Neanche un quinto di decimo

Era da tempo che aspettavo l’occasione per assaggiare i vini del Professore Luigi Moio.
Quelli della sua azienda, in Mirabella Eclano, Quintodecimo.
Ne avevo già assaggiati alcuni, i primi, ma aspettavo di provare anche i nuovi, vedere l’evoluzione di un’idea prima di maturare un’interpretazione che fosse più compiuta.
Ho letto spesso l’opinione e le note di degustazione di altri. Da un lato i fan tout court, quelli che spesso sono incapaci di valutare il merito, ma riconoscono l’autorità. Dall’altro i detrattori a prescindere, quelli infastiditi da un ego di dimensioni cospicue, da un certo piglio arrogante del professore (ormai note le sue polemiche verso i cosiddetti vini naturali, ad esempio) e incapaci, quindi, di valutare il calice. In mezzo alle due opposte fazioni, i pochi, molto pochi, che cercano di capire la sostanza.
Io ho sempre trovato stucchevoli questi modi di fare e le polemiche che scaturivano tra le due opposte tifoserie ricordando molto semplicemente quale contributo avesse dato il professore all’evoluzione del vino campano. I suoi studi, il lavoro come docente all’università, i vini evento da lui costruiti per altre aziende che hanno esportato il vino campano fuori dai confini regionali facendolo conoscere poi, nelle sue mille accezioni e declinazioni.
Il che non vuol dire essere però, un vignaiolo capace.
Ovviamente non parlo di piacevolezza. Anche una coca cola può risultare piacevole e se qualcuno pensa poi di poter dire ad un consumatore cosa è buono e cosa no, non conosce l’essenza del gusto e come si è definito il concetto via via nel tempo. Io do un parere tecnico, ovviamente condivisibile o meno nel merito, ancorato a dei parametri convenzionalmente addottati e che si riconoscono, in buona parte della critica, in quella che Rizzari, curatore della guida de L’espresso, ha definito naturalezza espressiva.
Mi sono chiesto, dopo averli assaggiati (ovviamente alla cieca ed in mezzo a tanti, tantissimi vini, ad esclusione del fiano Extultet) le ragioni di quei prezzi al consumatore. Tra i cento e i cento venti euro il Taurasi (quattro volte, più o meno, il prezzo dei più costosi della denominazione), su una trentina l’aglianico, e via così anche per Greco e Falanghina.
I profili olfattivi risultavano grevi, appesantiti dalle ingerenze del legno negli effluvi dolciastri e nelle note fumè o boisè. I palati già stanchi, pesanti, che lasciavano un sensazione zuccherosa/glicerica finanche tattile. Sostanzialmente dei vini enologici, esecuzione di un’idea di vino sorpassata, demodé, kitsch nelle sue esasperazioni.
Ecco, l’unico pensiero che sono riuscito a formulare riportava la mente ad un vestito firmato da una grande griffe quando ho visto, se non ricordo male, l’etichetta autografata dal Professore.
Però sotto il vestito non sono riuscito a scorgere niente.
Nessun sussulto, nessun battito, niente, neanche un quinto di decimo.

Foto tratta da aisnapoli.it

posted by Mauro Erro @ 13:41,

5 Comments:

At 8 luglio 2010 alle ore 16:57, Anonymous Anonimo said...

Si tratta di quei vini che, al secondo bicchiere, ti hanno già stancato: emozioni zero, solo un grande mestiere da parte di chi, in fondo, ci ha messo la firma (bene in chiaro, in un'etichetta concepita di persona anni fa); vini "professorali" nei quali non respiri alcunchè di territoriale.
E dovrei spendere cifre così per un Taurasi che mi dà un "palato stanco" quando i suoi consimili sono ancora dei bambini in fasce dal radioso avvenire? Mah!
Luca

 
At 12 luglio 2010 alle ore 13:48, Blogger Gabriele Ferrari said...

Io credo che un posizionamento sul mercato a quei prezzi sia il frutto di un progetto profondamente arrogante e presuntuoso. Una falanghina messa in vendita a 50€ e un Taurasi che costa mediamente 4 volte i migliori campioni della denominazione dicono implicitamente che i suddetti campioni, gli "altri", valgono davvero poco. Indipendentemente dalla bontà dei prodotti che possono o meno piacere è un atteggiamento che mi infastidisce.
Soprattutto alla luce del fatto che una bottiglia di vino sappiamo tutti, più o meno, cosa costa.

 
At 13 luglio 2010 alle ore 13:39, Anonymous Anonimo said...

Condivido appieno la tua analisi Mauro. Da parte di Moio c'è la convinzione (ampiamente non partecipata, penso, ma nessuno lo dice) di aver ridefinito lo stile di questi vitigni che hanno sicuramente una loro storia. L'ha detto lui stesso, durante una serata a Caserta con i suoi vini e le sue storie. Davanti alla competenza del professore tanto di cappello, ma i vini non mi hanno entusiasmato, mi sono sembrati grevi. Tra l'altro le stesse impressioni degustative sono state condivise da molti altri amici presenti alla serata.
La tua comunque è, al momento, l'unica voce (a parte Fabio Cimmino, molto ironico) fuori dal coro fra coloro che mettono in rete le loro impressioni su vini ed affini. Mi piace e la sottoscrivo.

Alessandro Schiavone

 
At 14 luglio 2010 alle ore 16:36, Anonymous Anonimo said...

Complimenti, scrivi bene e, cosa assai curiosa, anche se il linguaggio scritto è forse quanto di più distante dall'esperienza gustativa fattuale, le tue parole hanno un reale potere evocativo, ridestano impressioni sensoriali sedimentate nella memoria di quanti di noi, non per professione ma per puro diletto e curiosità si avventurano quotidianamente e ormai da anni nel "territorio" dei vini. Per quanto riguarda Moio poi, che dire? Gli suggerirei di assaggiare due vini: un bianco, "Per Eva" 2008 Costa d'Amalfi di Tenuta San francesco; un rosso: "Don Nicola" 2001 Riserva di Aglianico Taburno Doc.

 
At 14 luglio 2010 alle ore 16:41, Anonymous Anonimo said...

Scusa, ho dimenticato di dire che il "Don Nicola" 2001 Riserva di Aglianico Taburno è prodotto da Cantine Iannella; tra l'altro costa solo 15 euro...
E il bianco "Per Eva" solo 10 euro..

 

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