Il Magister e la via francigena
mercoledì 3 novembre 2010
Oltre gli amici che gestiscono una rubrica su questo blog che vi abbiamo già presentato e i cui nomi trovate nella colonna a sinistra, questo spazio gode dei contributi di altre sensibili penne del vino. Due di queste sono di Giampiero Pulcini e Giancarlo Marino. Quest’ultimo, meglio conosciuto come Magister Burgundiae, tiene a battesimo a Roma un gruppo di scapigliati e appassionati di vino da non si sa quanti anni che si riuniscono puntualmente per tentare di capire, con alterne fortune, qualcosa in più della Borgogna. Il primo, invece, ha scritto un breve racconto molto spassoso, a metà tra “Amici miei e La corrida” che pubblichiamo in due puntate. È un racconto di viaggio, il ritratto di un amico e ben esprime l’animo e lo spirito goliardico di condivisione di autentici appassionati di vino. (m.e.)
Che Giancarlo Il Magister sia persona di sapienza ammirata da un’ampia cerchia di folgorati sulla via di Volnay è cosa nota.
Che sia altrettanto apprezzato per le intrinseche qualità umane da chi ha la fortuna di frequentarlo, idem.
Non tutti sanno, però, come il suo proverbiale aplomb possa incrinarsi di fronte a una specifica circostanza in grado di perturbarlo nel profondo; essa si verifica una volta all’anno di buon mattino, a metà Luglio, nel cortile interno di un hotel di Beaune.
Prologo.
Missione estiva in Borgogna, il solito pugno di scapigliati.
Stabilita la tabella di marcia grazie alla febbrile attività epistolare dell’unico soggetto capace di scrivere in francese, s’imbastisce summit telematico volto a mettere ordine nel caos.
Alla terza mail di cazzeggio furibondo, con sorniona rassegnazione il Magister sancisce la chiusura dei lavori tramite il consueto diktat: “fate come vi pare, purché QUEST’ANNO non compriate vino ovunque. Non c’è spazio.”
Giancarlo è un perfezionista nella conservazione delle bottiglie, di cui il trasporto è fase importante almeno quanto le altre; disponesse di bacchetta magica, così, egli viaggerebbe dolcemente su un silenziosissimo monovolume bianco a forma di uovo, climatizzato e umidificato, con opzione hovercraft per fluttuare a mezzo metro da terra sui tratti più accidentati.
Swooooshhhhh…
Sì, viaggiare...
La bacchetta magica, ahimè, non c’è.
In Borgogna si va a bordo di un barracuda nero con assetto e pneumatici ribassati, motore più turbo che diesel e bagagliaio colonizzato da subwoofer sufficiente per un concerto indoor dei Tokio Hotel. On air “Bodysnatchers” dei Radiohead, quando va bene.
Il mezzo è condotto dall’imperturbabile Prevosto, che per motivi tutti suoi in autostrada non riesce a scendere sotto i 180 km/h, curve incluse. Nei tratti lungo cui le giunture di raccordo dell’asfalto si succedono al ritmo di una al secondo, non si sa se gli ululati più acuti provengano dalle bottiglie o dalle nostre colonne vertebrali.
Vrooooom… TA-TANG… Vroooom… TA-TANG… Vroooom… TA-TANG… Aùùùùùù…
« Senti-che-robba ! »
Il primo giorno, mi si passi il termine, è di avvinamento.
Basso profilo, qualche indirizzo sconosciuto finito nel mirino sull’onda di un non casuale “hai visto mai”.
Varcato l’anonimo portoncino ci si ritrova vis-à-vis col fenomeno di turno, biodinamico da prima di Steiner, la cui famiglia annovera nel pedigree giacobini morti di baionetta e cistercensi uccisi dall’alitosi.
Cervellotiche vicende successorie gli hanno lasciato in eredità quattro filari in croce dispersi su parcelle vocatissime, rigorosamente centenari, da cui ricava quantità confidenziali di nettare rubino scarico, ammaliante di spezie e fruttini, dalla bocca elettrizzante.
Poiché nemmeno i dirimpettai sanno chi sia, ha la cantina piena di bottiglie dal 1960 a salire, perfette di spalla e di colore, vendute al prezzo dell’annata corrente.
La verticale estorta seduta stante al malcapitato persuade i missionari-in-missione che sì, era nei patti di non comprare, ma a ‘sti prezzi come fai, questo mica spedisce, poi magari l’anno prossimo arriva l’importatore ammarigano e buonanotte.
Il pipinàro si conclude con la pancia del barracuda subito ravvivata da innocenti cartoncini bianchi recanti il nome del Domaine. Rimarranno posteggiati in un limbo onirico per l’intera durata del soggiorno, sopraffatti dalle emozioni che verranno, salvo poi riproporsi implacabilmente sul più bello come la peperonata del giorno prima.
Sciòpping.
Le scuse sono le più disparate.
Dall’amico d’infanzia ritrovato che ha chiesto in ginocchio una bottiglia del suo anno di nascita all’introvabilità urbi et orbi di-quel-cru-di-quel-produttore, fino all’inverosimile svarione dell’enotecaro più scafato di Beaune che avrebbe prezzato un Musigny 2005 a livello di un Bourgogne 2004.
Insomma, non bastassero le visite in cantina, negli intervalli tra un vigneron e l’altro che fai, le enoteche ce le lasci?!
Facendo di necessità virtù ho dirottato le mie attenzioni nel tempo libero su cartoline e confetture, ma è sempre bello constatare come la fantasia dei propri compagni di viaggio sappia toccare all’occorrenza vette himalayane.
Il Magister, nel frattempo, osserva ieratico. E tace.
...CONTINUA
Giampiero Pulcini
a
Che Giancarlo Il Magister sia persona di sapienza ammirata da un’ampia cerchia di folgorati sulla via di Volnay è cosa nota.
Che sia altrettanto apprezzato per le intrinseche qualità umane da chi ha la fortuna di frequentarlo, idem.
Non tutti sanno, però, come il suo proverbiale aplomb possa incrinarsi di fronte a una specifica circostanza in grado di perturbarlo nel profondo; essa si verifica una volta all’anno di buon mattino, a metà Luglio, nel cortile interno di un hotel di Beaune.
Prologo.
Missione estiva in Borgogna, il solito pugno di scapigliati.
Stabilita la tabella di marcia grazie alla febbrile attività epistolare dell’unico soggetto capace di scrivere in francese, s’imbastisce summit telematico volto a mettere ordine nel caos.
Alla terza mail di cazzeggio furibondo, con sorniona rassegnazione il Magister sancisce la chiusura dei lavori tramite il consueto diktat: “fate come vi pare, purché QUEST’ANNO non compriate vino ovunque. Non c’è spazio.”
Giancarlo è un perfezionista nella conservazione delle bottiglie, di cui il trasporto è fase importante almeno quanto le altre; disponesse di bacchetta magica, così, egli viaggerebbe dolcemente su un silenziosissimo monovolume bianco a forma di uovo, climatizzato e umidificato, con opzione hovercraft per fluttuare a mezzo metro da terra sui tratti più accidentati.
Swooooshhhhh…
Sì, viaggiare...
La bacchetta magica, ahimè, non c’è.
In Borgogna si va a bordo di un barracuda nero con assetto e pneumatici ribassati, motore più turbo che diesel e bagagliaio colonizzato da subwoofer sufficiente per un concerto indoor dei Tokio Hotel. On air “Bodysnatchers” dei Radiohead, quando va bene.
Il mezzo è condotto dall’imperturbabile Prevosto, che per motivi tutti suoi in autostrada non riesce a scendere sotto i 180 km/h, curve incluse. Nei tratti lungo cui le giunture di raccordo dell’asfalto si succedono al ritmo di una al secondo, non si sa se gli ululati più acuti provengano dalle bottiglie o dalle nostre colonne vertebrali.
Vrooooom… TA-TANG… Vroooom… TA-TANG… Vroooom… TA-TANG… Aùùùùùù…
« Senti-che-robba ! »
Il primo giorno, mi si passi il termine, è di avvinamento.
Basso profilo, qualche indirizzo sconosciuto finito nel mirino sull’onda di un non casuale “hai visto mai”.
Varcato l’anonimo portoncino ci si ritrova vis-à-vis col fenomeno di turno, biodinamico da prima di Steiner, la cui famiglia annovera nel pedigree giacobini morti di baionetta e cistercensi uccisi dall’alitosi.
Cervellotiche vicende successorie gli hanno lasciato in eredità quattro filari in croce dispersi su parcelle vocatissime, rigorosamente centenari, da cui ricava quantità confidenziali di nettare rubino scarico, ammaliante di spezie e fruttini, dalla bocca elettrizzante.
Poiché nemmeno i dirimpettai sanno chi sia, ha la cantina piena di bottiglie dal 1960 a salire, perfette di spalla e di colore, vendute al prezzo dell’annata corrente.
La verticale estorta seduta stante al malcapitato persuade i missionari-in-missione che sì, era nei patti di non comprare, ma a ‘sti prezzi come fai, questo mica spedisce, poi magari l’anno prossimo arriva l’importatore ammarigano e buonanotte.
Il pipinàro si conclude con la pancia del barracuda subito ravvivata da innocenti cartoncini bianchi recanti il nome del Domaine. Rimarranno posteggiati in un limbo onirico per l’intera durata del soggiorno, sopraffatti dalle emozioni che verranno, salvo poi riproporsi implacabilmente sul più bello come la peperonata del giorno prima.
Sciòpping.
Le scuse sono le più disparate.
Dall’amico d’infanzia ritrovato che ha chiesto in ginocchio una bottiglia del suo anno di nascita all’introvabilità urbi et orbi di-quel-cru-di-quel-produttore, fino all’inverosimile svarione dell’enotecaro più scafato di Beaune che avrebbe prezzato un Musigny 2005 a livello di un Bourgogne 2004.
Insomma, non bastassero le visite in cantina, negli intervalli tra un vigneron e l’altro che fai, le enoteche ce le lasci?!
Facendo di necessità virtù ho dirottato le mie attenzioni nel tempo libero su cartoline e confetture, ma è sempre bello constatare come la fantasia dei propri compagni di viaggio sappia toccare all’occorrenza vette himalayane.
Il Magister, nel frattempo, osserva ieratico. E tace.
...CONTINUA
Giampiero Pulcini
a
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posted by Mauro Erro @ 11:20,