Forse mi sbaglio
venerdì 26 novembre 2010
Forse mi sbaglio. Ma una delle questioni più importanti che riguardano il vino, risiede nel gusto, e nella sua relazione con il potere.
«Una regina chiedeva a Simonide di Ceo, […] se era meglio nascere ricchi o dotati di ingegno. “Ricchi, rispose lui, perché l’ingegno si trova sempre vicino alle case dei ricchi”. Il gusto è oggi al servizio del potere – eppure, suprema ironia, ogni volta che il vero gusto si esprime, il potere ne risulta sovvertito. L’espressione del gusto è l’espressione della libertà. Rinunciare ad assumersi le proprie responsabilità o affidarsi ad altri in materia di gusto significa rinunciare alla propria libertà.» E’ questo il tema (ma non è un libro a tema) del bel libro di Jonathan Nossiter, tradotto in Italia da Einaudi (Stile libero Extra, 16 euro) col titolo Le vie del vino: il gusto e la ricerca del piacere. Regista, scrittore e sommelier, Nossiter ha ottenuto la Palma d’oro a Cannes nel 2004 con il documentario Mondovino. Continuiamo: “Un buon vino, prodotto da un terroir complesso, in cui i grappoli nascono pieni di vigore (e senza veleni chimici) e le condizioni di sviluppo sono favorevoli, ha la stessa speranza di vita di un essere umano, tra i 60 e gli 80 anni (come per un vigneto ben conservato tra l’altro, e sicuramente non è una coincidenza) . Senza dimenticare che il vino evolve in continuazione, una volta imbottigliato, dalla nascita alla morte”. Insomma, non solo la memoria del vino assomiglia a quella degli esseri umani, ma lo è “nella sua forma più fluida e dinamica.” Affascinante. Nossiter assaggia vino dall’età di due anni; gliene dava il padre (poche gocce, eh) giornalista di politica, corrispondente dagli esteri per i più importanti quotidiani americani, grande appassionato di vini. Il racconto (ma non è un racconto) procede con gli incontri dei “buoni” (una coppia di giovani appassionati enotecari in un quartiere appartato di Parigi) e dei “cattivi” (una star della ristorazione in confidenza con M. Rolland). Troviamo le sue considerazioni sul cinema e sulla cultura, il backstage del documentario, altri incontri, viaggi, i problemi tra padri e figli e quelli del terroir, e una bellissima degustazione con alcuni giovani produttori di Borgogna. Non poteva mancare un mistero: è il caso Fonsalette, che solo nell’epilogo sarà risolto. (A proposito - si fa per dire - sulla memoria e, soprattutto, sulla libertà come questione veramente centrale per noi umani, si potrebbe utilmente leggere, o rileggere, il Purgatorio di Dante: poeta sradicato dal suo terroir, apolide per necessità).
Poco prima della fine del libro, c’è la cena con Charlotte Rampling, alle Caves Legrande:
– Allora cosa beviamo? – mi chiede con un gran sorriso.
– Cosa vuoi?
– Fa freddo. Ho voglia di un rosso. Ma dopo dodici ore di riprese non ho voglia ancora di stancarmi con qualcosa di pesante.
– Ho capito. Il dottore prescrive un borgogna leggero. Chiedo a Gérard, che spiava l’arrivo della star, cos’ha come Marsannay […] Gérard prende una bottiglia di Marsannay 2000 di Jean-Louis Trapet. Io esclamo:
– Tutto tranne Trapet! Troppo levigato per me. Troppo moderno.
– Fidati, risponde Gérard. E’ buono.
Non ho molta voglia di fidarmi, perché penso di conoscere il produttore. Ma dico di si, per non perdere troppo tempo a discutere del vino mentre Charlotte mi aspetta a tavola. E poi il vino è a 20 euro, un prezzo estremamente ragionevole per un borgogna. Dieci minuti dopo mi rendo conto che mi sto già versando il secondo bicchiere. Il vino è allegro, delizioso, rinfrescante. Gérard aveva ragione. Ecco eliminato un altro pregiudizio. E non sono l’unico a trovare che questo vino dà energia. L’umore di Charlotte è cambiato completamente. Più nessun segno di fatica: è radiosa e divertente come suo solito. La bottiglia ha fatto tilt. Mi sento fortunato. Mi trovo in uno dei templi del vino più seducenti della Francia. Sto bevendo un vino che è una pura delizia, il cui piacere è raddoppiato dal fatto di aver sconfitto la mia ignoranza e i miei pregiudizi .
Bene, lasciamoli alla loro cena. Per me, il caso Fonsalette non è ancora risolto. Lo cerco in rete. Ecco, su e-bay c’è una cassa di Fonsalette, e proprio del ’97, a meno di 400 euro. Ma non mi fido e poi volevo solo una bottiglia, mica dodici; e se non mi piace? Certo, l’annata è la ’97, la stessa del libro. La ricerca continua e mi porta a Frascati. Si, avete capito bene, in un ristorante di Frascati, c’è un Fonsalette in carta. Che fortuna, dovrebbe essere una 2005, però. Lo trovo: è a 100 euro (dico cento!). Che … simmetria. Meraviglioso. Cento, proprio come i canti della Divina Commedia! Che fare? Prenotare? Ci penso. Ora, mi abbacchio.
Maurizio Arenare
a
«Una regina chiedeva a Simonide di Ceo, […] se era meglio nascere ricchi o dotati di ingegno. “Ricchi, rispose lui, perché l’ingegno si trova sempre vicino alle case dei ricchi”. Il gusto è oggi al servizio del potere – eppure, suprema ironia, ogni volta che il vero gusto si esprime, il potere ne risulta sovvertito. L’espressione del gusto è l’espressione della libertà. Rinunciare ad assumersi le proprie responsabilità o affidarsi ad altri in materia di gusto significa rinunciare alla propria libertà.» E’ questo il tema (ma non è un libro a tema) del bel libro di Jonathan Nossiter, tradotto in Italia da Einaudi (Stile libero Extra, 16 euro) col titolo Le vie del vino: il gusto e la ricerca del piacere. Regista, scrittore e sommelier, Nossiter ha ottenuto la Palma d’oro a Cannes nel 2004 con il documentario Mondovino. Continuiamo: “Un buon vino, prodotto da un terroir complesso, in cui i grappoli nascono pieni di vigore (e senza veleni chimici) e le condizioni di sviluppo sono favorevoli, ha la stessa speranza di vita di un essere umano, tra i 60 e gli 80 anni (come per un vigneto ben conservato tra l’altro, e sicuramente non è una coincidenza) . Senza dimenticare che il vino evolve in continuazione, una volta imbottigliato, dalla nascita alla morte”. Insomma, non solo la memoria del vino assomiglia a quella degli esseri umani, ma lo è “nella sua forma più fluida e dinamica.” Affascinante. Nossiter assaggia vino dall’età di due anni; gliene dava il padre (poche gocce, eh) giornalista di politica, corrispondente dagli esteri per i più importanti quotidiani americani, grande appassionato di vini. Il racconto (ma non è un racconto) procede con gli incontri dei “buoni” (una coppia di giovani appassionati enotecari in un quartiere appartato di Parigi) e dei “cattivi” (una star della ristorazione in confidenza con M. Rolland). Troviamo le sue considerazioni sul cinema e sulla cultura, il backstage del documentario, altri incontri, viaggi, i problemi tra padri e figli e quelli del terroir, e una bellissima degustazione con alcuni giovani produttori di Borgogna. Non poteva mancare un mistero: è il caso Fonsalette, che solo nell’epilogo sarà risolto. (A proposito - si fa per dire - sulla memoria e, soprattutto, sulla libertà come questione veramente centrale per noi umani, si potrebbe utilmente leggere, o rileggere, il Purgatorio di Dante: poeta sradicato dal suo terroir, apolide per necessità).
Poco prima della fine del libro, c’è la cena con Charlotte Rampling, alle Caves Legrande:
– Allora cosa beviamo? – mi chiede con un gran sorriso.
– Cosa vuoi?
– Fa freddo. Ho voglia di un rosso. Ma dopo dodici ore di riprese non ho voglia ancora di stancarmi con qualcosa di pesante.
– Ho capito. Il dottore prescrive un borgogna leggero. Chiedo a Gérard, che spiava l’arrivo della star, cos’ha come Marsannay […] Gérard prende una bottiglia di Marsannay 2000 di Jean-Louis Trapet. Io esclamo:
– Tutto tranne Trapet! Troppo levigato per me. Troppo moderno.
– Fidati, risponde Gérard. E’ buono.
Non ho molta voglia di fidarmi, perché penso di conoscere il produttore. Ma dico di si, per non perdere troppo tempo a discutere del vino mentre Charlotte mi aspetta a tavola. E poi il vino è a 20 euro, un prezzo estremamente ragionevole per un borgogna. Dieci minuti dopo mi rendo conto che mi sto già versando il secondo bicchiere. Il vino è allegro, delizioso, rinfrescante. Gérard aveva ragione. Ecco eliminato un altro pregiudizio. E non sono l’unico a trovare che questo vino dà energia. L’umore di Charlotte è cambiato completamente. Più nessun segno di fatica: è radiosa e divertente come suo solito. La bottiglia ha fatto tilt. Mi sento fortunato. Mi trovo in uno dei templi del vino più seducenti della Francia. Sto bevendo un vino che è una pura delizia, il cui piacere è raddoppiato dal fatto di aver sconfitto la mia ignoranza e i miei pregiudizi .
Bene, lasciamoli alla loro cena. Per me, il caso Fonsalette non è ancora risolto. Lo cerco in rete. Ecco, su e-bay c’è una cassa di Fonsalette, e proprio del ’97, a meno di 400 euro. Ma non mi fido e poi volevo solo una bottiglia, mica dodici; e se non mi piace? Certo, l’annata è la ’97, la stessa del libro. La ricerca continua e mi porta a Frascati. Si, avete capito bene, in un ristorante di Frascati, c’è un Fonsalette in carta. Che fortuna, dovrebbe essere una 2005, però. Lo trovo: è a 100 euro (dico cento!). Che … simmetria. Meraviglioso. Cento, proprio come i canti della Divina Commedia! Che fare? Prenotare? Ci penso. Ora, mi abbacchio.
Maurizio Arenare
a
posted by Mauro Erro @ 12:13,