I vini dell'Etna

C’è una vecchia frase di Soldati che non dimenticherò mai e che ogni fanatico bevitore e ogni bon viveur assume come profonda e reale verità: i vini assaggiati nei luoghi in cui vengono fatti assumono un sapore diverso.
Suona pressappoco così. Per capire un vino e non semplicemente per berlo – la stessa differenza che esiste tra l’amore e il sesso, un concetto banale da spiegarsi. A patto che si sia conosciuto l’amore –, per trovare veramente l’emozione ed essere capaci di commuoversi davanti ad un grande vino, non si può prescindere dall’aver visto le piante affondare le loro radici nella terra, aver respirato l’aria, aver sentito sulla propria pelle la differenza che esiste tra caldo e freddo partendo da 800 metri per ascendere ai 1800 metri in una mezzorata – 10 gradi di differenza – arrampicandosi sulla montagna. Una montagna nivura.

Una montagna che profuma di bruciato e di mediterraneo, di agrumi e fiori. Di Nerello Mascalese. Se non si è parlato con le persone ed i vignaioli, allora non si può capire perché il vulcano per loro è semplicemente Mungibeddu.
Non si può capire neanche l’emozione di scoprire luoghi meravigliosi e mozzafiato avendo l’ansia che qualcosa possa infrangersi, che quell’equilibrio e quell’incanto possano essere rotti dal successo. Mediatico innanzitutto. L’Etna al momento è la zona che muove più curiosità.

Anno domini 2010: 81 produttori.
Sono arrivati in tanti, menestrelli (il cantante dei Simply Red) e grandi aziende (Planeta, Tasca D’almerita, Duca di Salaparuta, Firriato se non ricordo male), i toscani che, lo dico simpaticamente, sono nel vino ciò che i napoletani sono nella vita: come le gramigne spuntano un po’ ovunque. Sono arrivati i giornalisti. Non manca proprio nessuno.
Tanti stimoli possono essere anche molto dannosi.
Ma qui c’è voglia di fare e fare bene, qui si rincorrono con tenacia le zonazioni, c’è viticoltura di vecchia tradizione ben difesa e aggiornata, qui c’è fame di successo e di riscatto. Qui è Sicilia. Una Sicilia diversa, tra le vigne più alte d’Europa dove nevica.
Qui c’è voglia di confrontarsi per crescere insieme – basti citare le Contrade dell’Etna, la manifestazione organizzata da Franchetti e l’impegno profuso dall’enologo Salvo Foti.
La viticoltura si sviluppa sul versante nord-orientale dell’Etna; tra Castiglione, Passopisciaro e Randazzo troviamo molte aziende di sicuro interesse.

Girolamo Russo, innanzitutto, e i suoi vini a cui ha dato i nomi delle contrade – nonostante una stupida legge non permetta l’indicazione –. Il San Lorenzo 2006 è un vino di leggiadria ed eleganza, segnato leggermente dal legno, floreale, molto simile nella sua impostazione ai vini di Tenuta delle Terre nere (se non sbaglio non disponendo della cantina, è qui che Giuseppe Russo vinifica al momento): bevuti alla cieca ricordano un buon Village di Borgogna. Lo stesso dicasi per i vini di Silvia Maestrelli di Tenuta di Fessina, vini di grande maestria tecnica che forse al momento perdono qualcosa in identità territoriale. Il Musmeci 2007 lo abbiamo preferito rispetto all’Erse 2008. Entrambi giocano di finezza: sottili ed eleganti hanno ottima materia, succo, tensione al palato, spiccando sicuramente per bevibilità e pulizia.
Più territoriali e scuri quelli di Cantina Edomè, la cui prima annata è del 2006. Un vino solido che profuma di polvere da sparo e agrumi. Che ha una bocca sottile e beverina lasciandoti una scia sapida dopo la deglutizione. Più denso il 2007 – annata migliore rispetto alla 2006, così come nel Vulture e a Taurasi con le dovute eccezioni -. Salvo Foti è l’enologo di questa realtà come della giovane Chiara Vigo di Fattorie Romeo del Castello, la 2007 è prima annata di un vino di cui si sentirà parlare. È ancora giovane, ma tenetelo da parte: oggi la veemenza e l’energia del vino al palato ci confortano sulle sue capacità evolutive quando sboccerà definitivamente.
Ciro Biondi, invece, si trova a Trecastagni, più a sud rispetto i produttori precedenti, ed è già un nome di sicuro approdo. Il suo Outis 2006 – oggi Ciro etichetta il Monte Ilice, la cui vigna in passato donava i suoi frutti per l’outis rosso – non ci ha colpito ed emozionato come il 2004, ma rimane un gran bel bere. Un vino cupo e fresco allo stesso tempo, severo e disponibile, solido e denso al palato, senza mancare di uno scatto finale di vivifica sapidità.
Ma, come ho detto, i vini bevuti nei luoghi ove vengono prodotti, hanno un sapore diverso. Un sapore che non si può spiegare.

Foto 2: Palmento
Foto 3: Biondi, Monte Ilice e la funivia

posted by Mauro Erro @ 08:19,

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