Dell’olio e della realtà

Olivastro - località Santu Baltolu di Carana in agro di Luras

In questi giorni ho visto il mondo da una prospettiva liquida. Pioggia, pioggia e ancora pioggia, fuori; io, ridotto a un naso che cola. Ho bevuto tè, mangiato brodi e zuppe e messo ordine tra vecchie riviste. Così ho ritrovato un numero di Ex Vinis, bimestrale di gastronomia e turismo diretto da Luigi Veronelli, interamente dedicato all’olio. È un numero speciale, il primo di questo millennio. La copertina recita: Olio Il Dossier. Mi immergo nella lettura. Fra i numerosi interventi c’è una lunga lettera di Edoardo Valentini, “olivicoltore, vignaiolo solare, uomo colto e morale”. I due, grandi signori del vino, sull’olio non erano proprio d’accordo: idee diametralmente opposte, ma sempre rispettose dell’altrui differenza. Veronelli si è occupato di olio negli ultimi anni della sua vita, con rabbia e con passione. Mille le questioni. Da qui la sua sottolineatura della necessità della molitura di olive, appena raccolte, di singoli cultivar per meglio capirne qualità e potenzialità. Poi, la questione del “denocciolato”, che riguarda ancora il gusto, ma anche la maggiore presenza di sostanze antiossidanti negli oli ottenuti con questo procedimento. Anche Valentini è scomparso da qualche anno; ha lasciato la sua terra nelle amorevoli mani del figlio Francesco Paolo, custode di una grande tradizione vinicola e appassionato olivicoltore. (Ho i brividi, mi sento un po’ di febbre. Anche la Terra - Madre - ha la febbre. Si sente?) Ecco la sua testimonianza fiume:

Loreto Aprutino 22 dicembre 1999

Caro Gino,
l’alternarsi nella storia dell’umanità, dei “corsi” della civiltà (così detta) con i “ricorsi” della barbarie di vichiana memoria, non mi trova impreparato né suscita in me stupore o sofferenza se la sorte mi ha riservato di vivere l’attuale “rinnovata barbarie” : a nessuno è dato di scegliere il tempo ed il luogo della propria esistenza.
Non avrei però mai immaginato, giunto alla conclusione di questo secondo millennio, dover vivere la terza guerra mondiale.
Si, perché è iniziata la terza guerra mondiale!
Le stramaledette multinazionali hanno deciso, questa volta, di sottomettere, alla loro insaziabile sete di potere, non solo l’uomo ma tutto il creato attuando una politica in cui l’avidità si alterna, e confonde, con l’imbecillità; l’imbecillità di chi, volendo troppo, finisce per soccombere preda di se stesso.
La grande industria ha capito che la guerra, intesa come “lotta armata fra due o più stati”, fa parte ormai del passato quando i “grandi” fabbricavano cannoni per poter distruggere ciò che poi avrebbero così potuto ricostruire. Quella guerra è fatta ancora da qualche sprovveduto ma le nazioni “serie”, comandate da politici “seri”, ormai se ne ridono.
Hanno capito bene che la guerra, alla vecchia maniera, non rende più come un tempo. Si sono aggiornati e, per affermare il loro dominio, hanno iniziato una nuova strategia impiegando armi ben più micidiali e capaci di colpire l’uomo non direttamente ma attraverso quegli elementi vitali, essenziali per la sua stessa esistenza.
Hanno ammorbato l’aria, inquinato le acque, ridotto la fertilità del terreno (ci sono zone del pianeta in cui i semi hanno bisogno di attivanti per germinare) ed eliminato molte specie di predatori (i predatori, escluso l’uomo, sono tutti utili; in natura non esistono predatori inutili o da sterminare) con l’impiego indiscriminato dei fitofarmaci. Stanno insomma modificando tutto l’ecosistema con gravissimi danni per l’ecologia in generale e per l’ecologia agraria in particolare; stanno cioè modificando le “catene alimentari” che sono alla base della vita e della sopravvivenza di tutti gli esseri viventi, uomo compreso.
Cosa direbbero i presocratici e non solo loro?
Il principio di tutte le cose può essere ancora posto nell’acqua e nell’aria così come le hanno ridotte?
Per non dire poi del conseguente ineluttabile scempio perpetrato a danno della tradizione della storia e della cultura. Il salvataggio dei “giacimenti gastronomici” che tu, con santa rabbia, stai conducendo non è soltanto la difesa del bello e del buono ma è la difesa della vita e … della libertà.
Dio non voglia che tutto questo venga capito quando sarà troppo tardi!
E, se tutto questo non bastasse, ecco giungere l’ultima follia dell’homo sapiens: i cibi transgenici inventati per sfamare l’umanità a bassi costi (dicono loro) ma con altissimi profitti economici (diciamo noi) per chi li produrrà. Tutti si chiedono se questa ulteriore manipolazione genetica possa portarci a conseguenze disastrose ed irreversibili ; tutti ce lo chiediamo ma nessuno dà una risposta certa e veritiera perché le multinazionali lo vietano.
Sarà questa, forse, l’ultima profanazione perpetrata dell’uomo a danno di se stesso e del suo habitat; si avrà l’apoteosi della follia razionale “quando l’uomo penserà di trarre un utile economico dalla propria morte”.
Come in situazioni tragiche non manca, a volte, il lato comico, ecco che scivoliamo nel grottesco con il Regolamento CEE 2078/92 – Misura A1 – almeno così come recepito dalla Regione Abruzzo.
L’applicazione di quel regolamento doveva servire per promuovere e valorizzare un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente, riducendo l’uso dei concimi chimici, dei fitofarmaci e quindi con il conseguente miglioramento della qualità.
Senza portare il discorso per le lunghe, ti dico soltanto che io ho senz’altro aderito a questo programma agro-alimentare predisposto dalla Regione Abruzzo ma, dopo poco tempo, ho dovuto rinunciarvi se non volevo andare incontro a guai peggiori di quelli che avevo creduto e sperato di evitare o quantomeno di contenere.
Nella comunicazione di rinuncia indirizzata all’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Pescara ed alla Giunta Regionale del Settore Agricoltura, chiedevo di essere inteso di persona per poter chiarire i motivi del mio rifiuto al programma ed ai conseguenti benefici economici che, bada bene, erano notevoli.
I chiarimenti non riguardavano soltanto la mia posizione ma sarebbero serviti per capire e correggere errori commessi in fase di recepimento ed, ancor più, di attuazione della direttiva CEE. Questo, anche se non detto espressamente, lo sapevano benissimo i destinatari della mia rinuncia e proprio per questo hanno ritenuto bene di chiudersi in un “eloquente” silenzio guardandosi bene dall’invitarmi a parlare.
Sarebbe stato un atto dovuto, se non altro, alla professionalità ed esperienza di un agricoltore che ha dato, in quasi mezzo secolo di ininterrotta attività nel settore, un contributo tangibile alla conoscenza ed affermazione di prodotti di qualità della terra d’Abruzzo.
Che vogliamo dire di più?
Possiamo soltanto aggiungere che siamo in piena dittatura; non una “bella” e palese dittatura che ti permette di scendere in piazza, alzare barricate ed affrontare il nemico a viso aperto. Questa è una dittatura strisciante e sommersa, di stile clericale; una dittatura in cui è permessa la contestazione verbale ad oltranza tanto non c’è nessuno che ti ascolta né da parte di che la esercita né di chi la subisce; se così non fosse sarebbe democrazia. Tutt’ al più se esageri ti vedi censurare quello che dici, come è accaduto a me il mese scorso.
Ero stato invitato dalla RAI per una intervista televisiva a proposito della grave situazione olivicola. L’intervista si è articolata in due parti: nella prima esponevo i motivi per i quali molti produttori, me compreso, erano costretti a lasciare il prodotto sulle piante per motivi di ordine economico e di mercato, nella seconda denunciavo l’inerzia della pubblica amministrazione e sollecitavo l’intervento delle competenti autorità a livello regionale, nazionale ed europeo. L’intervista è andata regolarmente in onda sul terzo canale regionale, ma soltanto con la prima parte; la seconda è stata censurata in toto, completamente tagliata.
Caro Gino, so bene che quanto ti dico è a te ben noto, né è mia intenzione aggiungere nulla di nuovo che tu non sappia come e meglio di me, ma è la premessa essenziale per poter comprendere lo stato d’animo, il malcontento e la rabbia di noi tutti agricoltori.
Non è più possibile seguitare ad operare in queste condizioni ed a subire soprusi ed angherie di ogni genere avallate ed ufficialmente legalizzate da chi dovrebbe invece difendere il lavoro di tutti, anche degli agricoltori. Quello che poi stiamo vivendo noi olivicoltori ha addirittura dell’incredibile e dell’inverosimile. Basti pensare alla sleale concorrenza che dobbiamo subire e che ormai ha raggiunto limiti non più sopportabili.
Sleale concorrenza che è determinata dalla mancanza di una precisa regolamentazione che faccia, una buona volta, chiarezza nell’interesse e in difesa del produttore ed ancor più del consumatore.

La produzione italiana del “vero” olio d’oliva è destinata a scomparire se non si provvederà, a breve termine, a dare regole oneste e precise per quanto riguarda il confezionamento e la commercializzazione.
Innanzitutto “OLIO d’OLIVA” dovrà chiamarsi solo e soltanto l’olio ottenuto dalla spremitura di olive fresche, vergine, extravergine e assurdità del genere dovranno scomparire dalle etichette.
Tutti gli altri oli ottenuti sia dai sottoprodotti che da oli manipolati chimicamente dovranno chiamarsi con il loro vero nome: olio di sansa, olio rettificato e così via.
Sarebbe anche ora che venisse vietata l’estrazione di olio, per uso alimentari, dai sottoprodotti della molitura che dovrebbero invece avere altre destinazioni, così come avviene per i sottoprodotti della vinificazione. C’è poi da eliminare la grande truffa del “MADE IN ITALY” voluto da Bruxelles, permesso dal nostro Stato che ha definitivamente messo in ginocchio i produttori di ulivo e di olio italiani.
È mai possibile che un liquido grasso (che mi rifiuto di chiamare olio d’oliva) prodotto in Africa possa essere definito “PRODOTTO ITALIANO” sol perché viene messo in bottiglia in Italia? È un insulto ai produttori italiani; un insulto e un’offesa alla storia, alla cultura ed alla santa madre Terra della nostra Italia. Il ministro delle Politiche Agricole e Forestali Paolo di Castro, intervenuto il 26 novembre scorso a Chieti in un convegno sull’olio d’oliva promosso dalla Camera di Commercio, ha pubblicamente dichiarato: “È una questione aberrante la norma prevista dal regolamento UE sulla etichettatura dell’olio extravergine d’oliva, norma che promette di definire italiano anche un olio prodotto in un Paese extracomunitario a patto che venga imbottigliato nel nostro Paese”.
Che l’imposizione dell’UE sia aberrante lo sappiamo tutti.
È inutile che il ministro ce lo rammenti; dica invece cosa intende fare per cancellare questa aberrazione e fare giustizia.
Io, a mia volta, vorrei rammentare al signor ministro che il codice civile italiano è. A tutt’oggi, in vigore.
Gli articoli 2595, 2599, 2600 e 2601 che regolano, ovvero “dovrebbero” regolare, la sleale concorrenza non mi risulta siano stati abrogati. Allora c’è da chiedersi: quale valore ha oggi il nostro codice civile e quindi le norme in esso contenute tutelano ancora tutti i cittadini, come è sancito dalla nostra Costituzione, o soltanto una parte di essi?
Gli agricoltori fanno ancora parte della Comunità nazionale o vengono ormai considerati una categoria o una categoria a sé, non più soggetti di diritto ma solo di doveri?
Non saprei neanche come chiamare o definire questa categoria di “esclusi”, l’unica che mi viene in mente è “ghettizzati”.
E non mi si venga a dire che la normativa italiana perde efficacia quando è in contrasto con la normativa emanata dalla Comunità Europea. Se un giorno Bruxelles, per assurdo, stabilisse che rubare non è più un reato, che si dovrebbe fare? Tutti gli Stati membri della Comunità dovrebbero cambiare le proprie leggi e magari chiedere anche scusa ai ladri? Bruxelles, si sa essere la lobby delle multinazionali, ma non per questo ogni sua decisione può e deve essere supinamente accettata quando è in netto contrasto con le più elementari norme del vivere civile.
La conseguenza di tutto questo è che molti agricoltori, dopo un intero anno di lavoro costante e di sacrifici notevoli non solo economici, sono stati costretti a lasciare le olive sulle piante, perché il solo costo di coglitura era quasi doppio del prezzo che eventualmente si sarebbe potuto realizzare se (dico: se) si fosse riuscito a vendere il prodotto, anche se trasformato in olio, e a prezzi stracciati, perché il mercato è ormai definitivamente regolato e comandato dall’industria che si rifornisce di olio (se olio si può chiamare) da paesi terzi e a prezzi con i quali è impossibile competere.
Anche io mi sono dovuto fermare e ho lasciato sulle piante più di mille quintali di ottime olive. Avrei forse potuto continuare la coglitura soltanto assumendo manodopera in nero e sottopagata. È un conto che però non ho mai fatto perché mi ripugna; nella azienda Valentini nessuno ha mai lavorato in nero e nessuno è stato mai remunerato con un sottosalario.
Addirittura non ho neppure mai voluto aderire a quella “truffa legalizzata”, avallata dall’INPS, che va sotto il nome di “riallineamento”; in provincia di Pescara credo di essere, se non l’unica, una delle rarissime aziende che non vi hanno aderito.
Quello che più mi fa male è vedere quelle piante stracariche che, con i rami appesi, sembrano piangere e chiedere di essere liberate dal loro generoso fardello. Così come disperate piangerebbero delle madri che non riuscissero a portare a luce il nascituro che hanno in grembo.
Tutta grazia di Dio abbandonata e destinata ad essere calpestata dagli stessi uomini che l’hanno prima tanto agognata e poi, loro malgrado, dovuta ricusare. Destinata, nella migliore delle ipotesi, a diventare letame; ripeto nella migliore delle ipotesi perché se dovesse sopraggiungere una nevicata (ed è tempo suo) assisteremmo ad un vero massacro perché le piante, già stracariche di olive, non riuscirebbero a sopportare un ulteriore aggravio di peso determinato dalla neve. Forse non avrei dovuto interrompere la coglitura anche a costo di aumentare notevolmente il già tanto passivo che questa produzione ha determinato nel corso dell’anno. Sono stato tentato ma, con tutta franchezza, non me la sono sentita. Questa azienda che io, da tanti anni, conduco, dà di che vivere ad una ventina di famiglie, compresa la mia. Io ho la responsabilità di questa gestione e non posso permettermi il lusso di compromettere la stabilità economica sua e quindi delle famiglie di chi ci lavora. È evidente che il danno non è stato soltanto mio ma anche dei miei collaboratori che hanno perso molte giornate lavorative. Tra i due mali si è dovuto scegliere il minore. Ho provato ad offrire in regalo l’olivo non colto; chi avesse voluto poteva cogliersi gratuitamente tutto quello che voleva. L’offerta non ha avuto seguito. Ogni commento al riguardo sarebbe davvero superfluo.
A questo punto posso soltanto augurarmi che le piante si spoglino quanto prima dei loro frutti sì che cessi la sofferenza loro e mia. Nel frattempo, dì pure che sia viltà, mi rifiuto di guardarle.
Nonostante tutto questo, continuo a piantare olivi quasi ogni anno. Anche la prossima primavera metterò a dimora alcune centinaia di piantine. Può sembrare follia. NO!! La follia è di coloro che credono di poter sovvertire l’ordine naturale delle cose sostituendosi, con infinita prepotenza e presunzione, a quella meravigliosa “Macchina” che è la potenza generatrice di tutto l’Universo e della quale, a malapena, conoscono soltanto, e in piccola parte, quello che potremmo chiamare l’involucro esterno, ma ben poco, o quasi niente, sanno del suo contenuto.
Sono stimolati, nella loro folle ricerca, non dalla sete di sapere ma dai più squallidi e meschini interessi che l’uomo possa mai perseguire: il potere e il denaro.
Concludo questa epistola triste con questa riflessione. Se è vero , come è vero, che l’uomo è una parte infinitesimale dell’universo, inequivocabilmente ne consegue che l’utile o il danno che lui possa provocare, per quanto grandi ed illimitati possano essere, non potranno mai veramente mutare il Tutto ma saranno, sempre e innanzitutto, a suo beneficio o discapito. Sta alla sua sensibilità ed intelligenza capire quando sia il momento di fermarsi per non distruggere se stesso. Un grazie sincero dalla mia Terra e mio per l’opera infaticabile e appassionata, da te sempre condotta con coraggio, per la valorizzazione e la salvaguardia della Terra e dell’Uomo.
Un abbraccio fraterno
Edoardo Valentini


A me pare che il documento sia degno del più grande interesse. I temi che si usa definire ecologici, quelli riguardanti l’alimentazione e il consumo, le attività produttive e le tradizioni del mondo rurale, le leggi, la politica e la Terra sono strettamente legati e ci riguardano, tutti. Forse sarebbe utile parlarne dopo questo invito morale. Sono passati più di dieci anni. Semplicemente, ora, a che punto siamo con l’olio? Così, ritrovata per caso e per un raffreddore, dopo il preambolo e questa conclusione, la lettera di Edoardo Valentini a Luigi Veronelli è stata digitata e messa in Rete.

Maurizio Arenare
a

posted by Mauro Erro @ 10:57,

1 Comments:

At 3 dicembre 2010 alle ore 14:30, Anonymous Anonimo said...

claudioT

questa lettera mi fà venire i brividi nonostante sia tutto già conosciuto, detto e ridetto e si riferisca a 10 anni fà.
Mi sento un nulla in questo mondo economico e ho grande timore per mio figlio e le generazioni future, perchè penso che ancora non sia globale la consapevolezza sui problemi econimici e reali del nostro mondo agricolo e non solo...

 

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