la mente vaga, il sorriso è presente e la piacevolezza tanta. Luogo riservato a chi non ha fretta, ma ha tempo da dedicare a quello che presto e sicuramente diventerà un piacevole ricordo: l’Antica Trattoria Di Pietro a Melito Irpino è un indirizzo da segnare in agenda.
Arrivarci non è difficile, il luogo è un po’anonimo, porta il segno dei tanti paesi distrutti da un terremoto e “ricostruiti” alla meno peggio. L’insegna del ristorante è senza pretese, il palazzo che lo ospita anche, ma non appena si varca la soglia le lancette dell’orologio cominciano ad andare indietro a tutta velocità. Ci accoglie Crescenzo, detto Enzo, occhi dolci e barba lunga, mentre da lontano si intravede "don Pasquale", il papà, classe 1921, grembiule e coppola indossati con uguale disinvoltura, non prossimo alla pensione – “Ho vissuto in Sud Africa, dove ci sono l’oro e i diamanti, che ne potete sapere voi”. – ci informa. Ci sediamo e ci perdiamo nel nostro personalissimo caleidoscopio di sensazioni dettate dal sapore dei piatti e dai loro profumi, dalle parole di Enzo e da quelle dei commensali vicini, viandanti o gente del posto che disegnano superbamente un quadro dalla cornice antica e da ogni angolino del ristorante dove trovano collocamento, contemporaneamente, ricordi e consapevolezza di un mestiere e di una terra. Un mestiere che nasce nel 1934 nel paese antico ad opera di Carmine, nonno di Crescenzo, quando Mussolini stabilisce che bisogna assicurare un piatto caldo al giorno alle puerpere. A spese dello stato fascista Carmine Di Pietro provvede alle future mamme, fino a quando a farlo di lì a poco saranno le suore e Di Pietro diventa una piccola pensione per i maestri di scuola. Si arriva al 1974, nonno Carmine non c’è più e l’attività viene trasferita a Melito Irpino nuova, da pizzeria a osteria il passo è breve. Le paste fatte in casa come il ragù di agnello, le carni - agnello, maiale, vitello, pollo, coniglio - nelle varie cotture, la minestra maritata, i legumi, le patate e le verdure di stagione sono i pilastri della cucina della trattoria, intramontabili con il passare del tempo e delle generazioni, anzi arricchiti dall’esperienza e dalla conoscenza del territorio.
Qui si mangia la tradizione nella sua veste nuda e cruda, senza rivisitazioni, ma, magari, interpretazioni personali dei piatti di sempre. La minestra maritata stupirà quanti della mia generazione o della precedente (naturalmente campani come me) abbiano avuto una mamma o una nonna il cui scopo primario fosse sfamare i propri figli e nipoti. Quella minestra maritata, preparata oggi da Teresa, moglie di Crescenzo, ve le riporterà in vita insieme a strane percezioni neonatali. Verdure di campo, scarola, cardi selvatici, cicoria ecc insaporite dai pezzi di salsiccia, di cotica, di prosciutto e piedini di maiale e trasformate in minestra rappresentano la quintessenza della tradizione popolare campana che può lasciare interdetto anche chi non ha avuto natali in questa terra. Prima di questo ci eravamo ampiamente sollazzati con i salumi (del salumificio Cillo di Airola in provincia di Benevento): salsiccia di maialino nero casertano e prosciutto crudo accompagnati da zucca in agrodolce e melanzane alla griglia, bruschette al pomodoro con olio Ravece, focacce bianche al rosmarino e rosse con origano e pomodorini, alla maniera antica, cotte in teglia e davvero superbe! A seguire cicatielli con i broccoli, pasta fresca della tradizione contadina, pezzetti di pasta “strappati” dall’impasto e letteralmente “accecati”con foga dall’indice e dal medio della mano; carne di maiale con le papaccelle (peperoni sott’aceto) e ampia selezione di formaggi, molti dei quali presidi Slow Food.
Per concludere il mitico croccante alle mandorle, specialità della cuoca e i cioccolatini fatti in casa, praticamente una droga. Tutto inframmezzato dai racconti di Crescenzo e dagli inviti dei vicini di tavolo a condividere bicchieri di vino e gioia di trovarsi nello stesso posto. La carta dei vini, che per certi versi rappresenta uno specchietto per le allodole oppure quello dell’attuale crisi economica (in quanto l’aggiornamento di un tempo è praticamente impossibile) nasconde un’idea di base non banale soprattutto per una trattoria, con un fuori carta regionale interessante e alcune notevoli proposte fuori regione, soprattutto piemontesi.
Ore 18.00: il tempo è letteralmente scivolato senza accorgercene, avevamo preso possesso del tavolo alle 14.00. L’epilogo di una giornata piacevole però coincide quasi sempre anche con riflessioni amare, in questo caso la consapevolezza di essere ingrassati di due chili e quella di un tempo che fu e che oggi non è più, contaminato dall’incertezza di un futuro non facile e promettente. Noi ci auguriamo di tornare presto a fare visita alla famiglia Di Pietro a Melito Irpino e speriamo che il futuro non cambi di una virgola questo piccolo e grande angolo di piacere.
Arrivarci non è difficile, il luogo è un po’anonimo, porta il segno dei tanti paesi distrutti da un terremoto e “ricostruiti” alla meno peggio. L’insegna del ristorante è senza pretese, il palazzo che lo ospita anche, ma non appena si varca la soglia le lancette dell’orologio cominciano ad andare indietro a tutta velocità. Ci accoglie Crescenzo, detto Enzo, occhi dolci e barba lunga, mentre da lontano si intravede "don Pasquale", il papà, classe 1921, grembiule e coppola indossati con uguale disinvoltura, non prossimo alla pensione – “Ho vissuto in Sud Africa, dove ci sono l’oro e i diamanti, che ne potete sapere voi”. – ci informa. Ci sediamo e ci perdiamo nel nostro personalissimo caleidoscopio di sensazioni dettate dal sapore dei piatti e dai loro profumi, dalle parole di Enzo e da quelle dei commensali vicini, viandanti o gente del posto che disegnano superbamente un quadro dalla cornice antica e da ogni angolino del ristorante dove trovano collocamento, contemporaneamente, ricordi e consapevolezza di un mestiere e di una terra. Un mestiere che nasce nel 1934 nel paese antico ad opera di Carmine, nonno di Crescenzo, quando Mussolini stabilisce che bisogna assicurare un piatto caldo al giorno alle puerpere. A spese dello stato fascista Carmine Di Pietro provvede alle future mamme, fino a quando a farlo di lì a poco saranno le suore e Di Pietro diventa una piccola pensione per i maestri di scuola. Si arriva al 1974, nonno Carmine non c’è più e l’attività viene trasferita a Melito Irpino nuova, da pizzeria a osteria il passo è breve. Le paste fatte in casa come il ragù di agnello, le carni - agnello, maiale, vitello, pollo, coniglio - nelle varie cotture, la minestra maritata, i legumi, le patate e le verdure di stagione sono i pilastri della cucina della trattoria, intramontabili con il passare del tempo e delle generazioni, anzi arricchiti dall’esperienza e dalla conoscenza del territorio.
Qui si mangia la tradizione nella sua veste nuda e cruda, senza rivisitazioni, ma, magari, interpretazioni personali dei piatti di sempre. La minestra maritata stupirà quanti della mia generazione o della precedente (naturalmente campani come me) abbiano avuto una mamma o una nonna il cui scopo primario fosse sfamare i propri figli e nipoti. Quella minestra maritata, preparata oggi da Teresa, moglie di Crescenzo, ve le riporterà in vita insieme a strane percezioni neonatali. Verdure di campo, scarola, cardi selvatici, cicoria ecc insaporite dai pezzi di salsiccia, di cotica, di prosciutto e piedini di maiale e trasformate in minestra rappresentano la quintessenza della tradizione popolare campana che può lasciare interdetto anche chi non ha avuto natali in questa terra. Prima di questo ci eravamo ampiamente sollazzati con i salumi (del salumificio Cillo di Airola in provincia di Benevento): salsiccia di maialino nero casertano e prosciutto crudo accompagnati da zucca in agrodolce e melanzane alla griglia, bruschette al pomodoro con olio Ravece, focacce bianche al rosmarino e rosse con origano e pomodorini, alla maniera antica, cotte in teglia e davvero superbe! A seguire cicatielli con i broccoli, pasta fresca della tradizione contadina, pezzetti di pasta “strappati” dall’impasto e letteralmente “accecati”con foga dall’indice e dal medio della mano; carne di maiale con le papaccelle (peperoni sott’aceto) e ampia selezione di formaggi, molti dei quali presidi Slow Food.
Per concludere il mitico croccante alle mandorle, specialità della cuoca e i cioccolatini fatti in casa, praticamente una droga. Tutto inframmezzato dai racconti di Crescenzo e dagli inviti dei vicini di tavolo a condividere bicchieri di vino e gioia di trovarsi nello stesso posto. La carta dei vini, che per certi versi rappresenta uno specchietto per le allodole oppure quello dell’attuale crisi economica (in quanto l’aggiornamento di un tempo è praticamente impossibile) nasconde un’idea di base non banale soprattutto per una trattoria, con un fuori carta regionale interessante e alcune notevoli proposte fuori regione, soprattutto piemontesi.
Ore 18.00: il tempo è letteralmente scivolato senza accorgercene, avevamo preso possesso del tavolo alle 14.00. L’epilogo di una giornata piacevole però coincide quasi sempre anche con riflessioni amare, in questo caso la consapevolezza di essere ingrassati di due chili e quella di un tempo che fu e che oggi non è più, contaminato dall’incertezza di un futuro non facile e promettente. Noi ci auguriamo di tornare presto a fare visita alla famiglia Di Pietro a Melito Irpino e speriamo che il futuro non cambi di una virgola questo piccolo e grande angolo di piacere.
Antica Trattoria Di Pietro
Corso Italia 8, Melito Irpino (Av)
tel: 0825 472010
costo: 30/35 € vini esclusi
www.anticatrattoriadipietro.com
trattoriadipietro@libero.it
Adele Chiagano
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posted by Mauro Erro @ 09:44,