Nip e Draff, i chiaroscuri della birra: Questioni di Etichetta



Arriva un momento della vita di un appassionato in cui affiora la destabilizzante domanda: ed ora che bevo? Ciò che mi piace o tutto ciò che è nuovo o mi si propone come tale? Devo essere tuttologo mondiale del comparto brassicolo (cercasi quindi n fegati di riserva) o specialista estremo dei confini al cm dei prodotti del Pajottenland (qui ne bastano n-1 di fegati)? Forse non c’è risposta come non c’è spiegazione nemmeno per tutti quei produttori, pubblicitari, distributori che più che preoccuparsi del contenuto della bottiglia si preoccupano del packaging o di quei mastri birrai che insicuri del valore del proprio prodotto concentrano sin da subito tutte le loro forze sull’etichetta.
E pensare che una volta (non più di trent’anni fa) il metodo artigianale non si preoccupava di creare etichette per il mercato nè tantomeno la normativa sull’igiene alimentare e controllo qualità obbligava i produttori (come avviene ancora oggi in Belgio) di indicare tutta una serie di requisiti per consentirne la vendita. All’origine la pennellata non rappresentava neanche un segno identificativo per il consumatore ultimo ma serviva al mastro birraio e ai suoi collaboratori per stabilire la posizione del lievito all’interno della bottiglia ed evitare che questa venisse movimentata in maniera errata durante i vari spostamenti dell’affinamento da cantina a cantina causando come conseguenza la micro dispersione dei lieviti all’interno di tutta la bottiglia. Adesso ci toccano (a noi forse no visto che si trovano nell’altro emisfero) “bischerate” come quelle dell’australiana Skinny Blonde dove al consumarsi del liquido (e sottolineiamo liquido) la gentil donzella presente sull’etichetta evita l’affaticamento dei nostri neuroni che non devono sforzarsi di immaginare il contenuto sottostante il bikini rosso prima presente.
Ma braviiiiiiii per questo nuovo accostamento sesso-birra; era proprio una cosa che ci mancava! Vogliamo passare a quelle che sulla scia della nostra nostalgica e irrecuperabile Tromp la Mort ci piazzano teschi, falcioni e demoni a dimostrazione della “tostaggione” del prodotto, dell’iperbole alcolica a cui dovremmo essere sottoposti una volta spillata o ancora della cazzutaggine dei mastri birrai alternativi e dall’aspetto molto naif.
Ma non si fa prima a scrivere semplicemente il contenuto, le materie prime e le informazioni di massima dal punto di vista organolettico (cose tipo OG, IBU, FBC come ci insegna la storica Russian Imperial Stout della Courage). Vuoi vedere che stavolta noi italiani siamo più seri degli altri paesi euro ed extra euro (vedi progetto “Birra Chiara” del Mo.Bi???) Effettivamente lo stile minimal di aziende come De Molen paga. Quelli ti scrivono tutto compreso data di birrificazione e di imbottigliamento; non solo ti indicano il lotto ma ti specificano anche di quante bottiglie è composto e il numero di quella che stai afferrando. E’ come se ogni cotta fosse sempre una limited edition.
Siete convinti, siete scettici, volete schiarirvi le idee? Allora “scartatevi” qualche bella 75: Liefmans Goudenband, De Ranke Cuvée o Quarta Runa di Montegioco.
La prima è una oud bruin, brassata con lieviti in parte selvaggi artefici del suo sapore inconfondibilmente sour, in cui fa capolino di tanto in tanto una dolcezza derivante dal malto belga.
La seconda è un piccolo gioiello dell’arte brassicola belga, ad opera di Nino Bacelle e Guido Devos, assemblata partendo da una percentuale di lambic Girardin e una old beer di De Ranke fermentata con lieviti Rodenbach. Il risultato è una birra sorprendentemente pulita, intrigante nel gusto e appagante all’olfatto, ( il marchio della casa si evince dalle note luppolate presenti sia all’olfatto che nel retrogusto).
L’ultima è l’italianissima Quarta Runa del mastro birraio Riccardo Franzosi prodotta con pesche di Volpedo e divenuta già un classico delle birra alla frutta (macerazione).

PS. A Francesco (che oltre che con le birre dissipa i suoi averi acquistando manga) è scappata la lacrimuccia quando ha scovato l’etichetta della birra prodotta per il Ghibli Museum di Mitaka (Giappone) e non ha potuto fare a meno di onorare il Maestro Miyazaki.

Gianluca Polini e Francesco Immediata

foto1: etichetta della birra venduta all'interno del Ghibli Museum di Mitaka in Giappone e disegnata dal (premio Oscar)Mangaka Miyazaki

posted by Mauro Erro @ 10:27,

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