Sbocc(i)atura: Dom Perignon 1996

Uno dei motivi che mi rendono ritroso a scrivere di bollicine è un limite – a mio parere – legislativo che riguarda la produzione di queste, almeno in alcuni casi, meraviglie di tecnica umana.
Il mancato obbligo dell’indicazione della data di sboccatura, in francese dégorgement, per gli spumanti metodo classico e gli Champagne. La penultima fase della preparazione di questo vino, il momento in cui dopo aver riposato e sostato sulle fecce, viene estratto il tappo a corona e la bidule contenente i depositi per poi procedere nell’eventuale dosaggio a seconda della tipologia e richiuderlo con il tappo a fungo di sughero.
Secondo una teoria degustativa molto affermata, dalla data di sboccatura in poi – tolte alcune eccezioni e ricalibrando l’arco temporale sulle migliori cuveè e i millesimati, quelle bottiglie su cui, contenendo almeno l’85% di vino d’annata, viene indicato il millesimo - l’evoluzione consisterebbe più in una sorta di riequilibrio tra le parti: la fase ascendente della curva evolutiva può essere molto breve (due, tre anni) e, arrivati allo zenit, le sensazioni – più o meno affascinanti al naso del degustatore – sfociano in note terziarizzate evidenti e più o meno ossidative.
Senza data di sboccatura, insomma, ogni assaggio ed ogni scritto può diventare un azzardo così come l’acquisto di una bollicina, indipendentemente dalla selezione, richiede una buona dose di fiducia da investire sull’enotecaro e ristoratore che dovrebbe avere una serie d’informazioni (data di sboccatura, dosaggio, ecc. ecc.) per consigliarci al meglio.
A proposito di questo, aprendo una piccola parentesi, trovo molto coraggiosa l’iniziativa di Franco Ziliani che, dopo essere tornato con il suo Vino al Vino, raddoppia con millebolleblog: uno spazio interamente dedicato alle bollicine italiane; un comparto, quello delle bollicine made in Italy, che per crescere ha sicuramente bisogno di essere pungolato affinché possa essere competitivo sui mercati e migliorare la sua qualità. Se penso all’estesa superficie vitata della Champagne, ricordo alcuni recoltant manipulant dai prezzi davvero imbattibili che si possono facilmente scovare.

Dom Perignon è la cuvèe di casa Moet (che include Veuve Cliquot e appartiene al gruppo Louis Vuitton): i suoi numeri sono tenuti nascosti, ma pare se ne producano tra i quattro e i cinque milioni di Bottiglie che corrisponderebbe, più o meno, ad una “selezione” proveniente da 400 ettari di vigna. Il suo costo all’uscita si aggira intorno i 150 euro in enoteca.
Il colore è giallo luminoso, vivace e brillante. Naso molto sottile, delicato, di erbe aromatiche e note salmastre, note grasse e oleose. Un naso dinamico che cambia ed evolve nel tempo; s’affacciano sentori tostati, poi minerali ferrosi – a metà tra la frizione bruciata e lo zolfo -, agrumi, funghi porcini, acciughe. Al palato le bollicine sono sfumate e dolci, la sensazione tattile è carezzevole, avvolgente e morbido l’ingresso. Manca un pizzico di tensione gustativa e il finale si smagrisce: il ritorno alcolico è ben controllato, ma presente.
Non un 97/100 – al di là di una bottiglia leggermente sotto le sue performance forse – ma sicuramente un bel bere.
a

posted by Mauro Erro @ 11:02,

1 Comments:

At 11 dicembre 2010 alle ore 17:30, Anonymous Francesco Annibali said...

Anche io ho il ricordo di un vino sublime - in particolare i profumi - ma poco grintoso, quindi una interpretazione inusuale di un millesimo fondamentalmente acido, ma ancora difficile da inquadrare. Un pò come nelle Langhe, insomma.

 

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